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Il cervello rettiliano esiste? Limiti del modello del cervello trino 

Secondo alcune ricerche, la premessa di base di MacLean che i sistemi cerebrali siano stati aggiunti nel corso dell'evoluzione sarebbe discutibile

Di Giovanni Maria Ruggiero, Mattia Ferro, Gabriele Caselli, Sandra Sassaroli

Pubblicato il 28 Ott. 2022

Aggiornato il 02 Nov. 2022 11:33

LEGGI ANCHE LA PRIMA PARTE DI QUESTO EDITORIALE

Nell’articolo esaminiamo gli aspetti a nostro avviso critici dell’applicazione del modello neuroscientifico del cervello trino alla psicoterapia cognitivo-comportamentale, osservando in particolare i limiti del modello di MacLean.

 

Mentre nella prima parte di questo articolo abbiamo esplorato l’applicazione del modello neuroscientifico del cervello trino alla psicoterapia cognitivo-comportamentale, in questa seconda parte esaminiamo quelli che sono a nostro avviso gli aspetti critici di questa operazione. Prima di tutto osserviamo che già il modello in sé ha i suoi limiti. Già secondo Terrence Deacon (1990), ricerche successive a MacLean hanno rivelato che la premessa di base di MacLean che i sistemi cerebrali sono stati aggiunti per accrescimento nel corso dell’evoluzione è discutibile. Gli organi non si evolvono per aggiunte successive. Per Deacon Il modello di MacLean ha promosso storicamente la comprensione del cervello in termini evolutivi, ma scientificamente era fuorviante.

Per la neurologa Lisa Feldman Barrett (2019), l’idea che i nostri cervelli siano delle matrioske l’una dentro l’altra è un concetto avvincente ma ingannevole. Il cervello della maggior parte dei vertebrati è costituito dagli stessi tipi di neuroni. È il numero di neuroni e la loro disposizione che differiscono da specie a specie. I progressi nelle tecniche di sequenziamento genico hanno permesso di scoprire che la maggior parte dei cervelli dei vertebrati sono fatti degli stessi identici ingredienti; che non ci sono parti recenti e primitive del cervello.

La miglior sintesi di queste perplessità la si trova in una rassegna di Steffen, Hedges e Matheson, che dopo aver esaminato la letteratura scientifica concludono che sarebbe meglio sostenere che il cervello è adattivo e non trino. Non vi è una netta suddivisione tra funzioni e stati ad alta e bassa controllabilità consapevole ma una capacità, di certo plastica ed epigeneticamente modellata, ovvero variabile a seconda delle circostanze e delle storie personali degli individui, di regolare gli stati emotivi a diversi gradi di efficienza. Questa regolazione effettivamente tende ad avvenire a un livello indiretto e metacognitivo ovvero processuale, non per azione immediata, ma avviene in termini diffusi e non secondo barriere più o meno invalicabili. Insomma, emozione e cognizione sono interdipendenti e lavorano insieme.

Le obiezioni alla teoria del cervello trino

 Steffen, Hedges e Matheson (2022) discutono tre diverse classi di obiezioni per la teoria del cervello trino. In primo luogo, il cervello non si è evoluto in fasi successive come ipotizzato da MacLean (1990). L’idea che l’evoluzione dei vertebrati sia consistita in strutture cerebrali più nuove sovrapposte sopra e sopra strutture cerebrali antiche non è evolutivamente giustificabile (Cesario, Johnson e Eisthen, 2020). In realtà, le regioni neurali di base sono condivise tra tutti i vertebrati. Inoltre non vi è necessariamente una progressione lineare dal rettile all’uomo (Striedter, 2005).

In secondo luogo, le strutture cerebrali non funzionano indipendentemente l’una dall’altra (Heimer e Van Hoesen, 2006). Durante le risposte emotive, c’è attività nell’amigdala e nel sistema limbico, ma c’è anche attività nelle aree corticali e nel tronco cerebrale (LeDoux, 2012). Il sistema limbico non è un centro puramente emotivo nel cervello. L’ippocampo è considerato parte del sistema limbico ma che non è una regione cerebrale essenzialmente emotiva ma è più strettamente associato alla memoria (Ledoux, 2012). Insomma, l’emozione e la cognizione non sono eventi indipendenti corrispondenti ad architetture cerebrali separate. Piuttosto, sono funzioni interconnesse che lavorano di concerto. Per questo il termine “sistema limbico” non è più un termine comunemente usato per descrivere come funziona il cervello (Bush et al., 2002; Shackman et al. 2011). Il “sistema limbico” perde la sua utilità anche in ambito clinico; poiché l’affetto è il culmine di un’ampia gamma di processi correlati che non possono essere ridotti a stati di impulsività incontrollabile come rischia di suggerire l’ipotesi del cervello trino (Barrett, 2017).

In terzo luogo, gli attuali risultati della ricerca neuroscientifica forniscono ulteriori obiezioni alla teoria del cervello trino. La ricerca sulla paura fornisce un esempio. Non esiste un circuito cerebrale della paura che si accenda durante una risposta alla paura, ma per il resto giace dormiente. Le reti cerebrali hanno sempre un certo livello di attività che influisce sul modo in cui elaborano le informazioni (Barrett, 2017). Ciò che cambia è l’attività relativa delle diverse reti cerebrali, con le reti attivate in modo differenziato in base al bisogno (Anticevic et al., 2011; Corbetta et al., 2008; Fox et al., 2005; Raichle et al., 2001).

Una teoria evolutiva più esplicativa su come funziona il cervello ha bisogno di integrare una conoscenza accurata della struttura e della funzione del cervello. L’adattamento, la sopravvivenza e la riproduzione sono al centro della teoria evolutiva e le reti cerebrali interdipendenti si sono evolute per aumentare l’adattamento per poter sopravvivere e riprodursi. Inoltre, i risultati emergenti suggeriscono che il cervello utilizza le informazioni enterocettive ed esterocettive per prevedere le condizioni future e ha bisogno di consentire un adattamento ottimale agli ambienti interni ed esterni in continuo cambiamento (Quigley et al., 2021; Brossschot et al., 2018; Thayer e Lane, 2009; Van den Bergh et al., 2021). Sulla base di una migliore comprensione di come funziona il cervello, Steffen, Hedges e Matheson propongono di sostituire “cervello trino” con un termine che cattura meglio l’attuale comprensione della funzione cerebrale: il cervello adattivo. In questo modello, il termine cervello adattivo sottolinea l’interdipendenza e la plasticità delle regioni cerebrali e la capacità del cervello di prevedere e adattarsi ai bisogni e alle condizioni future. Invece di tre regioni cerebrali relativamente indipendenti le reti cerebrali lavorano insieme in modo interdipendente; invece di circuiti emotivi o circuiti cognitivi puri, il cervello utilizza reti interconnesse per ottimizzare il mantenimento dello stato interno del corpo, delle emozioni e della cognizione per adattarsi a bisogni in continua evoluzione (Barrett, 2017).

È interessante notare le analogie tra questo modello di cervello adattivo e non trino e i modelli processuali. Come nei modelli processuali, non siamo in presenza di strutture separate ma di funzioni intrecciate e interdipendenti come avviene nel funzionalismo processuale cognitivo. Sarebbe ancora più intrigante esplorare se anche in questo cervello adattivo neuroscientifico la disfunzione non dipende da barriere architettoniche che bloccano definitivamente le comunicazioni dissociando le strutture cerebrali ma da disfunzioni che limitano in un uso rigido ma non lesionato le funzioni mentali.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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