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Terapia cognitivo-comportamentale: imparare ad essere terapeuti di se stessi

Cristina è una giovane paziente, racconta della sua terapia per attacchi di panico e di come, dopo anni di cbt, è riuscita diventare terapeuta di se stessa

Di Eleonora Natalini

Pubblicato il 03 Feb. 2016

Aggiornato il 17 Gen. 2018 15:24

Sono Cristina. Ho 26 anni e gli ultimi due li ho passati con la mia terapeuta. Al primo incontro mi ha detto che era cognitivo-comportamentale. Non sapevo cosa volesse dire. Mi disse: ‘Col tempo e gli homework capirai… fino a diventare terapeuta di te stessa’

Sono Cristina. Ho 26 anni e gli ultimi due li ho passati con la mia terapeuta. Al primo incontro mi ha detto che era cognitivo-comportamentale. Non sapevo cosa volesse dire. Me l’ha spiegato, ma le cose non erano troppo chiare: la storia delle distorsioni cognitive; le credenze di base; i pensieri che creano le emozioni… mi disse: ‘Col tempo e gli homework capirai… fino a diventare terapeuta di te stessa’. Bene pensai, almeno risparmio qualcosa!

Come dicevo sono passati due anni dall’inizio. Non vi dico nel dettaglio per quali motivi mi ritrovai in quello studio, a parte che c’entravano anche gli attacchi di panico, tanto ormai sono piuttosto comuni e non me ne vergogno.

Ma oggi ho iniziato a correre. A fare running, o jogging che fa più figo! Era facile a dirsi, complesso nell’attuarlo. Le scuse più assurde, una pigrizia certa, una resistenza infallibile. Inizialmente avevo optato per la palestra. Un mese per andare solo a chiedere informazioni. Un giorno mi decido, dopo una lunga ristrutturazione cognitiva (un pensiero ci fa soffrire? Bene, si cercano altri pensieri che possono almeno farci stare meno male!), e vado in due palestre. Una meno simpatica rappresentata da una Barbie bionda in carne (poca) ed ossa; l’altra invece gentile e alla mano quasi fossi iscritta lì da sempre (a pensarci bene forse fin troppo gentile). Solo varcare quelle soglie ha scatenato in me una reazione fisica spropositata. Palpitazioni, tremori alle gambe, chiusura dello stomaco. Ero critica verso quel mondo e le persone coinvolte, ne ero consapevole, per fortuna ho una buona auto-riflessività (me lo diceva sempre la terapeuta).

Osservo di nuovo i pensieri, faccio un respiro profondo, mi aggancio al momento presente in perfetto stile mindfulness e mi concentro sulle informazioni che mi danno… functional ore 18, interval training ore 19.30, zumba ore 10, spinning ore 12, crossfit ore 20… mi perdo nuovamente in piena modalità mindflight (la mente che se ne va).
Torno a casa e il solo pensiero della lezione di prova mi fa cadere nuovamente nell’angoscia totale. Che faccio allora?

Ovvio, rimando alla settimana successiva, d’altronde ‘io troppi impegni questa settimana‘. Sarà un problema di procrastinazione? Difficile a dirsi. Ma comunque… arriva il famoso lunedì in cui, si sa, si mettono in atto i buoni propositi. Mi sveglio già agitata al pensiero della palestra. Da buona ‘allieva’ cognitivo-comportamentale mi dico: ‘che cosa mi sta passando per la mente?‘ (quante volte me l’ha chiesto la dottoressa!). La risposta è semplice: ‘Odio la palestra; mi sentirò a disagio appena arrivata all’ingresso perché sentirò tutti gli occhi puntati; tutti si saluteranno come se fossero una grande famiglia; non so se dovrò portare un lucchetto per lo spogliatoio; non saprò utilizzare le attrezzature; e in qualunque corso non sarò mai coordinata con il resto del gruppo e poi… tutto puzzerà! Sudore ovunque e in qualunque momento!’.

Bene RP (registrazione dei pensieri) fatta. Pensieri catastrofici infiniti, etichettamenti, palle di vetro a gogò (queste sono le famose distorsioni cognitive). Rifletto ancora. Mi viene in mente l’attivazione comportamentale che la terapeuta mi fece eseguire in un brutto momento per me: ‘Iniziamo con le cose che amavi‘ mi disse e stilammo una lista di attività. Questo tipo di tecnica serve per far riattivare una persona dopo un periodo di totale nulla; mi vergogno a dirlo, ma a volte non riuscivo nemmeno a farmi una doccia per quanto ero giù. Si stila la lista delle attività come dicevo, e si parte da quella più piacevole e per la quale ci sentiamo più capaci, fino ad andare avanti con l’elenco… ma comunque a me ora serviva solo riprendere un’attività fisica. Quindi ritorno con la mente sulle attività fatte in passato.

E il benessere provato stava lì, lo sentivo, era la corsa. In quel momento ho cancellato del tutto l’idea della palestra. Ho ripreso la divisa, le scarpe adatte, legato i capelli. E ho respirato di nuovo. Leggevo i pensieri che anche qui remavano contro, ma li lasciavo andare, ripetendomi che superato l’inizio tutto sarebbe stato più semplice.

Letteralmente dovevo compiere il primo passo. E così ho fatto. Chiusa la porta di casa ho iniziato a correre. Pochi passi e sono tornata a dieci anni fa quando facevo atletica leggera a livello agonistico. Mezzofondo per chi è curioso. Ho sentito il corpo riattivarsi. E’ stato bello respirare all’aria aperta. La puzza a dir la verità l’ho ritrovata, concime dei campi, ma alla natura si perdona quasi tutto. Corro nella mia solitudine ricercata con la consapevolezza di ciò che ho intorno, delle sensazioni corporee. E’ la prima volta che corro dopo la pratica della Mindfulness.

Ho applicato i principi ed è stata un’esperienza nuova che comunque racchiudeva in sé vecchi ricordi. Stupendo. Ma il caso a quanto pare mi mette spesso alla prova. In lontananza vedo un cane. Solo, come sono sola io. Flashback: rivedo me inseguita da due cani all’età di 15 anni. Sento la paura salire. Non so che fare. Respiro di nuovo profondamente. Attimi per riattivare la ristrutturazione cognitiva: ‘E’ piccolo… sembra buono… forse non ti noterà… sei adulta ora… ecc.. ecc.’, tutto in cinque secondi credo. Esposizione. Flooding.

Ora è necessaria una spiegazione: l’esposizione, come dice la parola stessa, significa esporsi a qualcosa che abbiamo evitato per timori vari; quando si parla di flooding si fa riferimento ad un’esposizione un po’ particolare del tipo: ‘Temi le altezze? Soffri di vertigini? Benissimo! Perfetto! Ti buttiamo con il paracadute dall’aeroplano!‘. Significa quindi essere immersi totalmente nella nostra paura senza gradualità. Questo mi è successo. Passo vicino al cane.

Distratto annusa le piante. Tiro un sospiro di sollievo. Cavolo, lo sento correre verso di me. Panico. Di nuovo respirazione e ristrutturazione ‘Non viene proprio verso di te… pure se fosse cosa può farti… ecc… ecc.‘. Mi viene vicino e mi supera un po’. Corre avanti a me. Poi si ferma e mi riviene vicino e di nuovo accanto. Non mi sta seguendo. Mi sta accompagnando. Tiene il mio passo. Mi commuove la cosa. Se non mi fossi esposta prima, non avrei goduto di tutto questo. Dopo qualche centinaio di metri c’è il padrone che lo chiama, o meglio la chiama, ‘Bianca, vieni qui‘. Niente, continua a starmi accanto fino a casa. Sorrido pensando che ora mi dispiace separarmene, mentre prima sembrava la cosa più temibile al mondo.

Arrivata mi sento bene, sono felice. Certo poi non aspettiamoci che il mondo intorno a noi riconosca il nostro sentirci dei supereroi. Mia madre mi guarda e dice ‘Al ritorno hai preso l’autobus?‘ e mia sorella, dopo che le stavo dicendo che quando corro mi si gonfiano le mani, mi guarda e fa ‘Bé ti diventa pure viola la faccia!‘. Potevo irritarmi con queste invalidazioni ma, memore dei mille discorsi sull’assertività (che ci ho messo un po’ a capire), le guardo e dico: ‘Per favore mi dite che sono stata brava? Non è mica stato facile per me!‘. Si guardano, richiesta strana, sorridono: ‘Sì, sei stata brava!‘. Ora ho capito cosa volesse dire la mia dottoressa due anni fa. Sono diventata terapeuta di me stessa.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Beck, J.S. (2008). Terapia Cognitiva. Fondamenti e prospettive. Mediserve, Milano.
  • Hayes, S.C. (2010). Smetti di soffrire, inizia a vivere. Franco Angeli, Milano.
  • Kabat-Zinn, J. (1994). Dovunque tu vada ci sei già. In cammino verso la consapevolezza. Casa Editrice Corbaccio, Milano.
  • Montano, A. (2007). Mindfulness. Guida alla meditazione di consapevolezza. Una terapia per tutti. Ecomind, Salerno.
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