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Io e il mio gemello digitale

Gli sviluppi tecnologici potranno condurre la nostra identità e il senso di noi stessi dentro la macchina, plasmando così il nostro gemello digitale

Di Mariateresa Fiocca

Pubblicato il 15 Nov. 2022

Il “gemello digitale” (digital twin) costituisce un sofisticato modello gestionale di un processo, di un prodotto, ovvero di un servizio (Zanotti, 2022).

 

Introduzione

Ideatore della nozione di digital twin è Michael Grieves, Chief Scientist for Advanced Manufacturing presso il Florida Institute of Technology (si veda, ad esempio, Zanotti, 2022): all’inizio del 2002, in occasione di un corso –tenuto presso l’Università del Michigan– sul Product Lifecycle Management, Grieves definiva il digital twin quale replica di un asset fisico ottenuto in forma virtuale (una ottima rassegna sull’argomento è in Barricelli et al., 2019).

Spiegano Michael Grieves e John Vickers (2017) circa l’origine della nozione di gemello digitale: “The concept of the Digital Twin dates back to a University of Michigan presentation to industry in 2002 for the formation of a Product Lifecycle Management (PLM) center”. Gli autori ne chiariscono il concetto: “[…] the basic concept of the Digital Twin model has remained fairly stable from its inception in 2002. It is based on the idea that a digital informational construct about a physical system could be created as an entity on its own. This digital information would be a ‘twin’ of the information that was embedded within the physical system itself and be linked with that physical system through the entire lifecycle of the system”.

Non esclusivamente il metaverso, dunque, ma anche il gemello digitale viene utilizzato in vari campi. Uno fra tutti nella sanità. Diventa sempre più urgente formulare una accurata diagnosi e/o decidere un trattamento ad hoc delle patologie di un paziente. Infatti, in prospettiva, ciò determinerà un doppio dividendo a livello sia micro che macro: (i) la prevenzione di malattie e la maggiore efficacia nel trattamento di queste (ad esempio, minore probabilità di errore che comporterà, tra l’altro, minori esigenze di sperimentazione –anche farmacologiche– sugli esseri viventi); (ii) una più efficiente allocazione delle risorse (umane e non, materiali e immateriali) e, quindi, una riduzione dei costi per il sistema sanitario nel suo complesso.

Benchè sia ancora prematuro ottenere un gemello digitale “sistemico” del corpo umano, cioè nella sua interezza – anche a motivo delle tante correlazioni e interdipendenze fra le parti all’interno di esso– sono stati raggiunti importanti progressi nel “gemellaggio” digitale di alcuni organi (come il cuore e i reni; per un approfondimento sul tema, si rinvia a Maglio, 2019 e Porro, 2022).

Oltre che in medicina, oggi esistono gemelli digitali in vari settori (ambiti di applicazione sono, ad esempio, l’industria –come quella automobilistica per la guida autonoma–, il commercio al dettaglio, le utility, la moda): attraverso modelli predittivi di intelligenza artificiale, la replica virtuale di un oggetto fisico (appunto il suo gemello digitale) elabora in tempo reale la sua fotografia –o, se vogliamo, la sua immagine virtualmente specchiata (“mirroring”)– così da prevederne in modo accurato le prestazioni future e di sperimentarne eventuali miglioramenti senza doverli verificare direttamente sull’oggetto stesso. Il gemello digitale incorpora quindi funzionalità di simulazione, IoT (Internet of Things), big data e machine learning: l’obiettivo è quello di generare un modello che si aggiorni in tempo reale in modo da riflettere con esattezza i cambiamenti della controparte fisica a cui è connesso per mezzo di un sistema di sensori –cioè di dispositivi che registrano e reagiscono all’evoluzione dell’ambiente. Si tratta, pertanto, di sistema a circuito chiuso volto a confrontare automaticamente e costantemente l’output desiderato con l’input effettivo. Questo continuo processo circolare di informazioni tra input e output viene conseguito, come appena ricordato, tramite sensori (Artigiani, 2021).

Ad esempio, in campo ingegneristico, un modello che rispecchia in forma virtuale e in tempo reale un sistema complesso –cioè la sua controparte fisica– consente di realizzare le simulazioni relative alla performance del sistema stesso; ciò allo scopo, da un lato di anticipare e intervenire sulle sue possibili variazioni/disfunzioni (Zanotti, 2022), dall’altro di allocare in modo ottimale le risorse e, naturalmente, aumentare i gradi di sicurezza del sistema stesso. Un caso iconico, una storia di successo (pur originata da un incidente), nonché un interessante caso di studio, è offerto dalla General Electric, quando si verificò un cattivo funzionamento di una turbina di un motore. La lezione appresa è che, attualmente, per ciascuna turbina prodotta viene realizzato un suo gemello digitale dalle capacità predittive e di monitoraggio del prodotto fisico (Artigiani, 2021).

Creando un digital twin –e, quindi, ottimizzando le operazioni– si ha anche il vantaggio di ridurre notevolmente il “debito tecnico”, vale a dire il costo dell’accumularsi di complessità non necessaria in un progetto digitale senza aumentarne parallelamente i benefici.

Come è stato osservato, “i Gemelli Digitali stanno diventando un aspetto chiave dei Sistemi Simbiotici Autonomi poiché permettono una simbiosi che abbraccia tutto il mondo degli atomi e del cyber-mondo. La simbiosi può essere stabilita tra un oggetto reale, compreso un essere umano, e il suo Gemello Digitale per far leva su quest’ultimo nel mondo cibernetico”. (Mason Dambrot et al., 2018).

Ritornando a un settore tanto delicato come la sanità: “Diverse aziende stanno sviluppando modelli digitali gemelli di organi umani, in particolare quello del cuore, che è tanto diverso per ogni persona quanto la sua impronta digitale, e ogni differenza conta per aiutare a prevenire l’arresto cardiaco” (De Kerckhove, 2021). Il diffondersi della salute digitale si accompagna alla creazione di molti sensori per il corpo umano. “I sensori indossabili, ambientali e a contatto/integrati (in quest’ordine) forniranno un monitoraggio continuo dei parametri fisiologici del nostro corpo e questi saranno abbinati, nel nostro gemello digitale, a quelli previsti (tenendo conto della situazione, del tipo di attività che stiamo svolgendo, dell’umore e naturalmente del nostro genoma). Qualsiasi deviazione farà scattare un’analisi per determinare la causa probabile e ulteriori test potranno essere attivati attraverso sensori già esistenti o attraverso procedure specifiche” (De Kerckhove, 2021).

Non solamente per mezzo del metaverso, inteso come una nuova ecologia digitale immersiva destinata a rivoluzionare i meccanismi cognitivi e ciò che gli individui percepiscono come realtà (Carciofi, 2022), ma più in generale tutte le nuove architetture tecnologiche di frontiera influenzano le nostre modalità di pensiero e percezione.

Una implicazione forte è che, in qualche modo, con l’avanzare della tecnologia, la mente umana rinasce continuamente, in un divenire che potremmo suggerire “osmotico” con la tecnologia stessa.

Nel presente lavoro ci concentreremo proprio sul nostro futuro doppio digitale.

… E duplicabile sia!

Che ci fa costui qui? Cosa?… Il mio gemello!

Secondo le previsioni di Rob Enderle, noto analista tecnologico statunitense e consulente della migliore imprenditoria della Silicon Valley, gli sviluppi tecnologici condurranno tra appena un decennio il nostro “contenuto” –con il nostro portato, con la nostra identità e con il senso che abbiamo di noi stessi– dentro la macchina, plasmando così il nostro gemello digitale. I nostri atomi (intesi come unità indivisibili) sono così destinati a tradursi in meri bits.

Non solo i nostri, ma anche quelli di amici, colleghi, di persone scomparse con cui poter interagire in modalità virtuale (Crisantemi, 2021). Quest’ultima circostanza, peraltro, non è nuova: si richiama il caso della mamma sudcoreana che nel 2020 incontrava, nello spazio virtuale, la sua bambina – o, più precisamente, il suo ologramma– venuta a mancare a sette anni per una malattia. La bambina va verso la mamma, le parla, le porge un fiore, le offre una fetta di torta (l’incontro venne infatti previsto in occasione del compleanno della bambina).

Come mia copia, il mio gemello digitale dovrebbe, idealmente, prendere le mie stesse decisioni se le venisse presentato il medesimo contesto, afferma Schoenherr (2022), assistente alla cattedra di psicologia presso la Concordia University (Canada).

Dunque, la mia gemella sarà plasmata su di me: sui miei atteggiamenti, ragionamenti, sui miei dati volontariamente diffusi o involontariamente rilasciati, perfino facendo entrare in campo il mio inconscio digitale (non bastava il tanto lavoro già svolto su quello “tradizionale”!).

Per la definizione di inconscio digitale si rimanda a De Kerckhove (2015). Afferma il sociologo canadese che l’inconscio digitale contiene dati, informazioni e saperi di cui si alimenta in continuazione online. È un inconscio che ha acquisito la capacità di definire la realtà quotidiana delle persone che abitano con assiduità la Rete, sia quella individuale sia quella sociale e con alcune differenze rispetto all’inconscio personale. L’esistenza e la forza del nuovo inconscio sono tali da mutare i comportamenti delle persone e la loro etica comportamentale sia individuale sia sociale. A determinare la diversità sono sia la componente emozionale sia il bisogno impellente della condivisione, senza alcun tipo di remora, ma piuttosto seguendo semplici pulsioni, desideri, frustrazioni, esigenze.

E, quindi, gli attuali social media se possono essere considerati una sorta di gemello digitale in forma ancora molto grezza, ma già in grado di intercettare in formato digitale aspetti del mio quotidiano, di quanto dico, penso, faccio, delle mie preferenze e priorità, in prospettiva (una decina di anni) una mia gemella digitale sarà la mia copia perfetta. Sarà generata a partire da un enorme volume di dati provenienti da una grande molteplicità di fonti (big data). Dei nostri comportamenti, infatti, lasciamo tantissime tracce digitali. In particolare, viene chiamato “data lake” un archivio centralizzato di informazioni raccolte, in questo caso sui nostri atteggiamenti e preferenze palesi, nonché sulle tracce comportamentali che ci lasciamo alle spalle.

I metodi di apprendimento automatico per mezzo di tutti questi nostri dati possono operare inferenze su di noi (che noi stessi a volte non conosciamo), sui nostri comportamenti (anche inconsci), sul nostro decision-making (talora anche inconsapevole). Solo per citare un campo di applicazione di tutto questo, le diaboliche trovate del marketing volte a intercettare e coinvolgere clienti nella loro customer journey potranno spingere sempre più avanti le frontiere di opportunità.

Essere equipaggiati di un gemello fondato su database e machine learning verosimilmente arricchirà ciascuno di noi di potenzialità cognitive enormemente aumentate. Tuttavia, più ricorreremo a tali abilità, meno ci avvarremo delle nostre “dotazioni” interiori –pensare, immaginare, pianificare, progettare, giudicare, scegliere, decidere, sognare, creare– fino a depauperare tali preziose risorse.

Il nostro doppio digitale sarà una narrazione attraverso i dati della nostra vita (e con il nostro portato). Richiederà pertanto un livello di fedeltà, e quindi di affidabilità, altissimo: deve tenere conto anche di stereotipi, condizionamenti sociali e pregiudizi di cui soffriamo, del contesto (familiare e socio-economico) in cui ci siamo formati e quello in cui viviamo, nonchè allinearsi in tempo reale a ciò che ci accade nella nostra vita reale. Negli studi di simulazione, la “fedeltà” si riferisce a quanto una copia, o un modello, corrisponde al suo obiettivo. La fedeltà del simulatore si riferisce al grado di realismo di una simulazione rispetto ai riferimenti del mondo reale. Un esempio largamente citato in letteratura sul grado di fedeltà richiesto per il nostro mirroring virtuale è il seguente: “In questo momento piove e la pioggia incide su cosa decideremo di fare nelle prossime ore? Deve piovere anche sul nostro gemello elettronico” (Mantovani, 2022).

Come affermano nel loro recente volume Rossignaud e De Kerckhove (2020), Oltre Orwell. Il gemello digitale”, la “relazione simbiotica” –così la definiscono gli autori– tra noi e le possibilità tecnologiche produce un forte impatto psicologico su noi stessi. Pur perdendone consapevolezza –e anche un proprio coinvolgimento–, le nostre esperienze saranno infatti progressivamente condizionate da procedure di natura statistica, specificatamente da sistemi algoritmici.

Senza dubbio questo è il preludio a un nuovo modo di vivere.

Con il gemello digitale deriva una percezione mutata del proprio Sé e della realtà. Ma non si tratta esclusivamente della percezione della realtà, ma anche di una nuova realtà costituita da agenti digitali che concorrono a modellare il mondo nel futuro (Redazione SoloTablet, 2017).

Tutto ciò richiederà un grande aiuto dalla psicologia digitale (o cyberpsicologia). Ma anche questa non sarà sufficiente: saranno necessari approcci interdisciplinari, interculturali, intergenerazionali. Insomma, occorrerà un pensiero out-of-the-box.

Il rischio, afferma Roberto Saracco –curatore del volume “Oltre Orwell. Il gemello digitale”“è perdere le tracce dell’evoluzione e trovarsi ancor prima di rendersene conto con un Gemello Digitale che decide per noi università, cibo, palestra e perché no anche il compagno. Tutto ciò potrebbe diventare possibile perché già oggi il nostro stato fisico è monitorato, tenendo traccia del numero dei passi che facciamo, del ritmo cardiaco, delle calorie che assumiamo e di quelle che spendiamo, dell’ossigenazione del sangue, ecc. dal nostro inseparabile amico: lo smartphone. Ma lo smartphone registra anche quello che leggiamo e guardiamo su Internet così come i nostri acquisti, e potrebbe, quindi, rispondere per noi a molte domande o addirittura anticipare le nostre scelte. Siamo di fronte a un processo lento e quasi impercettibile attraverso il quale aspetti e porzioni sempre più ampie di noi stessi sono riflesse in una rappresentazione digitale sempre più accurata”.

Realizzare un modello così fine e granulare richiede –come appena ricordato– una mole enorme di informazioni, nonché una quantità enorme di sensori che possano raccoglierle. Ma l’enorme stock di dati accumulati non può non dare adito a dubbi sul piano della tutela dei dati personali e su quello etico (Mantovani, 2022).

In che modo vengono raccolte tutte queste informazioni? Come vengono processate? Chi garantisce che non siano sfruttate in modo illecito e/o manipolatorio? Come viene garantita la (cyber-)sicurezza?

Come per il metaverso, i gemelli digitali rendono urgente standard elevati nella regolamentazione da parte di attori del settore pubblico nazionale, a livello europeo e, su più ampia scala, sul piano internazionale.

Spostandoci verso una prospettiva –suggeriremmo– altamente distopica, si richiama il lavoro di Hiroshi Ishiguro, docente dell’Università di Kyoto, che ha già creato un proprio gemello digitale. E fin qui…! In un’intervista rilasciata nel 2019 (“Sentient love”), egli ha dichiarato di aver intenzione di “cambiare il mondo con la creazione di robot interattivi”. Al quesito postogli se “tra mille anni gli uomini potranno essere robot”, egli rispondeva in modo ottimistico arrivando all’ipotesi di poter sostituire interamente il corpo umano esattamente come oggi si ricorre alla pratica di protesi applicate alle persone diversamente abili (Chiappalone, 2022).

Il fine che lo scienziato adduce, che è quello di colmare il vuoto demografico nipponico, è lodevole: “La nostra popolazione sta diminuendo […] Quindi abbiamo bisogno di avere più robot”. Ineccepibile!

Conclusioni (cyberpunk)

Ma attenzione in un prossimo futuro a non scambiare un clone per un fratello gemello o un fratello gemello per un clone. In entrambi i casi, un esercizio di realtà –ancorché molto utile, anzi necessario– sarebbe altrettanto duro.

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