Il trattamento dei disturbi alimentari
I Disturbi dell’Alimentazione (DA) rappresentano condizioni psicologiche gravi e tendenti alla cronicizzazione, associate ad un’elevata prevalenza, specialmente in specifiche popolazioni considerate a rischio. Tuttavia, si stima che solo una percentuale compresa tra il 13 e il 35.6% di individui con tale patologia ricerchi un trattamento professionale per migliorare il proprio quadro sintomatologico (Bohrer et al., 2017; Forrest et al., 2017; Sonneville & Lipson, 2018).
Queste percentuali risentono dell’influenza di fattori di natura demografica, quale l’appartenenza a minoranze etniche, l’età del paziente, il genere con cui lo stesso si identifica; si osserva, infatti, che individui parte di gruppi etnici minoritari, nonché coloro che si identificano nel genere maschile tendano a ricercare in misura minore un intervento professionale (Hay et al., 2005; Kazdin et al., 2016).
In aggiunta a tale scarsa richiesta di aiuto professionale, nonostante i disturbi alimentari si associno ad un tasso di mortalità elevato, si individua comunemente un ritardo nella ricerca e nell’erogazione del percorso trattamentale, con una latenza media compresa tra 10 e 15 anni tra la comparsa dei primi sintomi e l’effettivo inizio dell’intervento, ritardo che tende a variare anche sulla base della tipologia di disturbo alimentare preso in considerazione (Steinhausen et al., 2015). Non ricevere un trattamento, o riceverlo con un significativo ritardo, rappresentano alcuni dei fattori più comunemente associati a prognosi negativa in questi disturbi (Steinhausen, 2002).
Per tale motivo, diviene fondamentale comprendere quali possano essere le barriere che complicano il processo di ricerca di un trattamento professionale da parte dell’individuo che riporta sintomatologia associata ai disturbi alimentari (Scaltritti, unpublished thesis): l’aumento di queste conoscenze permetterebbe di elaborare piani di intervento preventivi finalizzati ad un superamento di tali ostacoli, determinando un accesso celere e puntuale a interventi trattamentali adeguati alle caratteristiche del paziente, migliorando in ultima analisi la qualità di vita degli stessi.
Approfondendo le caratteristiche di questo fenomeno, è stato possibile suddividere i fattori più frequentemente riconosciuti come ostacoli alla ricerca di trattamento in tre macrocategorie: barriere psicologiche, sociali e pratiche.
Le barriere psicologiche alla ricerca di trattamento per i disturbi alimentari
La reticenza verso la ricerca di un percorso trattamentale può in parte essere associata ad alcune caratteristiche proprie della patologia alimentare; in particolar modo in molti pazienti i sintomi del disturbo alimentare vengono vissuti con egosintonicità, considerandoli di conseguenza come elementi fondamentali per la propria persona: rinunciare a questi sintomi può essere percepito come una perdita di aspetti cardine della propria identità (Liu, Hay & Conti, 2022; Froreich et al., 2016).
Tali sintomi, e la loro gravità, possono essere oggetto di minimizzazione e negazione (Ali et al., 2020); questa tendenza va poi ad associarsi alla convinzione di possedere le risorse e le capacità per superare il disturbo alimentare senza l’intervento di un professionista, a farcela con le sole proprie forze (Blumenthal & Endicott, 1996).
Nel caso in cui il paziente possieda una buona consapevolezza del proprio quadro sintomatologico, non è detto che consideri come desiderabili i cambiamenti a cui un percorso trattamentale potrebbe condurre, sia in termini di riduzione del controllo esercitabile sull’alimentazione, sia per quanto riguarda le possibili modifiche al peso e alla forma corporea (Ali et al., 2020, Griffiths et al., 2018).
Gli autori hanno frequentemente individuato, inoltre, la presenza nei pazienti con disturbi alimentari di auto-svalutazione e la convinzione di non essere meritevoli di un percorso trattamentale e del conseguente miglioramento della propria qualità di vita (Liu, Hay & Conti, 2022).
Infine, anche la presenza di disturbi psicologici in comorbidità, quali Disturbi d’Ansia e Disturbi dell’Umore, rappresentano delle ulteriori barriere psicologiche che rendono più complicato il processo di ricerca trattamentale (Regan, et al., 2017) (Scaltritti, unpublished thesis).
Le barriere sociali alla ricerca di trattamento per i disturbi alimentari
Alcuni fattori di natura sociale risultano essere ostacoli fondamentali per questo processo; percepire, e anticipare di potersi confrontare con atteggiamenti e comportamenti stigmatizzanti da parte del sistema sociale di riferimento (Akey et al., 2013; Becker et al., 2010) può essere uno dei motivi alla base nella scelta di non ricercare un aiuto professionale. I pazienti tutt’oggi si scontrano spesso, soprattutto se parte di gruppi minoritari, con la credenza per cui ricercare un aiuto professionale sia indice di debolezza, sia specchio di una loro incapacità di prendersi cura del proprio benessere in modo autosufficiente (Becker et al., 2010).
L’assenza di supporto, comprensione e incoraggiamento alla ricerca di un piano trattamentale da parte del proprio sistema sociale di riferimento (Akey et al., 2013; Becker et al., 2010), non ostacola unicamente l’iniziale ricerca e richiesta di aiuto, ma rende ulteriormente difficoltosa l’adesione efficace al percorso trattamentale, già di per sé impegnativo.
Le barriere pratiche alla ricerca di trattamento per i disturbi alimentari
Gli individui sperimentano come rilevanti anche ostacoli pratici che spesso si vengono a presentare nella vita quotidiana; tra i più frequentemente riportati riscontriamo l’elevato costo finanziario che si associa ai percorsi trattamentali (Kazdin et al., 2016), spesso non inclusi nei pacchetti assicurativi maggiormente utilizzati. A questo, si aggiunge l’investimento del paziente in termini di tempo, spesso difficile da individuare nella caoticità degli impegni quotidiani: gli individui, di fatti, possono riferire difficoltà nel conciliare efficacemente tutti gli aspetti della propria vita (Kazdin et al., 2016). Rilevanti possono inoltre essere le difficoltà logistiche legate al raggiungimento del luogo di cura (Gulliver et al., 2010) e al dover lasciare la propria residenza.
Tra le barriere definite come pratiche si inserisce anche la mancanza di servizi territoriali a cui poter fare riferimento per ricevere un percorso trattamentale specifico per i disturbi alimentari, nonché la mancanza di informazioni in merito a questi eventuali servizi e alle modalità con cui richiedere un intervento tempestivo (Regan et al., 2017).
Possibili soluzioni al treatment gap nei disturbi alimentari
Come delineato nei paragrafi precedenti, il treatment gap è un fenomeno che può portare alla cronicizzazione dei disturbi alimentari e ad un peggioramento significativo della qualità di vita dei pazienti; di conseguenza, risulta di fondamentale importanza che i professionisti della salute mentale siano a conoscenza della maggiore difficoltà a intraprendere un percorso psicologico da parte di alcune tipologie di individui (Regan et al., 2017) e abbiano conoscenza dei fattori ostacolanti tale processo trattamentale.
La psicoeducazione rappresenta una risorsa essenziale per fornire agli individui una maggiore consapevolezza in merito ai disturbi alimentari e ai possibili percorsi trattamentali; tali programmi potrebbero essere indirizzati in particolare alle popolazioni individuate come a rischio di sviluppo di tali disturbi, concentrandosi anche sul superamento delle barriere individuate come più salienti per la particolare categoria di individui che si sta prendendo in considerazione, adattando cioè l’intervento alle loro necessità e caratteristiche.
Un aspetto primario da prendere in considerazione nella progettazione degli interventi per il superamento dei disturbi alimentari è la riduzione dei tempi di attesa che intercorrono tra la ricerca di aiuto del paziente e l’effettiva realizzazione di un trattamento (Regan et al., 2017). Potrebbe, di conseguenza, essere funzionale fornire gratuitamente materiale informativo e tecniche di intervento basate sulla modalità self-help durante tale periodo di attesa, di modo da garantire un’assistenza all’individuo prima dell’effettivo inizio del trattamento (Regan et al., 2017).
Uno strumento di estrema utilità per orientarsi verso un superamento del treatment gap è il mondo digitale, il quale fornisce spesso soluzioni semplici, economiche e funzionali ai problemi degli individui, permettendo di raggiungere con maggiore capillarità un bacino più ampio di individui (Kazdin et al., 2016); rappresenta una risorse utile per il monitoraggio del paziente nel periodo di tempo che intercorre tra le sedute, nonché strumento funzionale allo svolgimento di compiti assegnati dal professionista e da svolgere tra le sedute. È potenzialmente utile anche per i professionisti stessi, i quali possono accedere a checklist elettroniche per assicurarsi di aver sondato tutti gli aspetti più rilevanti durante i colloqui (Tregarthen, Lock & Darcy, 2015).
Internet permette, inoltre, un accesso facilitato e immediato a materiali informativi, non solo per i pazienti, ma anche per i professionisti, i quali potrebbero usufruire di programmi di aggiornamento, corsi e seminari che incrementino la qualità del loro operato e il loro bagaglio di conoscenze e competenze, aspetto fondamentale per poter garantire la somministrazione di interventi basati su evidenze scientifiche, aggiornati con le nuove scoperte e funzionali per i bisogni specifici del paziente (Hamilton et al., 2022) (Scaltritti, unpublished thesis).