Nonostante sia stato dimostrato che la psicoterapia è generalmente efficace per una serie di condizioni psicopatologiche, si sa ancora molto poco sulle modalità di utilizzo del linguaggio da parte dei terapeuti che risultano efficaci con i propri pazienti.
In origine, uno dei metodi maggiormente impiegati in questo filone di ricerca consisteva nell’affidare a un essere umano l’identificazione degli enunciati clinicamente significativi espressi del terapeuta partendo dai trascritti delle singole sedute. Grazie alla loro aumentata potenza di calcolo, gli approcci computazionali consentono tuttavia di superare i limiti attentivi dell’individuo, nonché di facilitare la registrazione e la trascrizione delle sessioni terapeutiche. Miner et al. (2022) hanno adottato un metodo computazionale allo scopo di esaminare le caratteristiche del linguaggio espresso da psicoterapeuti e pazienti durante la psicoterapia. I ricercatori hanno valutato tre aspetti del linguaggio dei terapeuti, i.e. puntualità (timing), responsività (responsiveness) e coerenza (consistency) in una serie di domini linguistici clinicamente rilevanti, tra cui pronomi, orientamento temporale e polarità emotiva. I ricercatori hanno dimostrato che all’interno delle sedute le tipologie di linguaggio dei terapeuti erano (a) dinamico, (b) responsivo al linguaggio dei pazienti e (c) correlato con la diagnosi di quest’ultimi. Questi risultati hanno dimostrato che l’analisi computazionale del linguaggio espresso dalla diade psicoterapeuta-paziente è fattibile e che gli approcci computazionali possono aiutare a rispondere a domande di lunga data sui comportamenti specifici emessi dai terapeuti efficaci nel corso della terapia.
Metodi di ricerca in psicoterapia
Nel corso degli anni molti studi hanno provato a isolare quelle componenti delle sedute di psicoterapia che spiegassero il cambiamento terapeutico, cioè il miglioramento delle condizioni del paziente (Castonguay et al., 2010; Elliott, 2010). Fin dagli anni ’50 uno dei metodi maggiormente impiegati in questo filone di ricerca consiste nell’affidare a un individuo esperto in materia l’identificazione degli enunciati clinicamente significativi espressi del terapeuta partendo dai trascritti delle singole sedute. Sarà sempre l’individuo a trarre le conclusioni sulla base delle caratteristiche osservate (Rogers, 1942; Stiles, 1979). Sebbene sia stato fondamentale in passato, l’affidarsi esclusivamente all’ispezione umana dei trascritti resta un metodo che non permette di rispondere in maniera esaustiva alle critiche che negli ultimi anni sono state mosse alla ricerca sui processi psicoterapeutici, per esempio l’assenza di una buona riproducibilità dei risultati ottenuti o la scarsa scalabilità degli interventi applicati (Miner et al., 2020; Flemotomos et al., 2022). Ad oggi, disponiamo tuttavia di strumenti che ci consentono di ovviare a queste problematiche.
Tra di essi, gli approcci computazionali che analizzano il linguaggio naturale si configurano tra i principali candidati ad assumere una posizione di rilievo nella ricerca in psicoterapia da qui ai prossimi decenni. Grazie alla loro aumentata potenza di calcolo, questi metodi consentono infatti di superare i limiti attentivi dell’essere umano, nonché di facilitare la registrazione e la trascrizione delle sedute terapeutiche.
Studiare la psicoterapia con un approccio computazionale
In uno studio pubblicato su NPJ Mental Health Research a cura di Miner et al. (2022) è stato sperimentato un approccio computazionale in tre fasi con l’obiettivo di misurare il linguaggio di un gruppo di terapeuti e di pazienti durante delle sedute di psicoterapia individuale. Durante la prima fase è stato stilato un elenco di caratteristiche linguistiche clinicamente rilevanti (cioè pronomi, orientamento temporale e polarità emotiva); durante la seconda è stata registrata la puntualità (timing), la responsività (responsiveness) e la coerenza (consistency) del linguaggio dei soggetti; durante la terza fase è stata valutata la relazione tra il linguaggio del terapeuta e la diagnosi e gravità dei sintomi del paziente.
Nel complesso, i risultati ottenuti dai ricercatori hanno messo in luce sfumature linguistiche del processo terapeutico che in precedenza solo raramente erano state misurate in maniera diretta. Il timing del linguaggio del terapeuta era estremamente dinamico, cioè subiva dei cambiamenti significativi tra l’inizio e la fine della seduta. A differenza di quanto accadeva in apertura, durante gli ultimi minuti della seduta i terapeuti utilizzavano una percentuale minore di parole con emotività negativa; una percentuale maggiore di parole focalizzate sul presente e sul futuro; una percentuale minore di parole focalizzate sul passato; una percentuale maggiore di pronomi personali, compresi quelli in prima persona singolare, in prima persona plurale e in seconda persona. Inoltre, verso la fine della seduta i terapeuti tendevano a parlare più velocemente e per una durata maggiore di tempo rispetto ai pazienti.
Nonostante il linguaggio dei terapeuti fosse fortemente dinamico, quello dei pazienti non mostrava le medesime tendenze, cioè il linguaggio del terapeuta non rispecchiava sempre il linguaggio del paziente nel corso della seduta. Per esempio, è stato osservato che all’inizio della seduta non vi fossero differenze significative tra pazienti e psicoterapeuti nell’utilizzo di pronomi personali in prima persona plurale, ma che verso la fine della stessa i terapeuti impiegassero un numero significativamente maggiore di pronomi personali in prima persona plurale rispetto ai pazienti.
Passando oltre, il linguaggio dei terapeuti risultava altamente responsivo a quello dei pazienti per una serie di caratteristiche linguistiche clinicamente rilevanti. Ad esempio, gli psicoterapeuti diminuivano la propria velocità di eloquio in risposta all’aumento della velocità di eloquio del paziente, o viceversa (i terapeuti rallentavano significativamente il loro eloquio quando i pazienti acceleravano il proprio). Oppure, i ricercatori hanno dimostrato che i terapeuti diminuivano nettamente l’utilizzo di pronomi personali in risposta all’aumento della velocità di parola (rate of speech) del paziente, o viceversa.
Infine, il linguaggio degli psicoterapeuti era consistente tra le sedute (cioè non subiva particolari cambiamenti se era lo stesso terapeuta a prendere parte a sedute differenti) e correlato alla diagnosi dei pazienti, ma non alla gravità dei sintomi di quest’ultimi (Miner et al., 2022).
Implicazioni per la formazione e la ricerca futura
Uno dei risultati maggiormente rilevanti ottenuti da Miner et al. (2022) è che alcuni schemi linguistici espressi dagli psicoterapeuti fossero molto simili nell’arco delle sedute nel caso in cui quest’ultime venissero eseguite dallo stesso professionista. Ciò potrebbe essere interpretato come una sorta di “firma del terapeuta”, coerentemente con un lavoro precedente che aveva individuato una serie di “firme” linguistiche espresse dai partecipanti in compiti di regolazione emotiva svolti in laboratorio (Nook et al., 2017). Nel campo della psicoterapia, è possibile che queste “firme” linguistiche possano riflettere le esperienze vissute, le preferenze o persino la formazione del terapeuta. Dunque, uno spunto per la ricerca futura è senz’altro quello di individuare se esistano delle “firme” più efficaci di altre sul piano clinico e se quest’ultime possano essere modificate. Sul piano formativo, il ricorso ad approcci computazionali consentirebbe di svelare il comportamento linguistico di terapeuti efficaci con i propri pazienti consentendo così ai giovani psicoterapeuti in formazione di “imparare dalle parole” dagli esperti. Tornando alla ricerca, se impiegati in accordo con i principi etici e deontologici che lo psicologo è tenuto a osservare, gli approcci computazionali possono rappresentare infine un metodo per incoraggiare la revisione critica e la collaborazione tra colleghi, nonché degli strumenti per giungere a valutazioni dell’aderenza e della qualità del trattamento maggiormente obiettive sia in contesti terapeutici reali che in contesti di natura sperimentale.