Dal 14 Dicembre è disponibile, sulla piattaforma Disney+, una serie intitolata “The Patient”, nata dalla sceneggiatura di Joe Weisberg e Joel Fields. Si tratta di un thriller psicologico che ha come protagonisti Steve Carell, nei panni di Alan Strauss, un noto psicoterapeuta e Domhnall Gleeson, che interpreta Sam, un assassino seriale.
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Dal punto di vista psicologico, la serie si articola alternando momenti di costruzione di un insolito setting terapeutico, con l’intento di non spettacolarizzare la malattia mentale o le doti di cura del terapeuta, ma di mostrare il lato umano dei due personaggi principali e di quelli secondari. In senso introspettivo, infatti, la trama narrativa della serie guida lo spettatore nell’avvicendarsi emotivo degli eventi. Nel caso del paziente, l’accrescere della rabbia verso un “altro ingiusto” spiega all’audience come emotività e razionalità si dominano a vicenda, in una continua lotta tra ciò che si sente e ciò che viene agito, anche se questo agito si trasforma in aggressività.
Dall’altro lato, emerge il versante emotivo del terapeuta, che, nell’ottica della trasparenza del patto terapeutico, non nasconde il suo lato umano, che si concretizza nella paura che il paziente possa fare del male ad altri o a lui stesso, confrontandosi con un senso di impotenza, incrementato da uno spazio claustrofobico e angusto, ben diverso dal suo studio. Al contrario di Sam, la cui storicità ed esperienza compare gradualmente a partire dalle sedute, nel caso del terapeuta, gli aspetti umani sono ricostruiti attraverso flashback o mentre immagina di parlare con il suo supervisore, da tempo deceduto.
In questo alternarsi tra spazi individuali e di terapia, ciò che viene posto al centro è che la cura non ha necessariamente un fine risolutivo, ma di iniziale consapevolezza e comprensione del proprio modo di funzionare, al fine di imparare a conoscere gli stati emotivi e ciò che li scatena, con l’obiettivo di ri-orientarli con un nuovo senso. Chiari sono, fin dall’inizio, i movimenti compiuti dal terapeuta, fin quando la situazione non si esaspera e l’aggressività aumenta. In questo punto di svolta, è interessante la contrapposizione tra la de-umanizzazione (Fiske, 2013) agita inconsapevolmente da Sam e l’umanizzazione della vittima (Paladino & Vaes, 2011), come strategia di gestione e controllo. Invero, laddove Sam considera la persona aggredita solo come l’oggetto del suo impulso, privandola di qualsiasi forma di riconoscimento, si contrappone –nella terapia– un tentativo di restituire alla vittima una narrazione, legata alla sua famiglia, alle sue passioni, alle sue emozioni. L’idea di fondo dell’umanizzazione, infatti, è quella di rendere la vittima molto più simile al protagonista, allenando a metterlo nei panni dell’altro.
Come dimostrato anche nelle trame narrative della serie, l’umanizzazione della vittima consente di orientare l’emotività verso nuovi significati che, se per Sam acquistano senso solo dopo l’assenza del terapeuta, per lo stesso Strauss è proprio la situazione di prigionia a spingerlo nella ricerca di nuove consapevolezze riguardo agli eventi passati.
Ed è proprio in questo doppio legame psicologico, tra intimo e condiviso e tra Sé e l’Altro, che “The Patient” sa parlare alla “pancia” dello spettatore, richiedendo un’attenzione e coinvolgimento totale. Questo coinvolgimento attentivo è costruito sulla logica ambivalente tra de-umanizzazione e umanizzazione che si delinea non solo tra paziente e terapeuta, ma, di rimando, anche nel legame tra personaggi sulla scena e spettatori.
The Patient – Guarda il trailer: