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Psicologo o psicoterapeuta? – Lettera di un lettore

Alcune iniziative generano confusione tra il ruolo di psicologo e il ruolo di psicoterapeuta. Ciò rischia di tradursi in un approccio sbagliato al paziente

Di Guest

Pubblicato il 21 Ott. 2022

NOTA DELLA REDAZIONE

Pubblichiamo una lettera di un nostro lettore che preferisce rimanere anonimo. Si tratta di una riflessione sul dibattito in corso riguardante il ruolo di psicologi e psicoterapeuti. La lettera rappresenta bene una certa posizione tra quelle in campo, ma non è l’unica possibile, né rappresenta la posizione di State of Mind.

 

 La psicologia è una professione sanitaria e dunque la sua mission è la salute mentale collettiva che viene garantita soltanto se non si fa confusione tra ruoli e competenze regolate dalla legge.

Come spesso accade nelle discussioni pubbliche, il focus della questione viene ribaltato e, puntando su indignazione e sconcerto, si prova a far credere che l’oggettivo sia incredibile. E così anche nel recente dibattito sul ruolo di psicologi e psicoterapeuti, si vuol dipingere come assurdo il fatto che, come previsto e regolato dalla legge, lo psicologo possa svolgere attività di promozione e prevenzione della salute mentale ma non possa effettuare una terapia sui pazienti, competenza che invece spetta allo psicoterapeuta. Vale a dire a chi, dopo la laurea in psicologia, ha scelto di proseguire gli studi per ulteriori quattro anni e ha conseguito una specializzazione che lo ha legittimato alla cura. Equiparare le due figure significherebbe, peraltro, non riconoscere allo psicologo il fondamentale ruolo nella prevenzione del disturbo, tramite consulenza individuale o all’interno di strutture sociali (scuola, lavoro, salute).

Se si fa il paragone con la professione medica, sarebbe come indignarsi del fatto che un laureato in medicina non possa eseguire una TAC su un paziente oncologico, attività riservata agli specializzati in radiologia, o, se si preferisce, come indignarsi che un laureato in medicina non possa curare un paziente con la psicoterapia, se non è specializzato in questa disciplina. Tornando alla psicologia, lo scandalo sarebbe che chi si è specializzato in psicoterapia abbia l’esclusiva sulla terapia e che non possa accedervi, invece, chi non si è specializzato. E non pensa, chi grida allo scandalo, che tale separazione di ruoli, come suggerisce il codice deontologico di psicologi e psicoterapeuti è, al contrario, fondamentale per la tutela del paziente, priorità assoluta nella professione.

Riservare il trattamento e la cura del paziente, come stabilisce la legge, a professionisti che hanno il titolo per farlo è un’opportunità logica e sensata, oltre che di indubbio valore meritocratico: si tratta di studenti che, dopo aver conseguito la laurea in Psicologia ed essersi iscritti all’Ordine degli psicologi, si sono impegnati in una ulteriore formazione quadriennale riconosciuta dal MIUR, per acquisire capacità di valutazione differenziale, disegno e scelta di intervento sul paziente. Ma al di là della seppur ingiusta e ingiustificata equiparazione dei ruoli interni all’ordine, in ballo c’è qualcosa di molto più grave: a rimetterci sarebbe la persona in condizioni di fragilità, la salute della quale dovrebbe essere la mission dell’intera professione. Mantenere distinzione tra le due figure professionali significa farsi carico della responsabilità alla quale la deontologia richiama: il dovere di assicurarsi che i pazienti non siano affidati indistintamente a professionisti specializzati e non specializzati e che, in tal modo, perdano le garanzie di ricevere un trattamento di qualità, idoneo al proprio disagio.

Non è un caso che nel Servizio Sanitario Nazionale, per curare pazienti con psicopatologie, si assumano psicoterapeuti, vale a dire psicologi specializzati e quindi legittimati all’esercizio della psicoterapia, e che non ci sia invece traccia di psicologi che eroghino “terapia psicologica”. Da notare, per inciso, che il termine “terapia psicologica” non compare proprio nella legge 56/89, il cui articolo 3, invece, recita testualmente: “L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia”. Tutto, al contrario, rischia di diventare psicoterapia, a prescindere dal possesso degli strumenti clinici per il trattamento dei disturbi psicopatologici. Strumenti che si acquisiscono solo attraverso una formazione specifica quale rappresenta ad oggi la specializzazione in psicoterapia.

Sono sempre più diffuse iniziative che invitano le persone che soffrono di disturbi psicopatologici a rivolgersi a psicologi, senza nominare l’esistenza di psicoterapeuti e della psicoterapia. Tali iniziative generano una preoccupante confusione nell’opinione pubblica tra il ruolo di psicologo e il ruolo di psicoterapeuta, e certamente non contribuiscono a fare chiarezza sulle competenze dell’una e dell’altra figura professionale. Tutto ciò rischia di tradursi in un approccio sbagliato alla problematica del singolo oltre che in un dispendio economico, da parte della persona o dello Stato, non giustificato da un’attenzione adeguata alla salute del paziente.

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