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La nascita della terapia metacognitiva – Parte II

Si approfondisce la terapia metacognitiva con un focus sul metodo sperimentale usato durante la sua ideazione e sulle sue applicazioni in ambito clinico

Di Carlotta Olivari

Pubblicato il 22 Mar. 2022

La Terapia Metacognitiva si basa su un modello di elaborazione delle informazioni che delinea l’interazione tra valutazione cognitiva, processi cognitivi (cioè memoria, attenzione) e metacognizione.

 

Nella prima parte di questo approfondimento, abbiamo analizzato nel dettaglio quelle che furono le basi teoriche che portarono, alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ‘90, alla nascita del modello metacognitivo. Abbiamo inoltre illustrato i principali strumenti di valutazione delle metacognizioni e della sindrome cognitivo-attentiva (CAS).

In questa seconda parte approfondiremo ulteriormente il modello teorico, con un particolare focus sul metodo sperimentale utilizzato dagli autori durante l’ideazione del modello e sulle applicazioni pratiche della terapia metacognitiva in ambito clinico.

Verranno poi esposti i limiti e i futuri sviluppi del modello.

L’approccio metacognitivo e lo sviluppo

A differenza di molte terapie psicologiche che si servono di tecniche appartenenti ad altri approcci, le tecniche utilizzate dalla Terapia Metacognitiva (MCT), seguendo il modello S-REF, sono state sviluppate sulla base della teoria dei processi e molte sono state valutate individualmente con il metodo sperimentale prima di essere integrate nel pacchetto degli interventi MCT.

Per esempio, la tecnica della rifocalizzazione situazionale dell’attenzione (situational attentional refocusing, SAR), sviluppata per contrastare il monitoraggio della minaccia e introdurre piani alternativi per l’elaborazione, è stata testata nell’ansia sociale (Wells & Papageorgiou, 1998), mentre l’esposizione metacognitiva è stata testata in laboratorio in soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo (Fisher & Wells, 2005), così come la detached mindfullness (es., Gkika & Wells, 2015). Verosimilmente, l’approccio adottato ha portato a una connessione completa e coerente tra la teoria dei processi metacognitivi alla base dei disturbi psicologici e le tecniche di cambiamento psicoterapeutico utilizzate nel trattamento.

Il modello sostiene che il controllo dell’attenzione nel disturbo psicologico possa diventare inflessibile e causare elaborazioni negative focalizzate sul sé (cioè, la CAS). Pertanto, le tecniche di trattamento focalizzate sull’attenzione possono fornire un mezzo per interrompere la CAS e aumentare la flessibilità del controllo metacognitivo. Wells (1990) sviluppò la prima tecnica della Terapia Metacognitiva, ovvero l’Attention Training Tecnique (ATT), proprio con questo scopo. L’ATT fu concepita per avere un impatto su diversi aspetti dell’attenzione: in primo luogo sull’acquisizione di maggior consapevolezza del controllo che operiamo sulla nostra attenzione, in secondo luogo sulla riduzione dei processi attentivi rivolti alla propria cognizione.

Wells e Matthews (1994) hanno ipotizzato che una riduzione della CAS, insieme con modificazioni delle credenze metacognitive, potrebbe essere facilitata da tecniche che inducono stati definiti detached mindfullness (DM). La DM è uno stato che mira a diminuire l’attivazione della CAS e che ha il potenziale di modificare i processi metacognitivi e le conoscenze che lo guidano. Le tecniche di DM che modificano la conoscenza metacognitiva e rafforzano il controllo esecutivo dell’elaborazione potrebbero agire sulla connettività dei sottosistemi cognitivi e metacognitivi (Wells, 2019). La tecnica viene utilizzata per migliorare la consapevolezza del controllo, per aumentare la conoscenza metacognitiva e per modificare i modelli disadattivi del funzionamento mentale.

Nella Terapia Metacognitiva queste tecniche sono incorporate in un dialogo metacognitivo che differisce dal classico dialogo della CBT. Dal momento che lo scopo della Terapia Metacognitiva è modificare la cognizione di livello superiore e la regolazione cognitiva, il terapeuta non si concentra sul contenuto dei pensieri e degli schemi. Piuttosto, il terapeuta MCT incentra la discussione sulle credenze riguardanti il pensiero e la possibilità di scegliere come relazionarsi con essi piuttosto che rimanere nel contenuto dei pensieri e metterne in dubbio la veridicità.

La valutazione dell’efficacia della MCT

L’approccio utilizzato nella valutazione dell’efficacia della MCT mostra una progressione graduale: la maggior parte delle psicoterapie si basa sull’osservazione clinica piuttosto che su tecniche scientificamente testate o su teorie strutturate a priori, mentre la Terapia Metacognitiva è stata sviluppata in maniera più sistematica: questa teoria è stata in seguito accompagnata da una serie di studi pilota, trial non controllati e valutazioni controllate randomizzate.

Per esempio, la valutazione della Terapia Metacognitiva per il disturbo d’ansia generalizzato (GAD) ha avuto inizio con un case-study (Wells, 1995) seguito da uno studio non controllato (Wells & King, 2006); in seguito, sono stati condotti trial clinici randomizzati che mettevano a confronto la Terapia Metacognitiva con trattamenti evidence-based come la terapia cognitivo comportamentale per l’intolleranza all’incertezza (van der Heiden et al., 2012). Da allora, sono emersi studi di analisi della fattibilità della Terapia Metacognitiva per il disturbo d’ansia generalizzata in bambini e adolescenti (Esbjørn et al., 2015) e nell’ambito della terapia di gruppo (Haseth et al., 2019).

Negli ultimi 25 anni, la Terapia Metacognitiva è stata testata su diversi disturbi psicologici, come il disturbo depressivo maggiore, nel cui trattamento ha ottenuto significativi successi (Papageorgiou & Wells, 2000), il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo da stress post-traumatico, seguendo la medesima rigorosità metodologica e dimostrandosi una valida alternativa alle terapie d’elezione. In alcuni casi, si è addirittura dimostrata più efficace (es., Normann & Morina, 2018).

A livello dei processi, le evidenze in letteratura indicano che la Terapia Metacognitiva riduce efficacemente la CAS e crea un cambiamento metacognitivo (Normann & Morina, 2018).

La terapia metacognitiva rientra nelle terapie di “terza ondata”?

Fino a oggi, lo sviluppo delle terapie psicologiche è stato inquadrato all’interno di tre ondate (Hayes, 2004): la prima ondata era rappresentata dal comportamentismo (condizionamento classico, condizionamento operante); la seconda ondata era caratterizzata dagli interventi incentrati sull’uso della cognizione e dell’elaborazione delle informazioni, con l’intervento dominante della terapia cognitiva.

Sebbene oggetto di diverse critiche, Hayes (2004) ha notato l’emergere di una terza ondata di terapie psicologiche incentrate su accettazione, consapevolezza, valori e relazioni (es. mindfulness); ha inoltre ipotizzato che queste terapie, derivanti da approcci filosofici, fossero meno incentrate sui contenuti e mirassero maggiormente a modificare la funzione degli eventi psicologici vissuti piuttosto che gli eventi stessi.

Le terapie di terza ondata includevano la Psicoterapia Analitico-Funzionale (FAP), la Terapia di Coppia Comportamentale Integrativa (IBCT), l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), e la Terapia Cognitiva basata sulla Mindfulness (MBCT).

Sebbene la Terapia Metacognitiva sia stata descritta da alcuni (ad es. Hayes, 2004) come una terapia di terza ondata, Capobianco e Nordahl (2021) mettono in dubbio questo suggerimento evidenziando come la MCT differisca da quelle elencate poc’anzi. A differenza della Terapia Metacognitiva, le terapie di terza ondata non hanno basi che affondano nella teoria psicologica o nei modelli di elaborazione cognitiva, sono piuttosto radicate in teorie che esulano dal campo della psicologia clinica, ovvero, quelle filosofiche.

Per esempio, gli interventi basati sulla mindfulness derivano dalle pratiche buddiste, non vi è una struttura per concettualizzare come tali interventi si traducano in un miglioramento clinico, modificando meccanismi psicologici preesistenti. È solo più di recente che i ricercatori hanno cercato di applicare la teoria psicologica al fine di concettualizzare gli effetti che ha la mindfulness sulla patologia (es. Brown et al., 2007).

Questo metodo contrasta profondamente con la terapia metacognitiva, che si basa su un modello di elaborazione delle informazioni che delinea l’interazione tra valutazione cognitiva, processi cognitivi (cioè memoria, attenzione) e metacognizione: le basi teoriche della MCT e quelle delle terapie di terza ondata differiscono in modo significativo (Capobianco & Nordahl, 2021).

Gli approcci di terza ondata si sono allontanati da una dettagliata formulazione a priori delle metodologie teoriche, approccio opposto rispetto a quello adottato nello sviluppo della MCT. Ciò potrebbe, in futuro, comportare sfide significative per le terapie di terza ondata nel comprendere e testare come e perché queste tecniche funzionano e potrebbe rallentare lo sviluppo di nuovi metodi di trattamento theory-driven (Capobianco & Nordahl, 2021).

La terapia metacognitiva come cambiamento di paradigma

La Terapia Metacognitiva può definirsi come un esempio di “good practice” nello sviluppo di una psicoterapia, ragione principale per la quale l’approccio ha riscosso così tanto successo terapeutico. Questo metodo ha permesso di costruire la teoria partendo dall’analisi dei processi psicologici e psicopatologici, per passare poi ai test empirici e allo sviluppo e valutazione di nuove tecniche di trattamento che partissero dalla neonata teoria (Capobianco & Nordahl, 2021).

Si può dire che lo studio alla base della Terapia Metacognitiva rappresenti un cambiamento di paradigma in psicoterapia, dal momento che dapprima si è sviluppata una solida teoria psicologica dei processi, in seguito è avvenuta la sperimentazione dei modelli e infine si sono concretizzati i risultati in specifiche tecniche mirate.

Inoltre, la Terapia Metacognitiva è stata determinante nel favorire il passaggio ai metodi transdiagnostici nella psicopatologia, un allontanamento dal contenuto della cognizione a favore delle analisi dei processi della mente, una rivalutazione delle teorie basate sull’automaticità dei processi cognitivi e il riconoscimento della cognizione di livello superiore (metacognizione) nel contesto della comprensione dei bias nella regolazione mentale.

Limiti, ostacoli e direzioni future

I progressi compiuti dal modello metacognitivo sono stati considerevoli in diversi ambiti della psicologia clinica; tuttavia, vi sono dei limiti. Mentre Normann e Morina (2018) hanno osservato gli effetti maggiori che aveva la Terapia Metacognitiva rispetto ai gruppi di controllo in lista d’attesa e ai gruppi CBT, hanno anche sottolineato il fatto che alcuni degli studi avevano campioni di piccole dimensioni e che erano prevalentemente condotti su pazienti con disturbo d’ansia generalizzato o disturbo depressivo maggiore: permane la necessità di un maggior numero di valutazioni sull’efficacia della Terapia Metacognitiva nella routine clinica e nei pazienti con problemi di salute mentale gravi e complessi.

Tuttavia, la ricerca sulla Terapia Metacognitiva continua a prendere piede e sono emersi studi su larga scala in pazienti con disturbo depressivo maggiore (Callesen et al., 2020) trattati nella pratica clinica, in pazienti con problematiche di natura fisica (Wells et al., 2021) e in pazienti con traumi precoci con disturbo borderline di personalità (Nordahl & Wells, 2019). Questi progressi recenti indicano che l’efficacia degli studi precedenti può essere generalizzata ad altri gruppi e tipologie di pazienti.

Come per tutte le teorie, vi è un margine di sviluppo e, ove necessario, uno spazio per la revisione della teoria sulla base dei nuovi dati acquisiti. Le asserzioni centrali del modello S-REF sono rimaste coerenti e più dati hanno supportato i processi proposti negli ultimi 30 anni. In un recente ampliamento della teoria, Wells (2019) ha elaborato la struttura e la funzione della metacognizione nell’autoregolazione e ha descritto in maniera più dettagliata un distinto Sistema di Controllo Metacognitivo (Metacognitive Control System-MCS; Wells, 2019). Wells ha delineato le differenze tra il sistema cognitivo e il sistema metacognitivo in psicopatologia e riabilitazione; questo ha richiesto una riflessione su come i sistemi memorizzano, trasmettono e utilizzano le informazioni sullo stato dell’elaborazione.

Secondo l’autore, l’MCS crea e trasmette informazioni come un codice cibernetico, che viene utilizzato per istruire altri sistemi di autoregolamentazione neurale verso il raggiungimento degli obiettivi per l’elaborazione. Il modello MCS presenta nuove ipotesi per l’autoregolazione, lo sviluppo di metodi di trattamento e la comprensione dei processi di guarigione.

Dopo 36 anni di teoria e ricerca, la Terapia Metacognitiva è ancora nelle sue fasi di sviluppo e molto resta da esplorare, come le applicazioni in contesti occupazionali, l’efficacia con pazienti affetti da problematiche fisiche, nelle gravi malattie mentali e nelle dipendenze; con bambini e adolescenti l’obiettivo per il futuro è di sviluppare studi su vasta scala, che rispecchino quelli condotti sulla salute mentale degli adulti (es., Caselli et al., 2018).

Fondamentale è garantire un utilizzo appropriato della Terapia Metacognitiva e delle tecniche associate come l’ATT: i terapeuti prima di utilizzare le metodologie appartenenti alla Terapia Metacognitiva devono avere una buona preparazione che possa garantire standard minimi di formazione e competenza per i trattamenti che comportino il confronto di diverse tecniche metacognitive.

Il modo in cui le terapie sono classificate è rilevante e combinare i trattamenti sotto definizioni come CBT o “terza ondata” rischia di oscurare importanti differenze tra gli approcci. Questo può avere lo sfortunato effetto collaterale di trovare metanalisi che combinino interventi con obiettivi diversi per il cambiamento e che adottino diverse metodologie.

Nel caso della Terapia Metacognitiva ciò potrebbe annullare i risultati del meticoloso lavoro sistematico che ha portato allo sviluppo di questo approccio terapeutico: un tale approccio non si adatta allo sviluppo guidato dalla teoria che è alla base della MCT. L’eclettismo in psicoterapia (cioè la combinazione di tecniche di trattamento senza giustificazione teorica o processuale) deve ancora produrre un trattamento più efficace della CBT, ma sembra che nello sviluppo della Terapia Metacognitiva questo possa essere un obiettivo raggiungibile.

In arrivo il Masterclass Internazionale di Terapia Metacognitiva

L’innovazione che la Terapia Metacognitiva ha introdotto nella concettualizzazione e nel trattamento dei disturbi psicologici (non solo limitata ai disturbi d’ansia, ma anche a quelli ossessivi, depressivi, post-traumatici, ecc), ha creato nei professionisti una sempre maggiore curiosità e una crescente domanda verso percorsi formativi che consentano di conoscere gli aspetti teorici ma soprattutto di padroneggiare gli aspetti pratici di questo nuovo approccio.

Per tale motivo, l’MCT-Institute, in collaborazione con MCT-Italia, organizzerà un Masterclass per colleghi psicoterapeuti e specializzandi di lingua italiana.

Il Masterclass rappresenta il primo livello di competenza nella Terapia Metacognitiva e certifica l’iscrizione nell’elenco internazionale degli psicoterapeuti metacognitivi.

Sarà un corso dalla durata di due anni (dal 2022 al 2024), organizzato prevalentemente online tramite piattaforma ZOOM con traduzione in italiano. Il corso sarà composto da 8 incontri di due giorni, dedicati all’applicazione pratica della Terapia Metacognitiva e alla supervisione di casi clinici.

Il Masterclass sarà condotto interamente dai fondatori dell’ MCT-Institute e della terapia metacognitiva: Prof. Adrian Wells e Prof. Hans Nordahl.

 

Per informazioni sul Masterclass MCT >> CLICCA QUI

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