Dopo aver pubblicato, nello scorso numero, un articolo dedicato al tema della Qualità di Vita nelle persone con Disturbo dello Spettro Autistico, proponiamo oggi un approfondimento sul tema in riferimento all’ambito più ampio delle disabilità.
AUTISMO E QUALITÀ DI VITA – (Nr. 4) Il Concetto di Qualità di Vita nell’ambito della disabilità
Il concetto di Qualità di Vita (QdV) ha origini molto antiche, radicate nell’idea di benessere e felicità già argomentate da Platone e Aristotele; ma la sua importanza è cresciuta rapidamente negli ultimi anni, diventando sempre più un focus di attenzione nel campo della ricerca e della pratica in ambito educativo, sanitario, dei servizi sociali e della famiglia (Schalock e Verdugo, 2002). La crescita dell’interesse verso il costrutto di Qualità di Vita nell’ambito delle disabilità è sicuramente in gran parte dovuta alla de-istituzionalizzazione delle persone con disabilità (Verdugo et al., 2005) e alla pubblicazione della Dichiarazione dei diritti delle persone con disabilità (Organizzazione delle Nazioni Unite [ONU], 1975).
Il campo della Disabilità Intellettiva (DI) è fortemente influenzato dal costrutto, ovvero il concetto, di Qualità di Vita (Morisse et al., 2013) e l’importanza di misurarla in questo ambito ha a che fare con due principali ragioni: la prima è che tale costrutto permette una visione integra e multidimensionale della vita di una persona, consentendo di identificare e mettere in atto degli interventi personalizzati senza cadere nel riduzionismo; la seconda ragione, di conseguenza, si riferisce all’orientamento delle azioni attuate dai servizi pubblici e dai professionisti, basato su un importante ruolo attribuito alla persona in quanto beneficiaria di servizi, la cui esperienza deve sempre essere tenuta in considerazione (Verdugo et al., 2005).
Negli ultimi anni si è diffusa, pertanto, una maggiore attenzione agli esiti degli interventi di sostegno e di (ri)abilitazione per persone con disabilità, con un superamento della logica di guarigione, a favore di un’ottica maggiormente orientata al miglioramento della Qualità di Vita e dell’inclusione. In questa prospettiva, la Qualità di Vita rappresenta un obiettivo da conseguire per le persone con disabilità, tanto quanto per quelle senza, così come un indice della qualità delle azioni di sostegno attuate (Coscarelli e Balboni, 2014).
I modelli di QdV
Prima di poter applicare la Qualità di Vita, è però necessario giungere a una concezione condivisa e operativa di tale costrutto, altrimenti si corrono due rischi speculari: da una parte quello di ridurre il costrutto di QdV a una dimensione specifica e, di conseguenza, scarsamente rappresentativa della sua complessità; dall’altro lato, il pericolo è quello di farlo diventare talmente onnicomprensivo e variegato da risultare ripetitivo e difficilmente misurabile (Cottini, 2009).
A tal proposito, sono stati sviluppati vari modelli di Qualità di Vita e, sebbene non vi sia ancora un totale consenso sulle sue componenti (chiamate domini) che la definiscono, vi è accordo sul fatto che si tratti di un costrutto multidimensionale, che si manifesta con indicatori di tipo sia oggettivo che soggettivo, fortemente influenzati da fattori personali e ambientali (Müller e Cannon, 2014). I modelli più rilevanti, citati da Coscarelli e Balboni (2014) in merito alla QdV nel contesto della DI, sono stati elaborati da Felce e Perry (1995), Cummins (2000) e Schalock e Verdugo (2002). Tra questi, il modello di Schalock e Verdugo del (2002) è quello che si è dimostrato essere più valido tra le differenti culture, nonché il principale riferimento teorico utilizzato nell’ambito della DI (Coscarelli e Balboni, 2014).
Il modello di Schalock e Verdugo
Il modello di Qualità di Vita elaborato da Schalock e Verdugo (2002) ha subìto vari cambiamenti nel corso del tempo, integrando sempre più accorgimenti riferiti alla validità sia etica (universale) che emica (culturale) di tale costrutto (Coscarelli e Balboni, 2014), fino a raggiungere l’attuale strutturazione in 8 dimensioni.
Nel 2002 un panel internazionale di esperti nel campo della Qualità di Vita ha pubblicato una sintesi dei princìpi riguardanti il concetto di QdV sui quali era emerso un certo consenso. Tali princìpi evidenziano una certa sensibilità alle caratteristiche soggettive, alla persona in quanto tale (più che alla sua disabilità), al suo punto di vista e all’uguaglianza dei fattori coinvolti nel determinare la Qualità di Vita di una persona con disabilità rispetto a una senza disabilità. Tra questi, inoltre, emerge l’importanza di considerare i fattori culturali e ambientali e la variabilità che può subire la QdV nel corso dell’intero ciclo di vita (Verdugo et al., 2005).
La definizione di Schalock e colleghi (2010) di Qualità di Vita è quella di un fenomeno multidimensionale composto da domini centrali che sono influenzati da caratteristiche personali e ambientali. Tali domini sono gli stessi per tutte le persone, anche se possono variare in valore e importanza. Questi sono inoltre basati su indicatori sensibili alla cultura.
Un buon livello di Qualità di Vita è il risultato di una buona corrispondenza tra i desideri e i bisogni di una persona, e il loro soddisfacimento. Ciò è supportato dai dati, i quali suggeriscono che riducendo la discrepanza esistente tra le risorse individuali e le richieste ambientali, aumenta la QdV di quella persona (Schalock, 2000).
Pertanto, il concetto di Qualità di Vita secondo il modello di Schalock e Verdugo (2002) rappresenta un costrutto multidimensionale latente, sotto al quale sono stati concettualizzati 8 domini che concorrono a spiegarlo, a loro volta definiti da indicatori che ne aiutano l’operazionalizzazione e quindi la misurazione in quanto rappresentano dei comportamenti, delle percezioni e delle condizioni connesse alla QdV (Schalock et al., 2010; Verdugo et al., 2005; Morisse et al., 2013, vedi Tabella 1). Tale struttura si è dimostrata applicabile sia alle diverse culture, che alle varie categorie di partecipanti: individui con Disabilità Intellettiva, familiari e professionisti. È stato in seguito aggiunto un altro livello di strutturazione del modello, costituito da fattori che raccolgono i vari domini in 3 categorie: Indipendenza, Partecipazione sociale e Benessere (Coscarelli e Balboni, 2014).
Tabella 1. Modello concettuale della QdV: fattori, domini e indicatori (adattata da Schalock et al., 2008).
La questione etica
Schalock e colleghi (2002) si sono occupati anche della questione etica relativa alla misurazione della Qualità di Vita, affermando che tale costrutto è importante per tutti gli individui e dovrebbe essere considerato allo stesso modo per persone con o senza disabilità, in quanto esse hanno lo stesso diritto di godere di una vita di qualità. In altre parole, il valore della vita è lo stesso, che la persona sia abile, o disabile. A tal fine, l’applicazione del concetto di QdV per persone con DI dovrebbe basarsi su 5 princìpi (Schalock et al., 2002):
- L’obiettivo primario è aumentare il benessere individuale;
- Devono essere tenuti in considerazione il patrimonio culturale ed etnico dela persona;
- Lo scopo di qualsiasi programma orientato alla QdV dovrebbe essere quello di produrre dei cambiamenti a livello personale, istituzionale, comunitario e nazionale;
- L’applicazione della QdV dovrebbe aumentare il grado di controllo e opportunità personali;
- La QdV dovrebbe rivestire un ruolo preponderante nella raccolta degli esiti.
Nel tempo, quindi, la Qualità di Vita è diventata un agente di cambiamento sociale, in cui risulta centrale la predisposizione di sostegni individualizzati, adattati cioè ai bisogni e alle preferenze della persona. È necessario, inoltre, che tali sostegni vengano attuati all’interno di ambienti inclusivi (Schalock et al., 2008). La forza dell’inclusione sta nell’inserimento al 100% della persona con disabilità all’interno del sistema sociale, adattando tale sistema a ogni individuo con o senza disabilità tramite l’eliminazione delle barriere alla piena partecipazione di tutti come ugualmente unici e valorizzati. Ciò non avviene in un’ottica di integrazione, la quale si basa invece su un adattamento al sistema, spesso tramite la creazione di gruppi che, per quanto siano inseriti all’interno del sistema sociale, sono comunque separati da esso, segregati (Eid, 2018).
Misurazione della Qualità di Vita
La misurazione della Qualità di Vita si basa innanzitutto sulla valutazione degli indicatori, i quali rappresentano gli elementi da quantificare al fine di ottenere una misurazione dei domini a cui si riferiscono (Coscarelli e Balboni, 2014). Gli indicatori hanno una connotazione ecologica, ossia devono essere considerati in rapporto al contesto sociale e alla quotidianità della persona; inoltre sono sensibili all’età del soggetto e alle sue condizioni (ad esempio, sviluppo tipico, disturbo mentale, ecc; Cottini, 2009).
La letteratura si mostra discordante sulle modalità di misurazione degli indicatori di Qualità di Vita, i quali possono essere classificati in soggettivi e oggettivi, e sull’utilità di disporre di entrambe le tipologie di risultati. In generale, vengono considerati soggettivi gli indicatori che hanno a che fare con la percezione di (a) soddisfazione per la vita rispetto a standard personali e (b) felicità, in termini di stati affettivi positivi (Cummins, 2000). Vengono invece considerati come oggettivi gli indicatori relativi alle circostanze di vita obiettive, indipendenti quindi dalle percezioni di benessere personali (per esempio, reddito, livello di istruzione). Pertanto, questi ultimi vengono solitamente valutati richiedendo al soggetto di quantificare esperienze e condizioni di vita relative ai domini della Qualità di Vita (es. “disponi di una casa / appartamento / stanza che puoi chiudere a chiave?”: dominio del benessere materiale; Cummins, 2000, p. 10). Gli indicatori soggettivi invece vengono misurati richiedendo di valutare il livello di soddisfazione percepito relativamente ai vari aspetti di vita considerati (es. “Sei importante per la tua famiglia?”: dominio delle relazioni interpersonali; ibidem). Pertanto, la qualità oggettiva o soggettiva degli indicatori rispecchia il contenuto delle domande, non la natura della valutazione che, di per sé, è sempre soggettiva, né la fonte delle informazioni (auto- o etero-valutativa; Hatton e Ager, 2002).
Diverse ricerche hanno mostrato una correlazione medio-bassa tra gli indicatori soggettivi e quelli oggettivi, suggerendo l’utilità di ricorrere a entrambi i tipi di misurazione (Müller e Cannon, 2014). Risulta altresì importante attribuire alle due categorie di indicatori pesi differenti in base agli scopi della misurazione (Verdugo et al., 2005). Per esempio, gli indicatori soggettivi risultano utili nel caso in cui si voglia indagare il livello di soddisfazione di persone con disabilità intellettiva (DI) in confronto a un’altra popolazione; nell’ipotesi in cui i punteggi siano simili, il livello di soddisfazione risulta normativo; altrimenti, conviene indagare quali fattori personali o ambientali possano causare queste differenze. Nel caso in cui si vogliano valutare gli effetti degli interventi e le condizioni ambientali, risulta invece più pertinente il ricorso a indicatori di tipo oggettivo (Verdugo et al., 2005).
Pertanto, i metodi di raccolta dati migliori comprendono questionari e interviste che tengano conto, in maniera indipendente, di entrambe le tipologie di indicatori e che siano progettate per essere completate da utenti con DI o, eventualmente, da informatori che conoscono la persona (detti proxy; Hatton e Ager, 2002).