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Gambling: credenze metacognitive e comorbilità psichiatrica

La Terapia Metacognitiva è indicata per questo disturbo e interviene sulle modalità di pensiero disfunzionali e sulle strategie di gestione del cambiamento

Di Giovanni Mansueto

Pubblicato il 23 Mar. 2015

Aggiornato il 27 Nov. 2023 11:36

Giovanni Mansueto, OPEN SCHOOL Studi Cognitivi

 

Le credenze metacognitive potrebbero contribuire al mantenimento delle condotte patologiche di gioco, probabilmente, favorendo l’esacerbazione e/o il mantenimento di stati affettivi (per lo più di natura ansiosa) concorrenti.

Il gambling appare un fenomeno in costante crescita e di significativa complessità. La classificazione diagnostica del gioco patologico ha subìto alcune modifiche con il passaggio dal DSM-IV TR (American Psychiatric Association, APA, 1994), classificato nella categoria dei “Disturbi del Controllo degli impulsi non classificati altrove” e denominato Gioco d’azzardo Patologico (GAP), al DSM-V (APA, 2013) nel quale viene collocato nella categoria delle “dipendenze comportamentali” e rinominato Disturbo da gioco d’azzardo (Gambling Disorder). Studi epidemiologici stimano tassi di prevalenza compresi tra 1.1% e 5.3% nella popolazione adulta (Castrén et al. 2013; Lorains, Cowlishaw, & Thomas, 2010; Raylu & Oei, 2002) e in particolare nel contesto italiano si stimano tassi di prevalenza pari al 2.3% per i giovani e il 2.2% per gli adulti (Bastiani et al. 2013).

Un importante aspetto da considerare nel trattamento del gambling è rappresentato dal problema della comorbilità. Si stima che circa il 6.7 – 12 % di pazienti psichiatrici manifesti comportamenti di gioco patologico e in particolare il gioco d’azzardo patologico appare associato ad elevati tassi di comorbilità rispetto a disturbi dell’umore, ansia, abuso di sostanze e disturbi di personalità (Johansson, Grant, Kim, Odlaug & Go¨testam, 2009).

La comorbilità psichiatrica rappresenta da una parte un significativo fattore di rischio per l’insorgenza del gambling e allo stesso tempo si associa ad un maggiore gravità e decorso clinico negativo (Raylu & Oei, 2002; Johansson et al., 2009).

Sebbene una recente revisione sistematica della letteratura e meta-analisi (Gooding & Tarrier, 2009) evidenzia un significativo effetto della CBT nella riduzione del gambling nei primi 3 mesi dalla cessazione della terapia, allo stesso tempo le evidenze sull’efficacia in un lungo periodo di tempo (es. 12 mesi) sono ancora limitate (Spada, et al.,2014).

Alla luce di ciò, in un recente studio (Mansueto et al., 2015) si è cercato di indagare se la terapia metacognitiva (MCT) possa rappresentare una strategia terapeutica funzionale a tale complessità. La base teorica della MCT è rappresentata dal modello della Funzione Esecutiva Regolatoria (S-EF) (Wells, 2012) secondo il quale i disturbi emotivi sono mantenuti da peculiari modalità di elaborazione delle informazioni, ovvero, il modo di usare il pensiero, l’attenzione, la memoria.

Secondo il modello metacognitivo proposto da Wells (2012), i disturbi psicologici sono determinati dall’attivazione della Cognitive Attentional Symdrome (CAS), ovvero, una modalità disfunzionale di elaborazione dell’informazione caratterizzata da stili di pensiero perseveranti (es.: rimuginio, ruminazione, iper-monitoraggio attentivo), comportamenti di evitamento e strategie di coping non adattive (Spada et al., 2014).

L’attivazione della CAS è determinata a sua volta da specifiche credenze metacognitive (Wells, 2012). Studi empirici supportano il ruolo delle credenze metacognitive nei disturbi d’ansia, depressivo, ossessivo-compulsivo e nelle dipendenze da nicotina, alcool e gambling (Caselli & Spada, 2010; Lindeberg et al., 2011; Normann, van Emmerik & Morina, 2014; Spada, Giustina, Rolandi, Fernie, & Caselli, 2014; Wells, 2012).

Uno dei primi studi sul rapporto tra metacognizoine e gambling è stato condotto da Lindeber et al. (2011) in un campione di 91 giocatori patologici, evidenziando il ruolo predittivo delle metacredenze cognitive (metacredenze negative e metacredenze relative alla necessità di controllo) nel gambling, indipendentemente dalla presenza di stati ansiosi e /o depressivi. Come evidenziato dagli autori, le “metacredenze negative” e la “necessità di controllo” fanno riferimento a un range di credenze secondo cui certi pensieri non dovrebbero essere sperimentati in quanto negativi, e, l’esperienza di tali pensieri, se non controllati, potrebbe condurre a conseguenze negative.

Pensieri negativi e stati emotivi nei giocatori possono essere rappresentati dal pensiero relativo ai gioco, dal desiderio di giocare o da bassi livelli di umore, rappresentando per il giocatore potenziali trigger o possibile prova di perdita di autocontrollo.

Lindeberg et al. (2011), ipotizzano che il soggetto può ruminare e/o rimuginare su tali pensieri e stati emotivi, cercando di monitorarli o sopprimerli, esacerbando stati affettivi negativi. Secondo gli autori (Lindeberg et al., 2011) ciò a sua volta potrebbe incrementare la probabilità di ricorrere al gioco come strumento, seppur temporaneamente, di contenimento. Sulla scia di questo studio, successivi disegni sperimentali hanno fornito ulteriore evidenza del potenziale coinvolgimento delle credenze metacognitive nel gambling.

Spada et al. (2014), identificano in un campione di 10 giocatori patologici, la presenza di metacredenze positive e negative relative al gioco, il quale rappresenterebbe per gran parte dei soggetti una strategia di coping finalizzata alla risoluzione di problemi economici e/o alla regolazione degli propri stati interni emotivi-cognitivi. Un ulteriore rafforzamento del potenziale coinvolgimento della prospettiva metacognitiva nel gambling è fornita da Caselli et al. (2014), evidenziano il ruolo predittivo, indipendentemente dalla presenza di emozioni negative e craving, del pensiero desiderante a sua volta associato a credenze metacognitive positive e negative (Caselli e Spada, 2010).

Infine, in un recente studio (Mansueto et al., 2015) è stato indagato il ruolo delle credenze metacognitive in relazione alla comorbilià psichiatrica. In un campione clinico di giocatori patologici (n=69) e un campione di soggetti estratti dalla popolazione generale di (n= 58) è stata indagata la relazione tra credenze metacognitivie, sintomatologia psichiatrica e comportamenti legati al gioco, attraverso la somministrazione di questionari self-report quali South Oaks Gambling Screen (SOGS, Lesieur & Blume, 1987), Metacognition Questionnaire 30 (MCQ-II, Wells & Cartwright-Hatton, 2004), Symptom Checklist-90-R (SCL-90, Derogatis, 1994). Tale studio ha condotto ai seguenti risultati:

rispetto alla popolazione generale, i giocatori patologici sono caratterizzati dalla presenza di credenze metacognitive negative, credenze metacognitive relative alla necessità di controllo dei pensieri, e maggiore sintomatologia ansiosa, depressiva, ossessiva-compulsiva, ipersenbilità interpersonale e ostilità;

– nel campione dei giocatori patologici la relazione tra metacognizione (credenze metacognitive negative e positive) e gambling appare essere mediata dalla concorrente sintomatologia psicologica; in particolare sembra rilevate nel rapporto di mediazione, la sintomatologia dell’area ansiosa, ossessiva-compulsiva e relativa all’ipersensibilità interpersonale e all’ostilità.

Questa ricerca fornisce un ulteriore supporto a precedenti evidenze empiriche (Caselli & Spada, 2010; Lindeberg et al., 2011; Spada et al., 2014) sul coinvolgimento delle credenze metacognitive nel gambling. Sebbene i limiti impliciti dello studio dovuti all’ampiezza del campione e l’impiego di test self-report, tali risultati portano ad ipotizzare che le credenze metacognitive potrebbero contribuire al mantenimento delle condotte patologiche di gioco, probabilmente, favorendo l’esacerbazione e/o il mantenimento di stati affettivi (per lo più di natura ansiosa) concorrenti. Sulla base di quanto riportato, gli studi sopradescritti forniscono alcuni punti di riflessione in relazione a possibili implicazioni terapeutiche:

(a) forniscono preliminari evidenze sulla possibilità di considerare la Terapia Metacognitiva (Wells, 2012) un’utile integrazione nel trattamento del comportamento legato al gioco patologico e della relativa sintomatologia psicologica concorrente;

(b) in linea con il modello teorico (Wells, 2012), diversamente dalla CBT, l’intervento terapeutico non dovrà mirare a monitorare e testare la veridicità dei pensieri e delle credenze, ma dovrà focalizzarsi sul modo in cui il soggetto reagisce a queste idee, fornire strategie di gestione e cambiamento di stili di pensiero disfunzionali, nonché esser centrato sulla modifica di credenze metacognitive;

(c) si sottolinea l’importanza durante la fase di assessment di una approfondita valutazione psicodiagnostica e di un accurato assessment metacognitivo;

(d) focalizzarsi sulle credenze metacognitive disfunzionali potrebbe favorire la riduzione dei sintomi psicologici concorrenti contribuendo alla riduzione e/o contenimento delle condotte funzionali al comportamento di gioco patologico.

In conclusione i dati sembrano incoraggianti nel considerare il potenziale contributo della Terapia Metacognitiva nel Gambling, inoltre, la cornice teorica delineata appare ricca di stimoli per ulteriori studi al fine di chiarire ulteriormente il ruolo delle credenze metacognitive nell’esacerbazione e mantenimento del gambling.
Congresso Internazionale Terapia Metacognitiva Milano 2016

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