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La psicologia, oltre il panorama medico: un’analogia biologica

Il nesso metaforico tra biologia e psicologia risiede nella possibilità che emerga nella relazione analitica qualcosa di nuovo, di diverso, di più complesso

Di Fabio Volpe

Pubblicato il 06 Giu. 2022

Aggiornato il 10 Giu. 2022 11:45

Le dimensioni rappresentate da fisica, biologia e psicologia sono, da una parte incommensurabili perché di ordini di grandezza non paragonabili, dall’altra in qualche modo in continuità; questo è il paradosso da accettare ed euristicamente sviluppare.

 

 Spesso si contesta ai filosofi della scienza di occuparsi di questioni teoriche apparentemente lontane dalle esigenze pratiche di chi opera nel campo della ricerca scientifica o del trattamento e cura del corpo o della mente. In particolare tra gli psicoterapeuti è abbastanza comune constatare una certa indifferenza, o anche solamente la considerazione dei presupposti teorici ed epistemologici della pratica analitica e della psicoterapia come un luogo non pensato ed estraneo al lavoro concreto con i pazienti.

Tuttavia, per dirla con Quine, “facts and observation are theory laden”, che sta a significare che inevitabilmente il fondamento teorico di riferimento informa sempre la cornice entro la quale si muove il professionista o lo scienziato, che quel sapere e quella conoscenza deve erogare nel predisporre il servizio di cura e di aiuto a cui è chiamato a rispondere.

In questo senso, solo per fare un esempio, il recente lavoro di Foschi e Innamorati sulla storia della psicoterapia rappresenta un approccio in controtendenza rispetto ad una certa pigrizia intellettuale degli addetti ai lavori, così presi ed impegnati nelle esigenze quotidiane e pratiche che l’attività comporta, apparentemente lontane dalle questioni teoriche.

La suggestione qui proposta è analogica e va recepita, per dir così, mutatis mutandis; si tratta di una metafora colta da un regno differente dalla psicologia, un regno preesistente e di un ordine di grandezza diverso e più grande rispetto alla dimensione psichica: ζωη Zoé più ancora che Bios. La vita organica, nella sua essenza, al di là della vita individuale. Le dimensioni rappresentate da fisica, biologia e psicologia sono, quindi, da una parte incommensurabili perché di ordini di grandezza non paragonabili, dall’altra in qualche modo in continuità; questo è il paradosso da accettare ed euristicamente sviluppare.

È come se, pur non essendo la prova dimostrata di una qualche legge incontrovertibile, la dimensione biologica avesse lasciato una traccia, una matrice così profonda da irradiarsi anche dove forse non penseremmo mai di trovarne dirette e significative conseguenze.

L’analogia tra psicologia e biologia

Allora vediamola questa analogia; siamo nel campo degli studi di biologia evoluzionistica, segnatamente nelle ricerche sperimentali sull’origine della vita. In biologia sappiamo bene come il concetto di cooperazione sia davvero molto rilevante ed assuma diverse forme in moltissime specie, dagli uccelli ai mammiferi, più o meno simili a noi; si va dalla cooperazione mutualistica delle leonesse nella caccia, al warning call degli scimpanzé diversificato per ogni tipo di pericolo, fino al più generale concetto di eusocialità nelle più disparate specie viventi, dagli insetti fino ai Sapiens. Ricordiamo Edward Wilson, andatosene proprio questo Natale, e la sua pionieristica ricerca sulla selezione naturale di gruppo, interessantissima ed illuminante nella comprensione della paradossalità dei meccanismi evolutivi e selettivi individuali e di gruppo, egoistici o altruistici, competitivi piuttosto che collaborativi. In pratica il vantaggio evolutivo, selezionato dall’ambiente, può essere, appunto, competitivo o di simbiosi, parassitario o cooperativo, può privilegiare i free riders, battitori liberi egoisti, o i comportamenti altruistici a favore del proprio gruppo: la sociobiologia è proprio la scienza che studia l’evoluzione di questi sistemi istintuali e sociali nello stesso tempo, sistemi che naturalmente riguardano anche noi umani, perlomeno fino a quando lo sviluppo culturale ci porterà verso un ampliamento di quel “Noi”,  gruppo umano, un noi che non lascerà fuori proprio nessuno; solo allora l’istinto tribale, così precisamente neurobiologicamente connotato nel nostro cervello dall’evoluzione sarà qualcosa di superato.

Dalle vicende dell’ultimo mese manca ancora tanto. Un esempio clamoroso del confronto tra il proprio e l’Altro in una comunità di primati, a noi così vicini, è stata pubblicata recentemente; si tratta di uno studio ecologico, in condizioni naturali quindi, condotto in Uganda in una comunità di scimpanzé nella quale era nato un esemplare albino, evento estremamente raro. In poche settimane il piccolo era stato progressivamente attaccato da tutti i membri del gruppo, fino alla sua uccisione cruenta. L’Altro, il non-io, il nemico, il pericolo, rappresentano uno schema psichico potentissimo, neurobiologicamente determinato dall’evoluzione, che ancora brucia sotto la cenere dalla nostra sofisticata razionalità.

Voglio, però, andare alla radice ultima e fondante della vita biologica per riprendere la suggestione analogica da cui siamo partiti, una metafora rilevante sia dal punto di vista dell’episteme delle due scienze, bio e psico, sia dal punto di vista della correlazione tra i due ambiti: il passaggio dalla chimica alla vita organica.

Sappiamo ormai da qualche decennio come la vita biologica sia nata in qualche modo da qualche molecola inorganica, chimica. L’ipotesi più plausibile e prevalente in questo senso è quella di un cosiddetto mondo a RNA quale base di partenza per l’instaurarsi delle prime molecole biologiche viventi e autoreplicanti.

Il problema di questa interpretazione teorica è sempre stato quello di capire, un mistero fino ad oggi, come sia stato possibile che singoli filamenti di RNA in grado di fare copie di sé stessi, fossero poi in grado di consolidare i meccanismi di autoreplicazione fino a produrre, nelle successive generazioni, un aumento di complessità delle proprie strutture.

Le origini della complessità umana

Da pochi giorni è stato pubblicato su Nature il lavoro degli scienziati giapponesi dell’Università di Tokyo, Mizuuchi e Furubayashi, che sono partiti proprio da questo nodo problematico, cioè l’impossibilità per singoli filamenti di RNA, a causa della loro estrema semplicità strutturale e della loro instabilità, di ricoprire il ruolo del perfetto candidato responsabile della complessificazione delle strutture autoreplicanti. Questo è stato il punto di partenza. L’esperimento degli scienziati giapponesi ha quindi cercato di dimostrare come fosse possibile osservare una evoluzione a lungo termine di un replicatore di RNA che, tuttavia, lavorasse in una rete, cooperando o parassitando; in pratica in una coltura in presenza di diversi tipi differenti di RNA, dopo diversi passaggi, il filamento RNA ospite, contaminato dagli altri tipi, si riproduceva conservando l’informazione dei filamenti parassiti; nasceva così un RNA cooperativo. Il concetto alla base della teoria e del relativo esperimento era, perciò, che la scintilla indispensabile all’avvio della complessità biologica, fosse di natura relazionale e collaborativa.

Vediamo come:

Psicologia e biologia un analogia tra le due discipline Imm 1

(Figura da Nature Communicartions).

  • a) Il sistema di replicazione dell’RNA. L’RNA ospite originale si replica attraverso la traduzione della replica autocodificata, mediante la quale potrebbero essere generati RNA ospiti mutanti e RNA parassiti.
  • b) Rappresentazione schematica di esperimenti di replicazione a lungo termine in goccioline acqua-in-olio. (1) La replicazione dell’RNA è stata eseguita a 37 °C per 5 ore. (2) Le goccioline sono state diluite 5 volte con nuove goccioline contenenti il sistema di traslazione. (3) Le goccioline sono state vigorosamente mescolate per indurre la loro fusione e divisione casuale.
  • c) Variazioni di concentrazione degli RNA dell’ospite e parassiti di diversa lunghezza. Le concentrazioni di RNA ospite sono state misurate mediante RT-qPCR e le concentrazioni di RNA parassita sono state misurate dalle corrispondenti intensità di banda dopo elettroforesi su gel. Le concentrazioni di RNA parassitario non sono state tracciate in cicli in cui non erano rilevabili.

 La figura mostra come dopo 240 cicli (1200 ore) la replicazione dei filamenti singoli, ospite e parassita, ha prodotto un aumento di complessità non presente, né prevista all’inizio della serie. Proprio quello che mancava nella spiegazione dell’origine della vita, per la quale la sola capacità di un filamento di RNA di produrre una copia di sé stesso non era sufficiente ad innescare un meccanismo stabile e potente, suscettibile di selezione da parte dell’ambiente. Tanto era difficile rintracciare qualche candidato plausibile per una spiegazione teorica convincente, che si sono susseguite nel tempo ipotesi teoriche suggestive ed originali tra i biologi evoluzionisti; ricordiamo, tra le altre, la teoria delle argille di Cairns-Smith, particolarmente interessante perché spiegava la replicazione stabile delle prime molecole biologiche attraverso il millenario sfaldamento dei cristalli di argilla nelle acque di fiumi e stagni, cristalli contaminati da molecole organiche posatesi sulle superfici. La teoria era seducente anche perché dava conto della particolare caratteristica di zuccheri e aminoacidi di essere enantiomeri, cioè molecole chirali destrorse le prime, mancine le seconde; avrebbero potuto svilupparsi in natura benissimo le molecole speculari corrispondenti, perfettamente identiche ma non sovrapponibili, come una mano allo specchio, ma di fatto non è successo, è andata così.

Tutto questo per dire come, per gli scienziati, il nodo da sciogliere risiedesse proprio nel rintracciare il meccanismo replicativo stabile e produttore di complessità strutturale crescente.

Riassumendo

Per tornare alla nostra analogia iniziale, cioè il nesso metaforico tra le origini assolute del biologico con la psicologia moderna e la sua pratica, ecco il punto: il nesso nel campo della psicoterapia risiederebbe proprio nella possibilità che emerga nella relazione analitica qualcosa di nuovo, di diverso, di più complesso del semplice contatto e interazione di più elementi individuali: il terzo intersoggettivo analitico alimentato dalla reverie.

Questo concetto teorico si riferisce al lavoro di Thomas Ogden che ne ha delineato i contorni, definendolo come qualcosa di molto più profondo di una semplice esperienza condivisa all’interno del setting e della relazione psicoterapeutica. Già Marcuse negli anni 60 individuava il pensiero dialettico come indissolubile totalità emergente dalla relazione soggetto-oggetto, totalità non riducibile alla somma delle due parti, così Ogden, successivamente, definiva il soggetto dell’esperienza analitica, l’analista come il paziente, come soggetti che si formano nello spazio intersoggettivo della loro relazione, pur nell’ineliminabile asimmetria delle parti. Sono proprio i soggetti, decentrati rispetto alla loro individualità, conscia ed inconscia, ad essere creati dallo spazio relazionale che entrambi condividono, una soggettività quindi non riconducibile a nessuna della due parti in causa. Il terzo nell’uno, dunque, come perfettamente enucleato nel lavoro sulla differenziazione di Jessica Benjamin.

Si avverte naturalmente, all’origine di questa impostazione teorica, l’influenza delle relazioni oggettuali declinate nel senso winnicottiano, proprio per la rilevanza degli aspetti primari transizionali nell’esperienza diadica madre- bambino. Tuttavia, Ogden aggiunge qualcosa in più; la relazione sì, ma come nascita e creazione di un elemento nuovo, unico, un elemento emergente, imprevedibile e di natura teleologica più che causale; una finalità naturalmente mai precostituita e prevedibile, insatura e, per definizione, mai saturabile. Un po’ come il simbolo junghiano, mai segno interpretabile, ma operatore psichico di trasformazione.

Se, allora, tutta la clinica e la psicoterapia appartengono all’insieme che contiene tutti i significati emergenti e meta individuali capaci di produrre e creare configurazioni psichiche, cognitive, emotive, oniriche, nuove ed imprevedibili, potenzialmente portatrici di cura o salvezza come si preferisce, allora, appunto, si ripete in qualche modo la traccia archetipica lasciata dai filamenti di RNA di diverso lignaggio, che, solo cooperando ed intrecciandosi per sempre, hanno creato la vita.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Benjamin J., (2017). Beyond doer and done to: An intersubjective view of thirdness,  Routledge, Londra
  • Cairns Smith Graham A., (1986). Sette indizi sull'origine della vita. Una detective-story scientifica, Liguori, Napoli
  • Darwin C., (1999). L’origine dell’uomo, Editori Riuniti, Roma
  • Foschi R., Innamorati M., (2021). Storia della psicoterapia, Raffaello Cortina, Milano
  • Jung C.G., (2011). Tipi Psicologici, Bollati Boringhieri, Torino
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  • Manica M., (2016). Tertium datur: Ogden e il principio dialettico del terzo incluso, Rivista di psicoanalisi, LXII, 2, Raffaello Cortina, Milano
  • Marcuse H., (1960). Ragione e rivoluzione. Hegel e il sorgere della ‘teoria sociale, Il Mulino, Bologna
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  • Ogden, T., (1999). Rêverie e interpretazione, Astrolabio, Roma
  • Ogden, T., (1999). Soggetti dell’analisi, Dunod, Milano
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  • Wilson E., (2019). Le origini profonde delle società umane, Raffaello Cortina, Milano
  • Winnicott D.W., (1964). The Child, The Family and The Outside World, Pelican, Baltimore
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