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Arte e Psicologia come espressione dell’anima: da Oskar Kokoschka, Egon Schiele a Messerschmidt

O come creatori o come fruitori, l’arte rimane sempre presente nelle nostre vite come veicolo per esprimere i nostri pensieri e desideri più intimi

Di Paolo Andreasi, Paolo Soraci, Cristina Poggio

Pubblicato il 10 Mar. 2022

Obiettivo di questo articolo è quello di individuare e rappresentare con un’ottica multidirezionale la molteplicità delle relazioni esistenti tra psiche ed arte.

 

La rappresentazione della psiche nell’arte

Vedremo infatti come l’esperienza creativa faccia parte della normale facoltà di relazionarsi di ciascuno di noi, ma come la comprensione di un’opera d’arte richieda necessariamente una conoscenza delle proprie emozioni, da un lato, e della capacità di contestualizzare la storia dell’artista e del suo tempo, dall’altro.

L’analisi verrà svolta anche attraverso l’approfondimento di alcuni aspetti relativi alle opere di tre autori significativi. I primi due sono Oskar Kokoschka ed Egon Schiele, che portano il loro contributo nell’ambito del periodo della Rivoluzione Viennese, agli inizi del XX secolo. Il terzo artista trattato è Franz Xaver Messerschmidt, scultore tedesco vissuto nella seconda metà del diciottesimo secolo, autore di una serie di busti denominati “teste di carattere” nei quali rappresenta con straordinaria efficacia il proprio disagio psichico.

Vista l’estrema lunghezza dell’articolo stesso, qui presenteremo un breve riassunto. Per approfondire il tutto, si può cliccare su questo link per avere una visione più completa dell’articolo stesso.

Psiche ed arte

Gli studi di Freud, seppur parziali e sempre ricondotti alla conferma delle proprie teorie, furono rivoluzionari e portarono ad un arricchimento reciproco di arte e psicoanalisi. Lo studio della maternità precoce di Leonardo, infatti, diventa precursore dell’esplorazione della relazione preedipica madre-figlio, uno dei temi centrali del dibattito psicoanalitico del tempo.

Anche andando indietro nel tempo è peraltro evidente come i grandi pensatori del passato analizzano in modo distintivo e sottile i componenti delle loro definizioni teoriche di arte, stabilendo relazioni complesse con altre discipline quali la filosofia della mente, l’epistemologia e l’ontologia.

Le teorie generali sulla bellezza e sull’arte esplorate da filosofi e pensatori del passato possono essere sinteticamente raggruppate in tre macrocategorie. La prima include le filosofie che concepiscono l’arte come una forma di conoscenza, sia in termini negativi (Platone), sia in termini positivi (Schopenhauer, Hegel, Croce). La seconda categoria include le filosofie che concepiscono l’arte come una forma di liberazione o di espressione (Kant, Nietzsche, Marcuse). La terza categoria, invece, include le filosofie che rappresentano la bellezza come una via per accedere ad uno strato profondo della realtà.

In ogni caso l’impulso artistico permea tutto il corso della storia, come una risorsa per accedere a maggiori e più complesse conoscenze di se stessi e della realtà. Ciò sin dalla primitiva arte della grotta del Paleolitico, alla introduzione della prospettiva del Rinascimento e fino alla rottura delle regole classiche sovvertite dagli artisti della modernità.

O come creatori o come fruitori, l’arte rimane sempre presente come veicolo per esprimere i nostri pensieri e desideri più intimi e come mezzo attraverso il quale possiamo entrare in relazioni uniche con realtà ed emozioni.

La Secessione Austriaca e le opere di Oskar Kokoschka ed Egon Schiele

Il movimento della Secessione Viennese fu uno dei più prolifici della storia culturale europea. Numerosi artisti viennesi, agli inizi del XX secolo costituirono delle avanguardie che determinarono un radicale cambiamento nello stile e nel modo di concepire l’arte, segnando un solco indelebile col passato.

Questo movimento aspirava alla rinascita delle arti e dei mestieri, per realizzare opere che rispondessero al concetto di opera d’arte totale.

L’imitazione del passato non era più percepita come adeguata in un contesto di svolta, da cui la necessità di trovare uno stile che fosse espressione del proprio tempo e che consentisse di rappresentare l’ansia di modernità. Ciò in contrapposizione al gusto storicista e tradizionalista, al naturalismo borghese ed al perbenismo che facevano parte della cultura del tempo.

I giovani artisti rivoluzionari perseguivano con estrema meticolosità l’obiettivo del coinvolgimento dell’intera società nella fruizione dell’arte, senza più alcuna distinzione tra ricchi e poveri. Dal momento che per i Secessionisti l’arte rappresentava una sorta di religione in grado di rinnovare il mondo, il loro approccio doveva essere totale e questo fu il vero aspetto rivoluzionario ed il nuovo trait d’union tra arte e psiche.

In tale conteso di fermento artistico, psicologico e sociale l’elaborato si sofferma su due artisti dagli aspetti innovativi dirompenti: Oskar Kokoschka ed Egon Schiele.

Kokoschka maturò il proprio linguaggio artistico, come detto, nella Vienna di inizio Novecento, grande punto di incontro di culture in cui l’arte penetrava il quotidiano, facendosi protagonista di una stagione di scandali e rinnovamenti.

L’artista ricevette in tale contesto il soprannome di Grande Selvaggio, per il suo netto allontanamento dal decoro secessionista, sostituito da una carica estetica espressionista e simbolica che lo pone in diretto contatto con le sue più intime pulsioni. Si mostra capace, tra i primi, a tradurre graficamente espressioni emotive crude e dirette, come libido e angoscia. Tutte le massime espressioni di turbamenti interiori in grado di disgregare qualsiasi forma di armonia non per distruggere la realtà psichica, ma per esaltarla nella sua umanità. Deforma e distorce figure, occhi e visi, con lo scopo di rivelare, esasperando, la psiche dei soggetti.

Egon Schiele fu un’altra figura dirompente emersa con la Secessione Viennese. Il suo lavoro spicca per l’intensità, la sessualità grezza e per i numerosi autoritratti, inclusi gli autoritratti nudi. Le forme del corpo contorte e i tratti espressivi misero l’autore in stretto contatto con la forma umana, ma anche con la sessualità. Il collegamento con tratti della psiche si realizza attraverso quelle che si potrebbero chiamare distorsioni figurative che prevedevano allungamenti, figure emaciate e di colore malaticcio, deformi e dalla sessualità esplicita in sostituzione degli ideali convenzionali più asettici di bellezza estetica.

Forte fu per Schiele il collegamento tra emozioni profonde e rappresentazione artistica. Egli usò il corpo umano come mezzo per rappresentare drammaticamente le esperienze interiori. I corpi erano contorti, distorti, resi sgradevoli per rappresentare il disagio del mondo interiore e degli stati d’animo ad esso riferibili. L’artista è spesso solitario protagonista di opere ispirate al sesso. Le pulsioni sessuali, del resto, erano considerate da Freud come quelle che hanno a cuore la sorte dell’organismo per poter trovare uno spazio sicuro e vitale. Le pulsioni dell’Io spingono alla morte, mentre quelle dell’Eros al continuamento della vita. Schiele viene ricordato come colui che, più di chiunque altro, è riuscito a portare questa dualità nell’arte.

Franz Xavier Messerschmidt e le “smorfie demoniache”

I rapporti tra arte e psiche trovano uno dei più eclatanti ed efficaci momenti di realizzazione nelle opere e nella personalità di Franz Xavier Messerscmidt, uno dei più originali scultori della seconda metà del diciottesimo secolo.

L’attenzione suscitata dall’autore probabilmente deriva dall’originalità delle sue opere, dei busti di autoritratto che sintetizzano in modo straordinariamente efficace l’arte del suo tempo e la propria personalità, fatta di psicopatologia e di sofferenza, trasmettendo al fruitore stati d’animo e tormenti dell’anima di immediata comprensione.

Le opere giovanili di Messerschmidt si possono ben collocare nel processo di evoluzione stilistica del momento storico in cui l’artista è vissuto; tuttavia, tale considerazione non è assolutamente valida per le sue creazioni più famose: i busti fisiognomici o teste di carattere.

Tali opere, realizzate al termine della sua carriera e vita, sono busti di autoritratto nei quali l’artista attraverso delle smorfie rappresenta in modo dirimente ed impetuoso la propria condizione psicotica.

Messerschmidt non era per nulla in sintonia col proprio tempo, ma nemmeno avulso da esso. L’opera dell’artista è unica poiché solleva interrogativi insoluti tra opera d’arte e creatore. L’artista, infatti, si libera della presenza del demone che lo affligge grazie alla realizzazione dell’opera attraverso la quale vengono resi tangibili i propri impulsi inconsci. Il busto è una sorta di esorcismo contro il male che affligge lo scultore.

Eppure, viste puramente dal punto di vista dello stile e dell’esecuzione, le famose teste di carattere non mostrano segni di anormalità, realizzate con tecnica sopraffina e con materiali ben levigati. L’artista in questo connubio tra arte e psiche dimostrava di mantenere la propria maestria tecnica e con essa il controllo delle sue risorse coscienti, senza mai cadere nell’incoerenza o nel vuoto: l’arte come cura.

Il tentativo di questo articolo è stato quello di rappresentare l’estrema varietà e complessità delle relazioni tra arte e psiche. L’osservazione più estrema è stata indubbiamente quella delle opere di Franz Xavier Messerschmidt.

Venendo in contatto con tali sculture per la prima volta durante il corso di Psicologia dell’arte, ho immediatamente percepito come si realizzasse in modo straordinariamente efficace il processo di comunicazione tra artista, opera d’arte e autore.

Il coinvolgimento emotivo è stato tale che, oltre a farmi avventurare nella predisposizione di una tesi che ha toccato temi storici ed artistici a me fino ad oggi poco noti, mi ha portato ad acquistare cinque repliche fedeli di teste di carattere di Messerschmidt realizzate da un artigiano tedesco ed ora posizionate nel salotto di casa.

 

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