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Terminare la relazione con il proprio terapeuta

La fine della terapia e del rapporto tra paziente e terapeuta implica una transizione importante e rappresenta un momento cruciale

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 05 Gen. 2024

Aggiornato il 09 Gen. 2024 14:04

La fine di una relazione terapeutica

The progress a patient makes during therapy should be enriched and heightened by a positive treatment ending. When termination issues are ignored or mishandled, the whole of therapy is jeopardized. —Kramer (1990, p. xv).

La relazione terapeutica in ambito psicologico è unica nel suo genere poiché pur essendo una relazione professionale si caratterizza per un elevato livello di confidenza per il paziente che si trova a esprimere e condividere aspetti e contenuti di sé estremamente intimi e riservati. In ogni relazione significativa, inclusa quella terapeutica, è implicita la possibilità stessa di un suo termine, il distacco e la capacità di salutarsi. La fine della terapia implica una transizione importante e rappresenta un fattore cruciale che può giocare un ruolo significativo per il mantenimento e la continuazione della crescita personale in autonomia. 

Quando è il paziente a decidere di finire la terapia

Mettendosi nei panni del paziente, decidere di interrompere e terminare la terapia ed essere in grado di comunicarlo al proprio terapeuta può essere difficile e può generare vissuti di ansia e difficoltà emotive. 

Secondo alcuni studi, una considerevole percentuale delle terapie viene interrotta e terminata prematuramente per decisione unilaterale dei pazienti; alcune di queste interruzioni della terapia, tuttavia, non vengono gestite e comunicate in modo sano e funzionale. Uno studio interessante di Norcross e colleghi (2017) della University of Scranton approfondisce le modalità con cui terminano le psicoterapie, sia dalla parte dei terapeuti sia dalla parte dei pazienti che decidono di comunicarlo o di non comunicarlo per nulla ai propri terapeuti, come ad esempio eclissandosi dalla relazione. Queste modalità, come evidenzia Norcrsoss, possono essere la ripetizione e la riattualizzazione di modalità evitanti, passive e non assertive di gestire la relazione. 

Pensare di lasciare, interrompere o terminare la terapia ha a che fare anche con la valutazione degli obiettivi iniziali che hanno portato la persona in terapia, e dunque considerando a che punto ci si sente rispetto agli obiettivi negoziati e condivisi con il proprio terapeuta. Se emergono dubbi e insoddisfazioni, è importante e significativo parlarne apertamente con onestà con il proprio terapeuta, esprimendo le difficoltà che si sentono e si percepiscono nella relazione. Questo consente al terapeuta di comprendere al meglio i vissuti e le difficoltà incontrate dalla persona anche all’interno dello stesso percorso terapeutico. Se è troppo difficile pensare di comunicarlo in prima battuta in seduta, si può persino pensare di iniziare a parlarne scrivendo un’email o un messaggio, per poi riprendere una discussione più approfondita nella seduta successiva.

Quando la decisione di terminare riflette un accordo di intenti tra paziente e terapeuta

Anche nel momento in cui la terapia si concluda per una decisione mutualmente condivisa tra paziente e terapeuta, è evidente l’importanza di non sottovalutare questa fase, ovvero la fine della terapia

In letteratura si ritrovano una serie di raccomandazioni trasversali panteoriche (Norcross, 2017) riguardo l’attuazione della fine della terapia, indipendentemente dall’orientamento teorico del terapeuta. 

Anzitutto, partendo proprio dall’inizio. Sin dalla prima seduta nella discussione dell’accordo terapeutico sarebbe utile condividere tra paziente e terapeuta che la psicoterapia avrà una fine, per riprendere a tratti il tema anche durante lo stesso percorso. Il concetto stesso del termine della terapia non può arrivare come una sorpresa inattesa e mai affrontata con il paziente. 

In secondo luogo, è consigliabile evitare le interruzioni brusche delle sedute di psicoterapia, ma programmare appuntamenti più dilatati nel tempo in ottica di monitoraggio e follow-up. Nella fase finale è fondamentale dedicare tempo e attenzione per comprendere e condividere che cosa significa per il paziente la conclusione della terapia. Particolare attenzione andrà dedicata a questa fase, ad esempio, nel caso di pazienti che hanno avuto storie di attaccamento complesse, con esperienze di perdita e senso di abbandono; ma non solo, considerando anche i vissuti del terapeuta, non andranno sottovalutati i vissuti di rifiuto, perdita, percezioni di fallimento e perfezionismo. Un altro punto da affrontare riguarda i cambiamenti avvenuti nel corso e al termine della terapia, assumendo il punto di vista di entrambi gli interlocutori, paziente e terapeuta; in tal senso ripercorrere eventuali difficoltà e punti di forza del percorso terapeutico può essere utile per gli attori in gioco nella terapia. Guardarsi indietro è utile per consolidare i risultati raggiunti riconoscendo le risorse messe in atto dal paziente e identificando in che modo l’esperienza di terapia con un paziente ha rappresentato un’opportunità di crescita e arricchimento per il terapeuta stesso.

Nella fase finale, il terapeuta dovrà inoltre approfondire con il paziente tematiche, vissuti e preoccupazioni riguardo il periodo post-terapia e le strategie chiave per la prevenzione delle ricadute. 

Ma può accadere che di comune accordo si debba interrompere la terapia, nonostante vi siano ancora obiettivi rilevanti su cui lavorare a livello psicoterapico (si pensi ad esempio a servizi che impongono un numero limitato di sedute). In tal caso, è importante che vi sia un accompagnamento e un orientamento del paziente verso alternative di cura e trattamento. 

Trasversalmente a queste indicazioni il terapeuta dovrà essere in grado di interrogarsi, riconoscere e monitorare i propri vissuti emotivi ambivalenti riguardo al termine della terapia.

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Redattrice di State of Mind

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