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Il mal di pancia di Kurt Cobain. Una possibile Autopsia Psicologica.

La storia di Kurt Cobain è ricca di aspetti psichiatrici e psicopatologici, culminati appunto con il gesto estremo. Vediamone alcuni.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 18 Set. 2012

Aggiornato il 18 Mar. 2013 16:18

Everything is my fault
I’ll take all the blame
Aqua seafoam shame

All apologies- Kurt Cobain – Nirvana

Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Susan McGrane-Burke

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Quando ancora oggi ascolto Kurt Cobain (1967-1994), il cantante-chitarrista leader della rock band Nirvana (fondata a Seattle nel 1987), mi vengono in mente due stati d’animo: rabbia e disperazione.

In teoria sono due stati d’animo contrastanti, perché la disperazione ha un che di passivo, in inglese si parla di hopelessness, come essere senza speranza appunto. La rabbia è sicuramente uno stato d’animo più dinamico ed attivo e credo che sia quella che conferisca alla disperazione l’energia dirompente che caratterizza la musica dei Nirvana

Rabbia e disperazione. Come un prigioniero chiuso in una gabbia per tanti anni che grida la sua voglia di uscire.

Questo solo soffermandomi sulla voce, al di là dei contenuti. La struttura di molte delle canzoni dei Nirvana è molto semplice e diretta, con una formula che ha avuto un successo clamoroso: un riff di chitarra (va bene anche se un po’ scordata o comunque con un suono sporco), una strofa cantata in modo abbastanza soft e un ritornello che letteralmente esplode, urlato disperatamente.

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I Nirvana sono stati uno dei gruppi più importanti della scena indipendente di Seattle, che tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta è stata la mecca del grunge, un genere musicale con influenze rock e punk, che ha rappresentato i cambiamenti culturali dell’America di quel periodo, contagiando poi, come spesso succede, il resto del mondo.

Creatività Musicale & Psicopatologia: Quei geni skizzati del Bebop - Immagine: Licenza Creative Commons, Autore: Tom Palumbo
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L’esplosione del gruppo è avvenuta con il secondo album Nevermind (1991) che ha venduto oltre dieci milioni di copie. Kurt Cobain è stato acclamato come portavoce involontario di “una generazione stanca di ascoltare le menzogne di genitori, governo e della musica delle radio commerciali” (Gaines, 1994), di una lost generation che si caratterizzava a partire dal look antifashion e un po’ sciatto: jeans strappati, capelli sporchi e tinti, t-shirt logore e le famigerate camicie di flanella a scacchi bianchi e rossi (modello tagliaboschi).

Paradossalmente sia la musica che il look grunge passarono in pochissimo tempo dall’essere forme di rottura alternative a divenire mode mainstream, imitate addirittura dai principali stilisti mondiali e il nostro fragile e sensibile artista non riuscì ad adattarsi a quello straordinario successo, e ai conseguenti cambiamenti che esso portò nella sua vita.

I testi dei Nirvana contengono stati d’animo di apatia, mancanza di speranza e rabbia contro un sistema sociale da cui Kurt si sentiva sempre più alienato, fino a scegliere il suicidio come via d’uscita dal disagio (anche se come per altre rockstar esistono tesi complottistiche che sostengono si sia trattato di un omicidio).

La storia di Kurt Cobain è ricca di aspetti psichiatrici e psicopatologici, culminati appunto con il gesto estremo. Vediamone alcuni.

Kurt era nato nel 1967 ad Aberdeen, una triste cittadina nello stato di Washington, sulla costa sud occidentale di Seattle, dove l’attività principale era costituita dall’industria del legname. Primo di due figli, durante l’infanzia soffrì della Sindrome da deficit di attenzione con iperattività (ADHD) e fu curato con il Ritalin (Metilfenidato). I genitori divorziarono quando aveva otto anni e il ragazzo crebbe “sballotato” tra diversi parenti. L’adolescenza fu caratterizzata da problemi nella condotta (vandalismo), esplosioni di rabbia con perdita del controllo e il consumo di sostanze stupefacenti, che continuerà per tutta la vita.

Kurt era dotato fin da piccolo di un grande talento artistico, inizialmente espresso attraverso le arti visive (frequentò una scuola superiore artistica) e successivamente nel songwriting. Iniziò a suonare la chitarra alle superiori attirato soprattutto dall’heavy metal e dal punk rock. Abbandonò la scuola poche settimane prima del diploma continuando a dedicarsi alla musica alle droghe e alla microcriminalità.

Circa due anni dopo fondò i Nirvana divenendone il leader e l’autore di musica e testi. Kurt sposò nel 1992 Courtney Love, la leader del gruppo femminile delle Hole e la coppia ebbe una figlia. Fu un matrimonio molto tumultuoso, caratterizzato da forti passioni, litigi violenti e riconciliazioni, abuso dichiarato di droghe come l’eroina, che fece perdere ben presto alla coppia la custodia della figlia, ritenuta non idonea al ruolo genitoriale.

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Oltre a periodi di depressione ricorrente, Kurt Cobain soffriva cronicamente di gravi dolori addominali, che sosteneva di riuscire a curare solamente attraverso l’effetto analgesico degli oppiacei, nella fattispecie l’eroina, di cui è stato dipendente per diversi periodi della sua vita. Abusava anche di altri analgesici.

In un intervista alla rivista Rolling Stone dichiarò che i dolori erano così forti che lo portano ad avere seri problemi di alimentazione, fino a sviluppare un’ideazione autolesiva, “…avrei voluto uccidermi ogni giorno. Ci sono andato vicino diverse volte. Mi sono trovato in tour, steso sul pavimento a vomitare aria, perché non andava giù neanche l’acqua…”.

Consultò diversi medici che non furono in grado di individuare la causa, considerando alternativamente una scogliosi infantile e lo stress. Pare che solo negli ultimi mesi della sua vita fosse stata individuata una vertebra spostata come causa del dolore, che beneficiò di un trattamento fisioterapico. Non possiamo però non ipotizzare e considerare anche il fattore psicogeno nella patogenesi di un dolore cronico così importante.

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A livello diagnostico, oltre a un evidente disturbo dell’umore e un importante abuso di sostanze, si possono rilevare dalla biografia dell’artista diversi criteri diagnostici DSM-IV (APA, 1994) tipici del disturbo di personalità borderline: impulsività, disturbi dell’alimentazione (anche se legati al dolore cronico), instabilità nelle relazioni, tentativi di suicidio.

Diversi studi sottolineano come le persone affette da depressione e da disturbo di personalità borderline presentino maggiore prevalenza di dolore cronico rispetto alla popolazione (Tragesser SL et al., 2010, Sansone e Sansone, 2012). Si ipotizza in particolare che le persone affette da disturbo di personalità borderline possano presentare un deficit di autoregolazione del dolore, oltre che delle emozioni. E’ stato dimostrato inoltre come eventi traumatici psichici (nel caso di Kurt la separazione dei genitori?) o sessuali nel periodo infantile possano predisporre l’insorgenza nell’adulto di sintomatologia dolorosa cronica e difficilmente trattabile (Schofferman et al., 1993).

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Non va inoltre trascurato il significato relazionale del dolore, nel tentativo di attivare di risposte di accudimento da parte delle figure di attaccamento. La letteratura ci mostra chiaramente come il dolore cronico figuri tra i fattori di rischio della comparsa di ideazione suicidiaria, dei tentativi autolesivi e del sucidio compiuto, con uno studio che si riferisce specificamente al dolore addominale nella popolazione ispanoamericana degli USA (Magni et al., 1998).

Possiamo dunque ipotizzare che il dolore addominale abbia avuto un ruolo fondamentale oltre che nell’abuso autoterapeutico di sostanze, anche nel favorire tendenze autolesive e suicidiarie dell’artista. In tema di autolesionismo, Kurt scrisse la canzone “I hate myself and I want to die”, che fu poi scartata dall’album In Utero (1993;…titolo delizioso per gli psicanalisti…), ma il cui contenuto è piuttosto esplicito, anche se il cantate sostenne in un’intervista che si trattasse di una frase ironica.

Il Suicidio nella Canzone d'Autore Italiana. #1 - Immagine: © olly - Fotolia.com
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Sono inoltre noti almeno due importanti tentativi autolesivi nel mese precedente al suicidio: prima Kurt fece un’ingestione incongrua di champagne e Roipnol (flunitrazepam) durante il tour europeo a Roma e successivamente si chiuse armato in una stanza a Seattle e fu costretto a uscire dalle forze dell’ordine chiamate dalla moglie. Come è noto, i tentativi di suicidio sono tuttora il principale fattore di rischio per il suicidio consumato (Owens et al., 2002). Probabilmente consapevoli di tale rischio, la moglie e i colleghi riuscirono a fare ricoverare per la disintossicazione Kurt in una clinica di Los Angeles, da cui però si allontanò poco dopo, trascorrendo gli ultimi giorni in solitudine.

Kurt Cobain si suicidò all’età di ventisette anni nel 1994 con un colpo di fucile nella sua casa di Seattle.

Era un amante delle armi che teneva regolarmente in casa, come molti americani. Anche la pronta disponibilità di mezzi letali è considerato un importante fattore di rischio suicidiario ed è il target di tante campagne di prevenzione (Sarchiapone et al., 2011).

Accanto al corpo c’era una lunga nota suicidiaria in cui Kurt raccontava il proprio profondissimo disagio da individuo ipersensibile quale era (“…penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile…!”) e la mancanza di entusiasmo nel continuare il lavoro di musicista che è ben sintetizzata nella frase di una canzone di Neil Young contenuta nella lettera “è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”.

Nella nota Kurt si rivolge alla moglie e alla figlia e pare mostrare un atteggiamento paradossalmente protettivo nei confronti di quest’ultima, a cui sembra tentare di giustificare il proprio gesto (“Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me”).

Le analisi tossicologiche hanno mostrato presenza di eroina e benzodiazepine. Il suicidio dell’artista non ha determinato il temuto effetto werther (fenomeno per cui la notizia di un suicidio pubblicata dai mezzi di comunicazione di massa provoca nella società una catena di altri suicidi) nei mesi successivi all’evento, nonostante l’enorme eco suscitato dalla vicenda sui media specializzati e non (Martin and Koo, 1996; Jobes et al, 1996). Questo può essere stato dovuto al modo corretto da parte dei media di trattare la notizia, enfatizzando l’artista, ma stigmatizzando il tragico gesto.

Anche il modo particolarmente violento con cui Kurt si è suicidato, ne ha allontanato l’immagine da quella di star solitaria romantica e incompresa, che si lascia morire in modo dolce dal sonno all’overdose, come ad esempio Marylin Monroe. Pare inoltre che sia stato molto efficace nel disincentivare i comportamenti imitativi, la diffusione di una registrazione in cui la moglie legge parti della nota suicidiaria, esprimendo sincere imprecazioni di rabbia e di profondo dolore per la perdita, che hanno reso l’evento molto reale, con poco spazio per il romanticismo o l’idealizzazione.

Il suicidio di Kurt Cobain e la conseguente “autopsia psicologica” pone l’accento su una categoria particolarmente a rischio su cui devono concentrarsi gli interventi di prevenzione: giovani uomini, dediti all’uso di sostanze, che non hanno compliance alle cure e che hanno accesso a mezzi autolesivi letali. We must care…!

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