World Congress for Psychotherapy (2025)
La giornata del 18 luglio del World Congress for Psychotherapy 2025 è stata particolarmente ricca di interventi transculturali, con un programma che ha davvero fatto il giro del mondo attraverso diverse prospettive terapeutiche. Dai modelli conversazionali australiani alla terapia esistenziale in Arabia Saudita, passando per l’antica saggezza dello yoga e per la diffusione della psicoterapia in Africa, la giornata ha offerto uno spaccato affascinante della diversità culturale nel campo della psicoterapia.
L’Australia e il modello conversazionale di Korner
Anthony Korner, psichiatra, psicoterapeuta e Direttore del Master in Trauma-Informed Psychotherapy all’Università di Sydney, ha aperto la giornata presentando quello che potrebbe essere considerato uno dei contributi più innovativi dell’Australia al mondo della psicoterapia: il modello conversazionale. “Abbiamo imparato molto dalle culture indigene australiane”, ha spiegato Korner, riferendosi al concetto di “Yarni” – l’ascolto attivo e la creazione collaborativa che caratterizza le tradizioni aborigene.
Tuttavia, l’entusiasmo di Korner per l’armonia sociale della tradizione indigena australiana è apparso a tratti eccessivamente idealizzato, trascurando le complessità e i conflitti che caratterizzano ogni società umana. Nonostante questo limite, le sue osservazioni sullo psicoanalista tradizionale come figura potenzialmente persecutoria risultano particolarmente acute e provocatorie e il suo superamento grazie all’idea tradizionale australiana dello Yarni è un’opportunità di integrazione culturale.
Il modello conversazionale “Yarni” rappresenta una vera e propria sfida all’ortodossia freudiana. Dove Freud vedeva repressione e regolazione dall’alto verso il basso, questo approccio pone l’accento sulla dissociazione e sull’organizzazione verticale. Ma la differenza più radicale riguarda la visione della prima infanzia: lungi dall’essere una fase autistica come sosteneva il padre della psicoanalisi, i primi anni di vita sono caratterizzati da una natura relazionale fin dalla nascita.
“La terapia è un processo creativo e collaborativo”, ha sottolineato Korner, “non si tratta solo di analisi o interpretazione, ma di favorire la crescita personale attraverso lo scambio empatico”. Un approccio che mette in discussione anche i dogmi della durata terapeutica: addio alle lunghissime analisi, il modello conversazionale suggerisce che si possa fare la differenza in un arco temporale ragionevole di 3-4 anni.
La svolta dell’epistemic trust nel modello di Fonagy
Se Korner ha portato la voce dell’Oceania, Peter Fonagy, professore all’University College London e figura tra le più influenti della psicoanalisi contemporanea, ha rappresentato l’eccellenza della ricerca occidentale con la sua presentazione sull’epistemic trust, un concetto che sta ridefinendo il modo di pensare l’efficacia terapeutica. “La fiducia epistemica – la nostra disponibilità a considerare nuove informazioni come credibili e rilevanti – è il cuore dell’apprendimento sociale”, ha spiegato il professore dell’University College London.
L’idea di epistemic trust rappresenta indubbiamente un passo avanti rispetto alla definizione classica di mentalizzazione, offrendo una chiave di lettura più specifica per comprendere i meccanismi del cambiamento terapeutico. Tuttavia, la sua “modalità noi” della mentalizzazione – dove terapeuta e paziente pensano insieme in modo collaborativo – solleva alcune questioni critiche: non tiene sufficientemente conto del fatto che anche idee condivise possono essere disfunzionali, e che il pensiero collettivo non è automaticamente garanzia di verità o salute mentale.
Inoltre, quando Fonagy parla della necessità per il terapeuta di essere “onesto, trasparente ed egualitario”, non fornisce indicazioni operative concrete su come questi principi debbano tradursi nella pratica clinica quotidiana. “Non basta essere bravi tecnicamente”, ha chiarito Fonagy, “bisogna essere onesti, trasparenti ed egualitari per conquistare la fiducia del paziente” – ma resta da definire cosa significhi concretamente questa trasparenza nel setting terapeutico.
Particolarmente toccante è stata la sua analisi del trauma infantile: “Gli individui traumatizzati spesso sperimentano una ‘pietrificazione epistemica’, resistendo alle nuove conoscenze”. Un paradosso doloroso che li porta a oscillare tra ipervigilanza epistemica (estrema sfiducia) e credulità assoluta.
La sfida al tabù sessuale nel mondo arabo
Kamal Raddaoui, ex professore ordinario di Psichiatria all’Università Mohamed V di Rabat con oltre 1500 pubblicazioni all’attivo, ha offerto una prospettiva sul mondo arabo che, pur ricca di spunti interessanti, ha restituito un’immagine forse eccessivamente arretrata e monolitica di queste culture. “La psicoanalisi incontra significative resistenze nel nostro contesto”, ha ammesso con franchezza Raddaoui, ma la sua presentazione ha rischiato di perpetuare stereotipi piuttosto che offrire una visione più sfumata e contemporanea.
Tuttavia, tra le righe del suo intervento è emersa una riflessione provocatoria: Raddaoui sembra suggerire che la psicoanalisi potrebbe essere chiamata a svolgere nel mondo arabo contemporaneo un ruolo di rottura del tabù sessuale analogo a quello che ha svolto in Occidente nel secolo scorso. Una prospettiva che, se da un lato appare riduttiva nel ricondurre la resistenza alla psicoanalisi ai soli aspetti sessuali, dall’altro riconosce il potenziale trasformativo di un approccio che mette al centro la parola libera e l’esplorazione dell’inconscio.
Le sfide sono effettivamente molteplici e complesse. In una cultura basata sulla vergogna piuttosto che sulla colpa (tipicamente occidentale), dove l’identità collettiva prevale sull’individualismo e dove molti argomenti, soprattutto quelli legati alla sessualità, rimangono tabù, adattare i modelli terapeutici occidentali diventa un’operazione delicata.
“Abbiamo una ricca storia medica”, ha ricordato Raddaoui, riferendosi ai primi ospedali psichiatrici (“maristades”) costruiti in Siria nel 707 d.C., “ma oggi dobbiamo fare i conti con la fusione di religione e politica che complica gli approcci terapeutici secolari”. La migrazione massiccia e i cambiamenti demografici stanno inoltre creando nuove sfide, richiedendo approcci sempre più culturalmente adattivi.
L’antica saggezza indiana dello yoga nell’educazione moderna
La dottoressa Pinki Bhanot, specialista in Filosofia Yoga con background interdisciplinare in Botanica, Filosofia, Yoga e Naturopatia, ha portato a Vienna l’eco millenaria della tradizione yoga, ma la sua presentazione ha evidenziato una distinzione fondamentale spesso trascurata. “Lo yoga si è evoluto da pratica spirituale a strumento moderno per il benessere”, ha spiegato la specialista in filosofia yoga, distinguendo chiaramente tra uno yoga tradizionale non interessato alla scoperta del sé individuale e profondo, e uno yoga occidentalizzato che invece persegue proprio questi obiettivi di autoconoscenza e sviluppo personale.
Questa distinzione è tutt’altro che marginale: mentre lo yoga tradizionale mirava alla dissoluzione dell’ego individuale nel tutto cosmico, le versioni contemporanee spesso enfatizzano proprio il rafforzamento e la scoperta dell’identità personale. “La sfida è preservare l’autenticità mentre ci adattiamo alle esigenze contemporanee”, ha aggiunto Bhanot, ma questa autenticità va necessariamente ridefinita alla luce di obiettivi spesso opposti.
Il percorso a otto rami dell’Ashtanga Yoga – dagli Yama (restrizioni morali) al Samadhi (unione) – rappresenta una guida completa per la crescita umana che trova sempre più spazio nei sistemi educativi e sanitari moderni. “Il futuro dello yoga”, ha concluso Bhanot, “risiede nell’integrazione della saggezza antica con l’accessibilità moderna, creando approcci educativi olistici e inclusivi”.
La terapia esistenziale dei valori sociali in Arabia Saudita
Chiude il nostro viaggio mondiale la dottoressa Nisreen Yacoub, consulente psicologica autorizzata e Professoressa Associata presso la King Abdulaziz University di Jeddah dal 2006, che dall’Arabia Saudita ha portato la sua esperienza nell’applicazione della terapia esistenziale in un contesto culturale particolarmente complesso. Il suo approccio si è rivelato probabilmente il più interessante nell’affrontare concretamente i problemi della transizione alla modernità di un paese non occidentale.
La storia professionale di Yacoub illustra perfettamente questa evoluzione: inizialmente aveva adottato il modello client-centered di Carl Rogers, il cui obiettivo finale è l’auto-accettazione incondizionata del cliente. Tuttavia, l’applicazione di questo approccio nella cultura saudita si è rivelata problematica. “La cultura araba propone valori sociali e obiettivi morali molto severi che non permettono l’auto-accettazione incondizionata”, ha spiegato Yacoub, descrivendo le difficoltà incontrate nel tentativo di applicare acriticamente un modello occidentale.
Da qui la necessità di sviluppare un nuovo approccio esistenziale che, invece di puntare all’accettazione incondizionata di sé, incoraggia le persone a negoziare attivamente il contrasto tra valori sociali stringenti e bisogni individuali emergenti. “Il nostro approccio si concentra sull’aiutare i clienti ad accettare l’incertezza e fare scelte allineate con i loro valori”, ha spiegato la professoressa della King Abdulaziz University.
Particolarmente interessante il suo approccio al “danno minimo”: “Ogni scelta comporta dei compromessi”, ha chiarito Yacoub, “la terapia esistenziale aiuta i clienti ad accettare questi compromessi e a scegliere quelli più allineati con i propri valori personali, non quelli ereditati dalla famiglia o dalla società”. Questo approccio risulta particolarmente efficace nel contesto saudita, dove le tensioni tra tradizione e modernità, tra valori familiari e scelte individuali, sono quotidianamente vissute dalle persone senza possibilità di risoluzione definitiva.
Yacoub ha mostrato come sia possibile lavorare terapeuticamente su questi conflitti senza cadere nell’imposizione di modelli occidentali o nella demonizzazione delle tradizioni locali, ma piuttosto aiutando i pazienti a sviluppare la capacità di navigare creativamente tra sistemi valoriali spesso in tensione tra loro.
La Nascita e la diffusione della Psicoterapia in Africa
L’ultima giornata del World Congress for Psychotherapy 2025 a Vienna si è conclusa con una keynote sui progressi della psicoterapia nel continente africano. Il Professor Sylvester Ntomchukwu Madu dell’Università Chukwuemeka Odumegwu Ojukwu in Nigeria ha presentato un quadro affascinante degli sviluppi recenti in questo campo, con particolare focus sull’esperienza nigeriana e sull’innovativa Scuola di Psicoterapia e Scienze della Salute di Okija.
Durante il suo intervento, il Professor Madu ha raccontato come egli, fin dagli anni ’90, ha organizzato conferenze di psicoterapia in tutto il continente, dalla prima storica conferenza in Uganda fino al prestigioso 7° Congresso Mondiale di Psicoterapia tenutosi a Durban nel 2014.
Il culmine di questo impegno è stata la fondazione nel 2015 della Scuola di Psicoterapia e Scienze della Salute a Okija, in Nigeria, un’istituzione affiliata all’Università Sigmund Freud di Vienna che ha appena celebrato il suo decimo anniversario nell’aprile 2025. La scuola rappresenta un ponte tra l’eccellenza accademica europea e le specificità culturali africane.
La scuola nigeriana offre attualmente formazione in tre aree principali: Client Centered Psycotherapy, Terapia Cognitivo-Comportamentale e Problem Solving Therapy. Ma l’ambizione è più ampia: sono in programma l’espansione della formazione online e lo sviluppo di nuove specializzazioni per rispondere alla crescente domanda di professionisti qualificati.
Dal 2016, la scuola organizza conferenze annuali che sono diventate un punto di riferimento per la comunità psicoterapeutica africana. Parallelamente, l’International Journal of Psychotherapy in Africa, pubblicato annualmente dal 2015, ha fornito una piattaforma accademica per la ricerca e il dibattito scientifico.
L’Approccio Culturale Afrocentrico
Uno degli aspetti più innovativi emersi dalla keynote è l’approccio integrato che la scuola sta sviluppando. Invece di importare semplicemente modelli occidentali, i ricercatori africani stanno creando metodologie che dialogano con le tradizioni di guarigione locali. Sono nati così approcci originali come la Terapia di Restaurazione dell’Armonia e due trattamenti dal nome etnico e misterioso che purtroppo il prof. Madu non ha descritto: la Terapia “Meseron” e la Terapia “Invenia”.
Il Professor Madu ha illustrato il concetto di “punto di fusione psicoterapeutico”, un modello che integra armoniosamente valori occidentali, tradizioni africane e elementi religiosi. Questo approccio non rappresenta solo un adattamento culturale, ma una vera e propria innovazione metodologica che potrebbe offrire spunti preziosi alla comunità internazionale.
Lo stigma della sofferenza mentale in Africa
Nonostante i progressi, rimangono sfide significative. Lo stigma che circonda la salute mentale e la limitata comprensione della psicoterapia tra il pubblico generale rappresentano ancora ostacoli importanti. Il Professor Madu ha sottolineato la necessità di formare più psicoterapeuti e di diversificare le specializzazioni disponibili.
Tuttavia, le prospettive sono incoraggianti. Si registra un crescente interesse per la formazione in psicoterapia non solo tra i professionisti sanitari, ma anche tra i leader religiosi, figura centrale nelle comunità africane. Questo fenomeno potrebbe accelerare l’accettazione sociale della psicoterapia e ridurre lo stigma associato ai problemi di salute mentale.
Verso il Futuro
I prossimi passi delineati durante la keynote includono l’espansione dei programmi di formazione online, lo sviluppo di nuove ricerche sugli approcci afrocentrici e il rafforzamento delle collaborazioni internazionali. L’esperienza della scuola di Okija dimostra che è possibile creare centri di eccellenza anche in contesti che partono da condizioni difficili.
Il messaggio che emerge da Vienna è chiaro: la psicoterapia africana non è solo in fase di sviluppo, ma sta contribuendo attivamente all’evoluzione della disciplina a livello mondiale. L’integrazione tra tradizione e innovazione, tra saggezza ancestrale e ricerca scientifica moderna, rappresenta un modello che potrebbe ispirare approcci simili in altre regioni del mondo.
L’intervento del Professor Madu ha chiuso il World Congress for Psychotherapy 2025 con una nota di speranza e di rinnovato impegno verso una psicoterapia sempre più inclusiva e culturalmente sensibile, dimostrando che l’innovazione in questo campo può nascere da ogni angolo del mondo.