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Lo strappo nel mantello di Superman e la scheggia nel martello di Thor

Vediamo cos’è un gioco di ruolo e in che modo potrebbe interagire con la psicoterapia permettendo di scoprire le potenzialità del fallimento

Di Martina Migliore, Francesca Pergolizzi

Pubblicato il 11 Mar. 2022

Gioco di ruolo e psicoterapia: attraverso la meccanica di gioco ‘Powered by the Apocalipse’ il fallimento diventa un valore, e rende una storia ricca e significativa.

 

L’idea di fallimento

Fin da piccoli abbiamo apprezzato il potere mellifluo della vincita, della capacità di superare i nostri limiti e raggiungere con gioia, vette stellate.

La vittoria è, da sempre, uno dei motivatori più grandi per l’uomo. Siamo competitivi e territoriali per natura, e non c’è davvero nulla di male in questo. Il pensiero di come aumentare le nostre probabilità di successo all’infinito, è uno dei punti cardini della vita, in ogni sistema capitalistico che si rispetti.

‘Yes we can, don’t give up!’ è il nostro motto, e siamo tutti d’accordo nel dire che è una soddisfazione enorme, quando riesce.

Ognuno di noi, in cuor suo, non resta indifferente a frasi motivazionali di questo tipo.

Nell’immaginario comune, inevitabilmente, la vincita e il successo si associano a motivazione, impegno, tenacia e all’essere un ‘vero guerriero’. Anche quando si parla di malattie fisiche, siamo inclini a parlare di guerrieri e vincitori: ‘ha lottato contro il cancro come un vero guerriero!’.

Il fallimento, invece, tende ad essere associato alla mancanza di motivazione, al ‘non avere voglia’ all’essere uno scansafatiche che non merita menzione o autostima positiva. Cresciamo pensando che se ci impegniamo sempre al massimo, non potremo mai fallire….ma che succede se, nonostante tutti i nostri sforzi, il nostro impegno, le nostre preghiere, la nostra determinazione e la nostra fiducia in noi stessi, falliamo comunque?

Che succede se, per quanto ci impegniamo, ci sentiamo completamente a terra, spezzati, senza energie, e la sola idea di non mollare ci strappa un pianto sconsolato, perché non riusciamo neanche a sollevarci in piedi?

Che succede se le carte che ci ha affidato il Destino, sono veramente pessime, e non permettono neanche di iniziare una partita, figurarsi vincerla?

Che succede se mentre siamo al pieno delle nostre energie, lanciati felici verso un traguardo ormai all’orizzonte, finiamo a terra duramente e più che doloranti non riusciamo neanche a muovere un dito, osservando sconsolati e furiosi quelli che ci superano allegri? Si tratta del momento in cui si è ‘bocconi’ (Brown 2016).

La dura realtà, è che la vita è composta, per la maggior parte, di fenomeni sui quali non abbiamo alcun controllo: malattie, lutti, sconvolgimenti finanziari e politici, altri esseri umani, famiglie problematiche sono solo alcuni esempi di tutto ciò che non ci è dato controllare.

Il mito degli eroi infallibili sta tramontando da tempo, tanto nella narrativa quanto nella filmografia: sembra si stia comprendendo l’utilità non solo della frustrazione, ma del fallimento vero e proprio sia nell’evoluzione della storia, che nella consapevolezza dell’eroe stesso, che diventa sempre più umano: film e serie come Watchmen (2009), Hanckok (2008) e The boys (2019) esasperano proprio la fallibilità del supereroe, rispetto al gold standard del passato.

La verità è che visti i canoni sociali, il fallimento ci fa sentire fragili e vulnerabili, oltre che passibili di abbandono, per non aver rispettato le aspettative desiderate. A nessuno piace sentirsi vulnerabili: non esiste eroe invincibile che ami la vulnerabilità, che abbia il coraggio di immergersi nel fango fino ai gomiti e alle ginocchia, credendo che non ci sia più nulla da fare. E così, tentando di affrontare il profondo malessere legato a fallimento e vulnerabilità conseguenti, la soluzione più a portata di mano sembra l’evitamento esperienziale: evitiamo tutto ciò che rischia di metterci in una situazione di fallimento, vulnerabilità e fragilità (Hayes, Strosahl, Wilson 1999). Nel film distopico Equilibrium (2002), osserviamo una società che ha trovato nella soppressione delle emozioni, la soluzione al problema della violenza sociale: ma poiché non è possibile sopprimere selettivamente solo alcune emozioni, ciò che risulta è un’umanità sterile, grigia e falsata, profondamente infelice e facile alle dipendenze dai rinforzi facili.

Ma se invece fosse proprio il fallimento a mandare, non solo avanti la storia, ma a renderla anche ricca e significativa? Nei giochi di ruolo è ciò che può accadere utilizzando il ‘Powered by the Apocalypse’ (PbtA), una meccanica utilizzata da alcuni anni nel gioco di ruolo (Baker & Baker 2010).

Ma andiamo con ordine, e vediamo cos’è un gioco di ruolo e in che modo potrebbe interagire con la psicoterapia.

Il gioco di ruolo

Un gioco di ruolo, abbreviato spesso in GDR o RPG (dall’inglese role-playing game), è un gioco dove i giocatori assumono il ruolo di uno o più personaggi e tramite la conversazione e lo scambio dialettico creano uno spazio immaginato, dove avvengono fatti ed eventi fittizi, in un’ambientazione narrativa che può ispirarsi a un romanzo, a un film o a un’altra fonte creativa, storica, realistica come nella vita reale o di pura invenzione. Le regole di un gioco di ruolo indicano come, quando e in che misura, ciascun giocatore può influenzare lo spazio immaginato, e raccontato generalmente (ma non in modo esclusivo) da un giocatore che assume il ruolo di game master o narratore, il quale conduce la seduta di gioco, crea l’ambientazione e prepara un canovaccio della storia. Propone ai giocatori le situazioni in cui si trovano i loro personaggi, chiede loro cosa intendono fare. I giocatori dichiarano le azioni che compiono i loro personaggi, descrivendole o recitandole. Il dungeon master decide quindi il risultato di queste azioni, in coerenza con l’ambientazione e le regole del gioco, e con il tiro di dadi con diverso numero di facce (Kim, 2007). I partecipanti al gioco, creano un personaggio (pg, o ‘personaggio giocante’), definito dalle caratteristiche scelte dai diversi manuali di gioco, dando loro vita come in un film dove sono essi stessi a definire il loro copione.

Esistono molti tipi di gioco di ruolo, a seconda delle regole di gioco o delle tipologie di ambientazione utilizzata (fantasy, medievale, futuristico, realistico, horror, solo per citarne alcune), ma in tutti è di fatto possibile diventare qualcun altro e calarsi in una realtà alternativa in cui si parla e si agisce, come se lo si fosse. E nel far questo non si è da soli, ma generalmente all’interno di un ‘party’, cioè altri giocatori tra i quali vige un accordo non scritto: collaborare e ‘fare gruppo’ per portare a termine una missione comune: ciò che è ‘mortale’ per il singolo giocatore, è invece assolutamente affrontabile da un gruppo. In questo senso anche il discorso di successo/fallimento è condiviso. Un po’ come accade nello psicodramma, ogni giocatore, attraverso azioni ed emozioni esperite dal suo personaggio, ha modo di affrontare le proprie. Capita più che di frequente, di imbattersi in giocatori di ruolo che nel racconto della loro esperienza di gioco, evidenziano risoluzioni di conflitti esistenziali, superamento di fobie sociali e un aiuto a vari livelli del processo di crescita (Moreno, 1985). Il gioco di ruolo crea una ‘sandbox’, una palestra ‘sicura’ per provare interazioni di cui non ci sentiamo confidenti nella vita reale: è la concezione base presente in tutti i giochi, dell’importanza della sana cooperazione.

Il fallimento nel gioco di ruolo

Il gioco di ruolo più famoso è sicuramente Dungeons&Dragons (Gygax, Arneson 1974), e tipicamente successo e fallimento sono chiaramente denotati dal valore dei dadi. Ma, come dicevamo inizialmente, dal 2010 esiste un’altra meccanica di gioco che ha stravolto questo panorama in molti modi molto positivi, il PbtA e l’idea di ‘fallire progredendo’ (fail forward), cioè creare un fallimento parziale che smuove la trama, o quantomeno rende le cose più interessanti.

La peculiarità del meccanismo, è nell’apertura e nella flessibilità: ciò che normalmente verrebbe considerato fallimento, porta alla scoperta di strategie creative alternative. E’ possibile, infatti, iniziare a giocare già sapendo che si fallirà, o che un fallimento critico sarà il punto più alto della narrazione, che si potranno ottenere benefici importanti se si attraverserà una sconfitta e che addirittura rinunciare alla propria divinità, può acquistare un valore inestimabile.

Il fallimento non è più, quindi, una scomoda verità da celare dietro muri impenetrabili di vergogna, ma un punto di partenza per affrontare, e dare valore, al viaggio stesso.

Il gioco di ruolo e la psicoterapia

Nella mia attività clinica sto sperimentando da tempo i benefici nell’applicare strategie provenienti dal mondo fantasy e del gioco di ruolo, in terapia (Migliore, 2016). Si tende spesso ad utilizzare il gioco solo con bambini, o al massimo con adolescenti, ma nella mia esperienza anche l’adulto può beneficiare dei medesimi strumenti: in particolare l’utilizzo di giochi che si basano sulla strategia PbtA con fail forward, potrebbero rivelarsi utili nell’intervento su un circolo vizioso di fallimento-evitamento, di questo tipo (Fig. 1):

Gioco di ruolo e psicoterapia riscoprire il valore del fallimento Fig 1

Fig. 1: il circolo vizioso fallimento-evitamento

La sperimentazione tramite il gioco di ruolo in psicoterapia, offre così diversi spunti per mettersi alla prova con leggerezza e in un ambiente controllato; ciò permette, da una parte, di osservare le proprie dinamiche problematiche all’opera, e dall’altra offre delle strategie di interpretazione alternativa della realtà. Se il fallimento diventa un punto di partenza consapevole, invece che una meta indesiderata e condannata, si ha la possibilità di spezzare il circolo vizioso in partenza, ampliando l’interpretazione del fallimento stesso e includendolo all’interno di una vita ricca e significativa.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baker V.D. , Baker M. "Apocalypse world” (2010) Giochi Lumpley
  • Berg P. “Hancock” (2008) Columbia Pictures
  • Brown B. “La forza della fragilità: Il coraggio di sbagliare e rinascere più forti di prima” Ed. Vallardi (2016)
  • Hayes, S. C., Strosahl, K. D., Wilson, K. G. (1999). Acceptance and Commitment Therapy: An Experiential Approach to Behavior Change. New York: Guilford Press.
  • Gygax G. e Arneson D., “Dungeons & Dragons - Book 1: Men & Magic”, TSR, 1974.
  • Migliore M. “Come il cinema fantasy può venirci in aiuto nella costruzione di una solida alleanza nella psicoterapia per giovani (nerd)” (2016) State of mind
  • Kim J. “What is a Role-Playing Game?”, darkshire.net, 20 settembre 2007
  • Kripke E. “The Boys” (2019) Sony Pictures Television
  • Moreno J. L. "Manuale di psicodramma - vol.1: Il teatro come terapia" (a cura di Ottavio Rosati), Ubaldini, Roma, 1985
  • Snyder Z. “Watchmen” (2009) Warner Bros Pictures
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