Nel corso degli anni le euristiche sono diventate un concetto centrale nello studio del comportamento politico.
Introduzione
Il termine euristica deriva dal greco antico heuriskein, che significa “scoprire”. Tuttavia, nella maggior parte dei contesti una descrizione più appropriata sarebbe “scoperta per mezzo di scorciatoie” (Steenbergen e Colombo, 2018). Le euristiche sono, quindi, scorciatoie (cognitive) che permettono agli individui di eludere una grande quantità di informazioni producendo un risultato sotto forma di giudizio o scelta.
La rassegna della letteratura operata da Steenbergen e Colombo (2018) amplia la nostra comprensione del modo in cui le euristiche influiscono nel processo decisionale e fornisce nuovi spunti di riflessione sulle distorsioni nell’elaborazione delle informazioni in ambito politico.
Le euristiche nella democrazia elettorale
Nelle democrazie, ai cittadini viene chiesto abitualmente di prendere decisioni complesse. Nelle elezioni, sono chiamati a scegliere tra un ventaglio di candidati/partiti, ognuno dei quali presenta il proprio curriculum. L’elenco delle euristiche nella ricerca elettorale è lungo e coinvolge il sesso, l’occupazione del candidato, la classe, i consensi, i tratti somatici, l’ideologia, la partigianeria, i dati dei sondaggi, i principi politici, la religione e le reti sociali. L’idea generale è che tutte queste euristiche contengano informazioni rilevanti che aiutano gli elettori a decidere quale partito o candidato riceverà il loro voto. Possono farlo direttamente o indirettamente, facilitando le inferenze sui candidati e sui partiti che, a loro volta, informano la scelta di voto.
Probabilmente l’euristica più ampiamente studiata è la partigianeria. Conoscere l’affiliazione ad un partito di un candidato agisce come uno stereotipo che fornisce agli elettori tutte le informazioni necessarie per votare senza la necessità di conoscere altre posizioni o caratteristiche politiche del candidato. L’uso di tali indicazioni può quindi semplificare un ambiente sociale complesso come quello delle elezioni, i cui costi informativi in termini di tempo e sforzo degli elettori sono elevati e talora vi è una grande incertezza sulla reale posizione dei candidati e dei partiti (Nicholson, 2012).
Una seconda euristica ampiamente studiata è l’ideologia. Invece di dover conoscere le posizioni dei partiti su questioni che vanno dall’aborto al virus Zika, è sufficiente conoscere le etichette ideologiche dei partiti. Conover e Feldman (1989) hanno rilevato che gli elettori deducono dall’ideologia le posizioni specifiche sui temi, mentre Lau e Redlawsk (2006) hanno osservato l’uso dell’ideologia di un candidato (liberale o conservatore) come scorciatoia per la scelta di voto. Come per la partigianeria, il ruolo dell’ideologia come euristica non è puramente cognitivo. I partiti e le ideologie definiscono le identità sociali e come tali comportano anche elementi affettivi (Devine 2015). Pertanto, la semplice esperienza di un affetto positivo per il gruppo partitico o ideologico può essere sufficiente a ridurre la necessità di reperire ulteriori informazioni.
La classe e la religione possono essere considerate altre euristiche elettoralmente rilevanti, almeno in certi ambienti. In Gran Bretagna, c’è stato un tempo in cui il voto di partito si allineava alla classe sociale (Butler e Stokes, 1971) ed è logico che la religione giochi un ruolo ancora più importante in luoghi con partiti religiosi, come la Turchia per esempio. Oltre a questi aspetti, esistono altre euristiche che possono aiutare gli elettori a trarre inferenze e a prendere decisioni. In precedenza, Todorov e colleghi (2005) avevano dimostrato che le persone deducono automaticamente la competenza di un candidato dal suo volto. Anche gli endorsement di persone o gruppi politici importanti possono servire da spunto (Arceneaux e Kolodny, 2009). Gruppi o personalità fidate, che condividono i valori e gli interessi politici dell’elettore, possono inviare segnali credibili che permettono di decidere sui candidati senza considerare nel dettaglio le loro posizioni politiche. L’elettore deve sapere solo due cose: quale candidato appoggia un particolare gruppo o personalità e il proprio atteggiamento nei confronti di quella fonte (Lau e Redlawsk, 2001).
Le euristiche nella democrazia diretta
Se la democrazia elettorale è impegnativa, sembra che la democrazia diretta lo sia ancora di più. Dopo tutto, richiede ai cittadini di decidere su politiche specifiche e spesso piuttosto complesse, che poi diventano legge. In generale, diverse caratteristiche del processo democratico diretto aiutano a strutturare la scelta e a fornire scorciatoie essenziali (Boudreau e MacKenzie, 2014). In primo luogo, il compito decisionale viene solitamente semplificato presentando agli elettori domande binarie “sì” e “no” su proposte specifiche (Kriesi, 2005). In secondo luogo, gli elettori ricevono tipicamente una serie di materiali informativi dalle autorità competenti. Infine, durante le campagne di democrazia diretta, gli stakeholder presentano le loro posizioni e argomentazioni. In tal modo, forniscono agli elettori informazioni politiche dettagliate e spunti euristici.
Una delle strategie più semplici a disposizione degli elettori è l’euristica dello status quo, cioè la preferenza per lo stato attuale delle cose (Samuelson e Zeckhauser, 1988). Nelle campagne democratiche dirette, ciò significa votare contro le proposte di riforma e le nuove politiche. Il fenomeno ampiamente osservato che il fronte del “no” tende a guadagnare terreno nel corso delle campagne referendarie è almeno in parte attribuibile al pregiudizio dello status quo. Come per le elezioni, i partiti politici inviano spunti che possono aiutare gli elettori a decidere. In questo contesto, gli spunti da parte dei partiti significano affidarsi ai consigli di voto del partito a cui ci si sente più vicini (Boudreau e MacKenzie, 2014).
Conclusioni
Da quanto emerso nella rassegna, si potrebbe affermare che le euristiche riflettono una certa routine. Gli elettori si affidano alla loro appartenenza partitica, ad esempio, perché in genere è utile. Non c’è motivo di interrompere la routine finché questa produce risultati soddisfacenti. La routinizzazione può essere così avanzata che l’euristica è diventata parte della memoria procedurale, senza richiedere alcuno sforzo alla memoria di lavoro. In questo caso, abbiamo a che fare con risposte automatiche situate al di sotto del radar della consapevolezza cosciente (Lodge e Taber, 2013) e che potrebbero persino essere cablate nel nostro cervello come parte dell’evoluzione umana.