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Attivazione comportamentale

L' attivazione comportamentale aumenta la consapevolezza che vi siano attività piacevoli in cui coinvolgersi, portando a interazioni positive con l'ambiente

L’ attivazione comportamentale è una tecnica che ha l’obiettivo di incrementare la consapevolezza che vi sono attività piacevoli in cui coinvolgersi, favorendo le interazioni positive con il proprio ambiente di vita. Essa origina dall’ approccio comportamentista di Skinner (1953) dal quale alcuni suoi allievi elaborarono un modello comportamentale della depressione.

Attivazione comportamentale origine, caratteristiche e applicazione della tecnica

Le origini dell’Attivazione Comportamentale

L’ attivazione comportamentale è una tecnica che ha l’obiettivo di incrementare la consapevolezza che vi siano attività piacevoli in cui coinvolgersi, incrementando le interazioni positive con il proprio ambiente di vita.

È utilizzata soprattutto nel trattamento della depressione clinica, ma non solo, infatti sempre più frequentemente viene utilizzata nel trattamento di altri disturbi mentali e forme di sofferenza psicologica che coinvolgono la riduzione di attività guidate allo scopo e piacevoli.

È un trattamento che negli ultimi 40 anni si è sviluppato in quattro differenti versioni, tutte hanno ricevuto supporto empirico: la prima versione è quella di Peter Lewinsohn (1979), la seconda è quella di Beck (1979), poi ci sono le due versioni più recenti, quella di Martell e quella di Lejuez entrambe del 2001. Tutte queste versioni condividono la tecnica della pianificazione delle attività che ha lo scopo di andare incontro a rinforzi positivi, fondamentali per l’attivazione in soggetti depressi.

L’ attivazione comportamentale origina dall’ approccio comportamentista di Skinner (1953) dal quale alcuni suoi allievi elaborarono un modello comportamentale della depressione. Skinner poneva l’accento su come gli individui reagiscano al proprio ambiente, e secondo il modello sviluppato dai suoi allievi (Lewinsohn, 1974), la depressione si sviluppa in assenza di rinforzi positivi stabili e il trattamento consiste proprio nella pianificazione con il paziente di attività che aprano nuovamente alla possibilità di rinforzi positivi stabili. La ricerca si è quindi sviluppata nella direzione di formulare un modello teorico e delle tecniche. L’ attivazione comportamentale, i social skill training e la ristrutturazione cognitiva venivano considerati trattamenti separati e indipendenti, tutti infatti risultavano ugualmente efficaci nel trattamento della depressione (e più efficaci del gruppo di controllo in lista di attesa), tanto che Lewinsohn pensò di combinarli in un unico trattamento cognitivo-comportamentale integrato che venne poi pubblicato in un manuale di self-help (Control your depression, 1978) e in un manuale di terapia nel 1984.

Contemporaneamente anche i pionieri della terapia cognitiva come Beck ed Ellis integrarono strategie di attivazione comportamentale nei loro modelli di trattamento della depressione. Gli homework comportamentali però avevano l’obiettivo di modificare assunti e credenze irrazionali, quindi l’obiettivo finale era cognitivo e la sottostante teoria comportamentale all’origine di queste tecniche venne persa.

Nel 1996 Jacobson e colleghi pubblicarono un lavoro che riabilitò le tecniche comportamentali. Secondo il loro studio infatti la pianificazione delle attività, ribattezzata attivazione comportamentale, e la ristrutturazione cognitiva erano, da sole, ugualmente efficaci che il trattamento TC completo, che includeva le prime due e la modificazione di schemi e credenze di base. I risultati erano confermati anche al follow-up a due anni. Nacque così Depression in contest: strategies for guided action di Martell, Addis e Jacobson (2001), che raccoglie un pacchetto di tecniche di attivazione comportamentale e i fondamenti teorici comportamentali che ne sono alla base. Influenzati dagli scritti di Ferster (1973), allievo di Skinner, inclusero anche tecniche di identificazione e superamento dell’ evitamento, considerato uno dei fattori alla base della depressione.

Lejuez e colleghi (2001, 2002) nello stesso periodo teorizzarono che fosse l’intero contesto in cui origina un comportamento ad influenzarlo, e non solo i rinforzi che lo seguono. Le loro tecniche di attivazione comportamentale sono altamente strutturate e coinvolgono il contesto interpersonale come potenziale risorsa; non includono però tecniche per contrastare l’evitamento.

Entrambi questi approcci mirano alla comprensione del comportamento umano in termini funzionali e alla pianificazione di attività sulla base della loro funzione, non solo quindi sulla base della semplice piacevolezza.

Attivazione comportamentale e rinforzo positivo

Un rinforzo positivo si ha quando la risposta dell’ambiente a un comportamento aumenta la frequenza di quel comportamento in futuro. I rinforzi positivi funzionano quindi da ricompense e l’ attivazione comportamentale mira ad aumentare il contatto con fonti ambientali diverse e stabili di rinforzo positivo. L’interruzione di un rinforzo positivo porta all’estinzione del comportamento e all’emergere di emozioni avversive. Questo modello spiega la depressione clinica come la perdita di fonti stabili di rinforzi positivi e l’insorgere di reazioni emotive di tristezza e dolore in risposta a questa perdita.

Nell’ attivazione comportamentale tre fattori sono importanti nella scelta e produzione dei rinforzi positivi:

  • determinare cosa per quella specifica persona è rinforzante, considerando quindi la specificità di ognuno
  • verificare se quel determinato rinforzo è disponibile nell’ambiente di quel determinato individuo
  • verificare se la persona possiede il repertorio di abilità necessarie ad ottenere uno specifico rinforzo positivo, pensiamo ad esempio a come potrebbe fallire il rinforzo positivo del partecipare a una festa in un soggetto carente di abilità sociali adeguate a godersi le interazioni sociali. Per affrontare eventuali lacune l’ attivazione comportamentale prevede social skill training e training assertivo.

Attivazione comportamentale ed evitamento esperenziale

Si ha un rinforzo negativo quando la rimozione o l’ evitamento di uno stimolo ambientale, conseguente a un certo comportamento, aumenta la frequenza di quel comportamento in futuro. Ne sono un esempio le dipendenze da sostanze, quando la sostanza è utilizzata per spegnere i sintomi di astinenza; o l’inattività fisica usata e negativamente rinforzata per evitare il dolore cronico. La vita quotidiana è comunque piena di rinforzi negativi, prendiamo medicinali per lenire il mal di testa, rispondiamo al telefono per farlo smettere di suonare ecc.

L’ evitamento esperenziale è negativamente rinforzato dalla rimozione/riduzione di esperienze emotivamente negative per il soggetto. Quando l’ evitamento diventa esteso e generalizzato contribuisce ad ulteriori perdite di rinforzo positivo, cioè agisce da fattore di mantenimento nella depressione. Per esempio: spesso i soggetti depressi trascorrono molto tempo inattivi a letto, da un lato questa inattività è il risultato del venire meno di rinforzi positivi stabili, cioè dell’estinzione di comportamenti positivi, dall’altro il rimanere a letto riceve il rinforzo negativo derivante dall’evitare lo sforzo di alzarsi e impegnarsi in attività quotidiane routinarie ora percepite come più faticose; stare a letto permette anche di evitare contesti sociali che elicitano vergogna. Inoltre complessivamente rimanere a letto allontana dal contatto con potenziali fonti di rinforzo positivo.

Valutare quanto l’inattività tipica della depressione sia da imputare a mancanza di rinforzi positivi o quanto all’ evitamento di emozioni negative è molto importante nella pianificazione di attività.

È importante sottolineare che ciò che conta nel rinforzo sono i pattern di rinforzo che si sono verificati nel passato; cioè non ci impegniamo in un comportamento allo scopo di ottenere uno specifico rinforzo, ma lo facciamo perché quello stesso comportamento è stato seguito da specifici pattern di rinforzo nel passato. In questo senso nell’ attivazione comportamentale è importante conoscere la storia personale del paziente e i fattori che lo hanno condizionato; la storia fornisce infatti indizi importanti rispetto alle relazioni funzionali che diventano poi oggetto del trattamento. (Kanter, Busch e Rusch, 2009).

Inoltre, più un rinforzo è potente meno deve essere frequente perché un comportamento si mantenga. E ancora, comportamenti mantenuti da rinforzi potenti si estingueranno velocemente al venire meno del rinforzo; allo stesso modo comportamenti mantenuti da rinforzi esigui (cioè rari o imprevedibili) si estingueranno meno facilmente perché sarà necessario che il comportamento si ripeta molte volte prima che la mancanza di rinforzo diventi saliente e abbia effetto nell’estinguere il comportamento in questione.

Attivazione comportamentale e analisi funzionale

L’ analisi funzionale, che avviene in fase di assessment, mira a comprendere il più precisamente possibile quale sia la funzione di un comportamento che viene attuato; questo significa concentrarsi, oltre che sulla forma del comportamento stesso, sul contesto nel quale il comportamento ha avuto luogo e sugli elementi che l’hanno rinforzato.

Questi 3 elementi, antecedente, comportamento e conseguenze sono gli elementi che costituiscono l’ ABC della teoria comportamentale: A come Antecedent, cioè quando, in che circostanze, avviene il comportamento?; B come Behavior, cioè qual’è il comportamento attuato?; C come Conseguence, cioè cosa succede subito dopo il comportamento? Cioè come viene rinforzato.

Da notare come questo ABC comportamentale si differenzi da quello cognitivo per il fatto che il B in quel caso è un pensiero e il C è rappresentato dalle conseguenze emotive e/o comportamentlali di determinati pensieri (B). Il bersaglio della terapia è solitamente in entrambi i casi il B, sia che si tratti di un comportamento che di un pensiero.

Nell’ attivazione comportamentale lo scopo dell’ analisi funzionale è quindi quello di identificare le relazioni funzionali tra queste tre componenti, antecedenti, comportamento e conseguenze al fine di comprendere su quale elemento è più opportuno intervenire per generare un cambiamento.  L’ analisi funzionale inoltre è fondamentale per discriminare quanto l’inattività tipica della depressione sia da imputare a mancanza di rinforzi positivi o quanto all’evitamento di emozioni negative; la scelta di pianificare attività graduali potrebbe infatti non essere efficace se non si tiene conto dell’evitamento e non lo si affronta con strategie mirate.

In particolare Kanter, Busch e Rusch (2009) utilizzano strategie indirette di analisi funzionale in fase di assessment e successivamente strategie di intervento specifiche a seconda che il bersaglio sia un antecedente, un comportamento o un conseguente. In alcuni casi si tratterà quindi di ampliare gli antecedenti e rendere più ricchi e variegati i contesti il cui il paziente si muove, in altri invece l’intervento si concentrerà su skill training e compiti di attivazione comportamentale, in altri casi ancora sarà più opportuno intervenire sui conseguenti con procedure di gestione delle contingenze, mindfulness e identificazione dei valori.

Attivazione comportamentale e valori

Nell’ attivazione comportamentale è fondamentale comprendere la distinzione tra piacere e valore: le attività piacevoli, cioè le fonti stabili di rinforzo positivo, non hanno tanto a che fare con l’edonismo, quanto con il sistema personale di valori e l’etica del singolo. In altre parole ci sono attività che si cercherà di potenziare e rendere più frequenti che non necessariamente diano al paziente un piacere immediato, ma che abbiano un valore e un’importanza all’interno di un più ampio senso di realizzazione personale, ne sono un esempio le attività che servono a rinforzare il senso di efficacia personale, e che impegnano in compiti magari più faticosi che piacevoli, ma che regalano al soggetto un senso di realizzazione personale maggiore.

Nella attivazione comportamentale la affermazione verbale dei valori permette di stabilire un collegamento tra comportamenti e conseguenti a lungo-termine, che proprio per il fatto di essere salienti in termini valoriali, possono diventare più potenti nel rinforzare un comportamento di conseguenti più immediati.

A livello operativo il terapeuta lavora con il paziente per identificare a cosa questi attribuisce un valore, cioè: cosa per lui è importante nella vita? Cosa desidera dalla vita e perchè ha rinunciato a questi obiettivi? Come può attivarsi per costruire scopi e significati? Quindi il nucleo centrale del lavoro di attivazione comportamentale consiste nello sviluppare attività che siano funzionali e in linea con i propri valori esistenziali (e non necessariamente orientati a esperienze di piacere).

L’attivazione comportamentale in pratica

  • Raccolta dell’anamnesi: viene raccolta la storia del paziente con attenzione a tutti i fattori ambientali che possono essere correlati allo stato depressivo.
  • Fornire il razionale: il terapeuta restituisce al paziente una lettura della sua storia personale evidenziando l’impatto emotivo degli eventi salienti, validando lo stato depressivo come una naturale reazione alle difficoltà. Spiega al paziente l’importanza di riattivarsi in attività piacevoli e dotate di significato, cercando di infondere speranza e ottimismo.
  • Cominciare il monitoraggio delle attività: alla fine della prima seduta dovrebbe essere possibile assegnare il compito di monitorare le attività per ottenere informazioni dettagliate sui pattern di comportamento, sulla frequenza e sulla dimensione della restrizione delle attività. Normalmente si usa una griglia delle attività giorno-ora o un diario, che viene poi ripreso in seduta e osservato facendo attenzione sostanzialmente alle attività in difetto, o in eccesso.
  • Cominciare l’assessment dei valori: può essere utile utilizzare un questionario, ad esempio il QLV dell’ACT (Wilson et al, 2008), per facilitare una riflessione su quali siano le aree maggiormente salienti per il paziente; si sollecita il paziente a dare un punteggio a ciascun valore e a cercare di tradurre i valori in compiti di attivazione concreti
  • Assegnare i primi compiti di attivazione: gli interventi fondamentali di attivazione comportamentale consistono nell’assegnazione di homework che stimolino l’attivazione di comportamenti non depressi, in modo che il paziente possa pian piano entrare in contatto con fonti stabili di rinforzo positivo. Paziente e terapeuta costruiscono una gerarchia di attività classificate in termini di difficoltà, simile a quella utilizzata per l’esposizione nei disturbi di ansia. L’obiettivo è che il paziente si sperimenti gradualmente in un certo numero di attività diversificate per tipo e livello di difficoltà. Si parte con attività di base (ad es. igiene personale e domestica) che potrebbero essere state sospese.

Può essere utile monitorare in modo abbastanza dettagliato anche lo svolgimento della singola attività, e utilizzare a questo scopo la scheda di attivazione che riporta le voci: chi, cosa, quando e dove, ostacoli prevedibili, soluzioni agli ostacoli e risultati.

In generale è importante che i compiti di attivazione comportamentale da svolgere tra una seduta e l’altra abbiano senso per il paziente e abbiano buone probabilità di successo. La verifica dei compiti a casa avviene all’inizio di ogni seduta e deve includere una riflessione su cosa abbia ostacolato il completamento dell’homework, infatti il completamento parziale del compito è più una norma che un’ eccezione.

Nel caso in cui l’ attivazione semplice non si riveli efficace viene utilizzato l’assessment funzionale per comprendere le ragioni dell’insuccesso, cioè questo diviene parte integrante della revisione degli homework, così da comprendere dove e come è necessario agire per superare l’ostacolo, se sugli antecedenti (ad es. La dimenticanza), sui deficit di repertorio comportamentale (ad es. problem solving, o il saper fare qualcosa di specifico o social skills) o sui conseguenti (ad es. le reazioni di amici e parenti possono fungere da rinforzo per comportamenti depressi, oppure l’evitamento di emozioni negative).

 

 

Bibliografia:

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  • Kanter j w, Bush A M, Rush L C, (2009) La behavioral activation. Caratteristiche distintive. Franco Angeli, Milano, 2012
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