Prossimamente su Netflix la scrittura e lo stile di Jason Rekulak confermano l’autenticità del thriller psicologico intitolato “Teddy”, impregnato di quegli ingredienti capaci di suscitare quel mistero e quelle paure ancestrali, pronte a bussare alle porte della nostra ragione e dei nostri pensieri.
Attraverso le illustrazioni, il lettore viene sin da subito catturato e accompagnato all’interno di una trama intrisa di mistero, viceversa sullo schermo, l’immaginario di una dimensione infantile prenderà vita trascinando chiunque desideri guardarla in una spirale apparentemente senza fine, ma dai risvolti inimmaginabili.
Sotto il profilo psicologico l’autore presenta con la giusta sensibilità un insieme di tematiche capaci di coniugarsi con l’immaginario del lettore, ma al contempo di toccare con delicatezza quei punti che durante il dispiegarsi del racconto, sembreranno quanto più lontani dalla dimensione terrena.
Grazie inoltre ai disegni di Will Staehle l’evoluzione e il prosieguo del racconto, assumono gradualmente un ritmo sempre più veloce, ricco di colpi di scena e in continua trasformazione. Il connubio tra la dimensione infantile e quella temporale rappresenta pertanto il cardine principale attorno al quale ruotano gli eventi passati, presenti e futuri di una storia che non può non catturare chiunque desideri leggerla.
Sotto il profilo psicodiagnostico viceversa, se all’inizio i disegni del piccolo Teddy consentono un primo approccio circa il suo mondo interno e il suo stile relazionale, i medesimi elementi presentati su carta trovano poi ampio spazio per una graduale trasformazione.
Una trasformazione accurata, a tratti leggera e proprio per questo promotrice di nuovi spunti sui quali riflettere, e rispetto ai quali il lettore non sarà esente da quello stupore pronto a tradursi in una paura e in una meraviglia lontani nel tempo, che pagina dopo pagina renderanno questo thriller unico nel suo genere.
Leggerlo dunque non solo consentirà di conoscere o approfondire determinate tematiche, ma permetterà al contempo di apprezzare e prendere consapevolezza di quell’equilibrio sottile tra ciò che vediamo e ciò che all’apparenza diamo per scontato non esista e che per questo definiamo come inesistente, non vero e impossibile. Tuttavia questo racconto sembra offrire quella possibilità, non solo di rimettere in discussione ciò che si riteneva ormai assoluto o peggio ancora un dato di fatto, bensì di far emergere in ciascuno di noi quel labile e delicato rapporto tra la vita e la morte, che ognuno dovrebbe avere la responsabilità di non catalogare come inesistente, ma al contrario percepirne quell’essenza sottile in grado di connettere la nostra parte antica con quello che apparentemente non si vede, ma che di contro sembra chiamarci indissolubilmente da lontano. Dalle profondità della nostra anima.