Piangere in psicoterapia: quali effetti?
Piangere è un’esperienza comune durante le sedute di psicoterapia: il pianto può essere benefico e riflettere un livello significativo di coinvolgimento del paziente nel processo terapeutico. La letteratura scientifica evidenzia che il pianto in psicoterapia è un’esperienza positiva e utile che favorisce la riduzione della tensione e dei sentimenti negativi (Capps et al., 2015). Piangere in psicoterapia, se vissuto in modo sintonizzato con il terapeuta e sostenuto da comprensione, validazione autentica e interventi che favoriscono l’integrazione dei vissuti, rappresenta un’esperienza significativa e rilevante dal punto di vista clinico per il progresso della terapia (Capps et al., 2015). L’esperienza del pianto è strettamente interdipendente all’alleanza terapeutica, ad esempio nelle condizioni in cui il pianto in terapia è vissuto come un momento di maggiore connessione, sintonizzazione e attaccamento con il terapeuta (Zingaretti et al., 2017).
Cosa ci dicono gli studi sul pianto in psicoterapia?
Secondo uno studio italiano di Genovese e colleghi (Genovese et al., 2021), l’83% dei pazienti piange in terapia e il 42% pensa che piangere migliori la loro relazione terapeutica, mentre nessuno dei soggetti ritiene che il pianto possa rischiare di inficiare la relazione terapeutica.
Uno studio di Katz e colleghi (Katz et al., 2024), pubblicato sulla rivista “Professional Psychology: Research and Practice”, ha analizzato e approfondito in un ampio campione di persone l’esperienza del pianto durante la psicoterapia, considerando diversi fattori tra cui le caratteristiche della relazione terapeutica, gli stili di attaccamento del paziente e gli esiti terapeutici.
Gli autori hanno ipotizzato che i pazienti con attaccamento insicuro abbiano la tendenza a considerare il piangere in psicoterapia come più intenso e più significativo rispetto ai soggetti con attaccamento sicuro, e che in generale esperienze “positive” di pianto (cioè, un pianto a seguito del quale emergano anche sensazioni positive legate al fatto di averlo esperito in terapia) siano correlate a una migliore alleanza terapeutica.
Per dare risposta a queste tematiche, gli autori hanno raccolto dati da più di 120 persone attraverso una survey online che andava ad indagare, attraverso modalità self-report, l’esperienza del pianto in terapia, e a misurare alcuni fattori quali gli esiti e i cambiamenti della terapia, l’alleanza terapeutica e lo stile di attaccamento.
I risultati delle analisi dei dati raccolti hanno messo in evidenza che in alcuni casi vi sarebbero vissuti emotivi positivi (come, ad esempio, senso di sollievo) che insorgono a seguito dell’esperienza, seppur dolorosa, di pianto in psicoterapia, e che proprio questi vissuti positivi conseguenti sarebbero correlati alla percezione del paziente di progressi maggiori nella psicoterapia. Dai dati emerge che ciò che sembra rilevante ai fini degli esiti terapeutici non è tanto la quantità degli episodi di pianto, quanto la qualità dell’esperienza stessa.
Quindi, non basterebbe semplicemente piangere in psicoterapia, né piangere molto, ma sarebbero i vissuti positivi conseguenti al pianto ad essere correlati all’alleanza terapeutica e ai cambiamenti percepiti durante la psicoterapia. Si tratta della qualità dell’esperienza del pianto legata anche alla sua esplorazione come opportunità di aumento della consapevolezza: secondo lo studio sarebbero i vissuti emotivi positivi conseguenti a quel pianto doloroso che si correlano alla percezione di un miglioramento nel processo terapeutico.
In relazione allo stile di attaccamento, le persone con attaccamento insicuro, nonostante quote esperite di maggior disagio durante gli episodi di pianto, riferiscono però di sentirsi più comprese dal proprio terapeuta a seguito di tali esperienze.
Gli autori evidenziano l’importanza che il pianto in psicoterapia si presenti nel contesto relazionale in cui il terapeuta sia autenticamente supportivo, validante, comprensivo e sintonizzato ai vissuti espressi dal paziente durante l’episodio del pianto, con particolare attenzione a favorire l’esplorazione, comprensione e l’integrazione degli stati interni ed emozioni espresse nella relazione terapeutica: finestre di opportunità per rafforzare l’alleanza e il processo di cambiamento per la diade terapeutica.