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‘’Ma questa è arte’’: come opera la persuasione online

Una recente ricerca ha indagato in che modo può agire la persuasione online che risiede dietro le pagine internet

Di Beatrice Baroni

Pubblicato il 14 Ott. 2024

Come agisce la persuasione online?

Le numerose ricerche di neuroscienze e di economia comportamentale hanno scandagliato ampiamente il funzionamento del nostro cervello e i motivi alla base dei comportamenti più disparati. E di una cosa si è certi: all’essere umano costa una fatica enorme ragionare (Stanovich, 2021), motivo per cui si usa il termine inglese cognitive misers (ossia “cognitivamente avari”) per riferirsi al fenomeno per cui nei processi mentali – soprattutto decisionali – il cervello umano cerca di lavorare in modo ottimizzato così da poter risparmiare tempo e possibilmente arrivare alla migliore soluzione con il minimo sforzo (VandenBos, 2015). Diventa quindi istintuale cedere al fascino del comfort che solo le scorciatoie cognitive sanno offrire, come euristiche e bias cognitivi

Sotto questo aspetto, l’ambito della navigazione online è quello in cui gli utenti sono continuamente bombardati da tentativi di persuasione e di nudges, che ricordiamo essere l’insieme di tecniche utilizzate per operare la cosiddetta spinta gentile affinché si possano promuovere nelle persone comportamenti e condotte a vantaggio del proprio benessere in varie aree della vita. Il tutto avviene sempre mantenendo aperta la possibilità per l’utente di operare la propria scelta individuale (Thaler & Sunstein, 2008) e differenziando così il nudge da una mera tecnica manipolatoria.

In questo modo però si invita l’utente a rimanere “comodo” e a lasciare che sia il sistema a prendere le decisioni per lui e “per il suo bene”, o almeno così dovrebbe essere. 

Ma tutto ciò a che prezzo? E quali conseguenze sulla salute mentale?

È infatti questo il tema al centro dell’accurata revisione sistematica condotta dal professor Patrick Fagan della University of the Arts di Londra: in che modo può agire la persuasione che risiede dietro le quinte delle pagine internet?

Una panoramica generale sulla persuasione online

Da questa revisione della letteratura ciò che emerge non è un quadro particolarmente rassicurante: chi naviga in internet quotidianamente, e cioè praticamente tutti – fatta eccezione forse per gli abitanti delle Samoa Americane e pochi altri – è continuamente preda di tentativi più o meno raffinati di nudgedigitali. Di questi se ne incontrano di diversi tipi, che possono essere evidenti come, ad esempio, le fastidiose ma necessarie impostazioni di default dei cookies (Samson, 2014) che normalmente (per comodità appunto) in pochi si accingono a cambiare, fino ad arrivare a livelli in cui i nudge digitali si trasformano in strumenti che possono addirittura favorire gli acquisti impulsivi (Sin et al., 2022). 

Nudge “buoni” e nudge “cattivi”?

Sludges è un termine inglese con cui normalmente si indica il fango, è qui utilizzato come contrario di nudge, per indicare la sua natura malevola che lo distingue dai nudge.

Un nudge può quindi essere definito “cattivo” nel momento in cui cessa di essere trasparente diventando fuorviante e ingannevole.

Come spiega Richard Thaler nel suo articolo Nudges not Sludges (2018), gli sludges possono assumere due forme: possono manipolare le persone portandole a adottare condotte sconsigliate spacciandole per ottimali, oppure incoraggiare comportamenti non consapevoli, indurre quindi le persone a compiere scelte poco ragionate che possono tradursi ad esempio nel far credere di essere di fronte all’affare più conveniente di sempre.

Smascherare i dark patterns

Da alcuni studi che Fagan riporta nella sua revisione, sono stati raggruppati tutti i “dark nudges” sotto l’acronimo FORCES in quanto accomunati dalle seguenti caratteristiche: 

  • Frame (F): quando le informazioni sono presentate all’interno di una cornice che trae in inganno come, ad esempio, citare un prezzo vecchio quando invece nel frattempo è cambiato, oppure etichettare un prodotto come in quantità limitata quando invece non lo è;
  • Obstruct (O): ritardare o ostacolare un processo come può esserlo la cancellazione di un account o il disiscriversi da una newsletter;
  • Ruse (R): gli utenti sono indotti nel fare una scelta senza che abbiano tutte le informazioni necessarie durante le fasi iniziali e intermedie del processo di scelta, come le tasse di spedizione che vengono poi aggiunte al carrello nella fase finale del processo di acquisto;
  • Compel (C): obbligare l’utente a compiere un’azione contro la sua volontà. Come il doversi necessariamente registrare a un sito per accedere ai contenuti
  • Entangle (E): cioè rimanere intrappolati in una pioggia di finte notifiche provenienti da sistemi con cui non si ha mai interagito, oppure continuare a sentire in sottofondo il suono di un video pubblicitario mentre si consulta una pagina web e non riuscire a interromperlo;
  • Seduce (S): si fa leva sul piano emotivo anziché su quello razionale magari mettendo l’utente nelle condizioni di prendere una decisione in poco tempo (es. terminare un acquisto con un countdown) o bombardarlo con informazioni personalizzate che mirano alle vulnerabilità individuali.

L’impatto della persuasione online sulla salute mentale

Uno degli effetti immediati di queste tecniche di persuasione digitale risiede nel trattenere l’utente e portarlo a spendere il più tempo possibile online. Dai dati raccolti dalla società di ricerche inglese GWI, in Italia si spendono in media 5,47 ore al giorno su internet (Kemp, 2024). Questo può avere conseguenze disastrose sulla salute mentale in generale (Braghieri et al., 2022) e costituire la base per lo sviluppo di una sintomatologia di dipendenza di vario tipo o arrivare a innestare condotte di acquisto incontrollato e impulsivo. 

Tuttavia, scrive Fagan, ci sono comunque interventi comportamentali ben congegnati online che hanno anche il potenziale per aiutare le persone a imparare a prendersi cura della propria salute mentale. Ad esempio, facendo in modo che il tempo passato davanti allo schermo diventi un uso del tempo consapevole oppure con campagne mirate alla sensibilizzazione sull’importanza della salute mentale (Ahmad et al., 2022).

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