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Le libere donne di Magliano (2023) di Mario Tobino – Recensione

Le libere donne di Magliano” è un romanzo autobiografico che racconta la professione di psichiatra nel manicomio di Maggiano

Di Elisabetta Carbone

Pubblicato il 24 Lug. 2023

Introduzione

Nato dal rimaneggiamento delle cartelle cliniche compilate negli anni, Le libere donne di Magliano” è un romanzo autobiografico, un diario unico nel suo genere, scritto da Mario Tobino nel 1953, in cui racconta la professione di medico psichiatra nel reparto femminile del manicomio di Maggiano, località di campagna nei pressi di Lucca, poggiata sul colle di S. Maria delle Grazie, nome che egli modifica in Magliano. Così “venire da Magliano” o “andare a Magliano”, per la gente del luogo, diventa sinonimo di “pazzia”. 

È importante l’anno di pubblicazione, il 1953, anno precedente la commercializzazione del primo psicofarmaco, che ha segnato una vera e propria rivoluzione medico-culturale, culminata solo 25 anni dopo con la promulgazione della legge Basaglia e la conseguente chiusura dei manicomi sul suolo italiano.

La vita nel manicomio

Tobino si racconta, racconta il manicomio e le sue pazienti: donne belle, orrende, fuggite dal mondo, tristi, miti, aggressive, erotiche, scanzonate, dolci, distruttive… Le condizioni di vita grottesche rendono Tobino il portavoce di un modello di cura (e cultura) che è andato ormai scomparso. La sua penna tratteggia le immagini di donne “libere”, in preda ai deliri, alle ossessioni, senza alcuna inibizione e pudicizia, senza cure farmacologiche.

Nuda, un materasso per terra. È in una solitudine che lei non sente affatto.

La vita del manicomio e l’immagine che l’autore trasmette è quella di un luogo in cui un tempo morto si ripete sempre uguale, ma circondato da una campagna florida, mutevole; il tempo è scandito tanto dai ritmi della vita ospedalizzata quanto dal susseguirsi delle stagioni e della natura, che sembra influenzare anche le pazienti ricoverate, che mutano con il mutare del tempo.

Fuori c’è la vita, la gioventù, la bellezza, la gioia che ride e qui mille matti rinchiusi, prigionieri dei loro deliri, sudati, sporchi, poveri. Il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli.

Il manicomio era accolto tra le mura di un ex convento che ospitava più di mille pazienti tra reparto maschile e femminile, duecento infermieri e diciannove suore, ed era diviso in un’area di osservazione per l’accoglienza e la valutazione, un’area di vigilanza ed infine le innumerevoli stanze o celle. Le donne sono descritte in modo intenso, diretto.

Le pazienti

Sono veramente tante le donne che ci presenta Tobino, pagina dopo pagina: sicuramente al primo posto le donne colpite da disturbi psichici, sole e incomprese; ma sullo sfondo, protagoniste in sordina, le tante suore che lavorano con e per il manicomio, i portinai, le infermiere, i parenti delle pazienti e gli animali che vengono accolti nella struttura. Ed ecco che il manicomio si popola di personaggi che interagiscono, parlano, litigano, si aiutano a vicenda e vivono una quotidianità al di là del muro della normalità. 

Rimane impressa la Berlucchi, donna depressa, che si colpevolizza di ogni male, che agogna la morte come unica via d’uscita per il suo dolore; la Maresca, donna di un’erotismo incontenibile; la Cora, la Lella, la Belaglia, la Sbisà, e tante altre, con le loro ossessioni, i loro deliri, le loro stranezze e debolezze. Ma anche la cuoca suor Giacinta, o suor Maria Concetta, che ha una sorella internata in un altro manicomio e che, alla fine, abbandonerà i voti. 

Ogni creatura umana ha la sua legge; se non la sappiamo distinguere chiniamo il capo invece di alzarlo nella superbia; è stolto crederci superiori perché una persona si muove percossa da leggi a noi ignote.

Le libere donne di Magliano soffrono di un “sacro male” affascinante, misterioso, ignoto, un vortice che trascina e porta sempre più lontano dalla realtà. 

A dirla tutta, scivolando tra le pagine del libro, ci si accorge che non c’è una trama: Tobino è la voce narrante di pensieri, appunti, frasi telegrafiche dallo stile icastico che si susseguono in modo fluido e rassicurante. È un diario che lega tra loro le vite di tutti gli attori di Magliano. 

Il vissuto dell’autore

Ed ecco che i rumori, gli odori, i pensieri, le voci, i deliri, gli sguardi si susseguono con un ritmo sempre più incalzante; in trasparenza emerge quanto sia difficile, usurante e talvolta estenuante vivere per lo psichiatra a contatto con la follia. Tobino descrive le sue paure, le preoccupazioni, le notti insonni, gli incubi sui deliri delle pazienti, la desolazione nel vedere il trasferimento delle donne in altre strutture, il dolore per una donna che torna ricoverata nel manicomio.

Questi “matti” sono ombre con le radici al di fuori della realtà, ma hanno la nostra immagine (anche se non precisa), mia e tua, o lettore. Ma quello che è più misterioso domani potranno avere, guariti, la perfetta immagine, poi di nuovo tornare astratti, solo parole, soltanto deliri. Dunque è il nostro incerto equilibrio che pencola, e insuperbiamoci e insieme siamo umilissimi, che siamo soltanto uomini capaci delle opposte cose, uguali, nel corso delle generazioni, alla rosa dei venti.

L’uomo, oltre il medico, che non vede queste donne solo come delle pazienti, ma come esseri umani, bisognosi di affetto e non solo di cure.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Tobino, M. (2023), Le libere donne di Magliano, Mondadori, Milano.
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