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Sfidare la sinestesia! È possibile ricreare esperienze sinestetiche in soggetti non sinesteti?

Secondo un recente studio la sinestesia non è il risultato di una connettività cerebrale anomala ma piuttosto di una regolazione contingente multimodale.

Di Lorenzo Mattioni

Pubblicato il 12 Lug. 2019

E se la sinestesia fosse un normale processo di integrazione sensoriale? Alcuni ricercatori sono riusciti a sviluppare un paradigma in grado di generare esperienze sinestetiche in soggetti non sinesteti.

 

Il fenomeno per il quale la stimolazione di una determinata via sensoriale conduce ad un’automatica esperienza cognitiva attraverso una seconda via è detto sinestesia, e storicamente viene connesso ad una connettività cerebrale anomala. Gli individui che riportano queste esperienze lungo il corso della vita, senza utilizzo di sostanze psicotrope, vengono definiti sinesteti.

Le modalità sensoriali sono un repertorio innato, non siamo in grado di “apprendere” nuovi sensi. Il nostro sistema percettivo è invece soggetto a maturazione. Le sensazioni provenienti da una determinata modalità possono essere associate a quelle delle altre, in modo che gli stimoli possano essere integrati o selezionati in base alle richieste ambientali. Ad esempio, la modulazione visiva audio-indotta può aumentare l’eccitabilità della corteccia visiva, comportando migliore individuazione e discriminazione degli stimoli. Ciò può però condurre a fenomeni dispercettivi, come quando, guardando qualcuno parlare attraverso un microfono, colleghiamo la provenienza del suono amplificato alla bocca dell’oratore, invece che agli altoparlanti.

La sinestesia è o non è un fenomeno stra-ordinario?

Una recente ricerca (Nair & Brang, 2019) ha sfidato la concezione corrente di sinestesia, elaborando un semplice paradigma in grado di generare fenomeni sinestetici in non sinesteti. In tre esperimenti i ricercatori hanno dimostrato come, dopo alcuni minuti di deprivazione sensoriale, un breve compito di imagery è sufficiente ad evocare sensazioni visive associate a stimoli sonori quasi nel 60% dei soggetti.

I risultati supportano una visione della sinestesia nell’ambito di una regolazione contingente multimodale, che permette ad una modalità sensoriale di esercitare maggiore controllo modulatorio sull’altra, senza bisogno di cambiamenti connettivi anatomici. In questo caso, la dispercezione sarebbe sottesa da un aumento di guadagno del sistema acustico su quello visivo, derivante dalla deprivazione sensoriale, che può abbassare la competizione fra le informazioni provenienti da questi due sistemi.

Questa nuova concezione della sinestesia come normale processo di integrazione sensoriale potrebbe offrire importanti spunti di approfondimento su quella fetta di popolazione clinica affetta da fenomeni allucinatori, e più in generale, sulle potenzialità del nostro sistema percettivo.

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La sinestesia è una contaminazione sensoriale, è quel fenomeno percettivo in cui due sensi, percepiti come distinti, si manifestano contemporaneamente.

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