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Le sentenze sommarie del tribunale de Le Iene e l’equivoco dei ricordi traumatici in psicoterapia

La psicoterapia non fa ricordare nulla in termini fattuali e un programma TV non si può sostituire a un processo in tribunale. Equivoci professionali e cattivo giornalismo.

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 16 Nov. 2021

Durante la puntata del 9 novembre 2021 la popolare trasmissione TV “Le Iene” ha messo in onda un servizio su una ragazza in passato affetta da disturbi alimentari che ha raccontato come, tramite una particolare tecnica terapeutica denominata EMDR, avrebbe ricordato abusi sessuali subiti in infanzia dallo zio.

Non basta. Durante il servizio la ragazza, accompagnata da alcuni operatori, è andata a trovare lo zio per rinfacciargli tutto (L’episodio di cui parliamo è visionabile a questo link: https://www.iene.mediaset.it/video/vivere-senza-ricordare-abusi-subiti-bambina-zio_1099826.shtml – NdR).

Da un punto di vista psicologico, un servizio di questo tipo genera una grande quantità di perplessità e domande. La prima è lo statuto scientifico dell’analisi terapeutica dei ricordi infantili. È una polemica nata con la psicoterapia stessa e intorno alla quale si continua a litigare da ormai più di un secolo, oscillando tra due posizioni estreme: si va dalla concezione dei ricordi come mero strumento terapeutico che serve ad aiutare il paziente a superare le proprie vulnerabilità emotive, che non ha alcuna verità fattuale ed è valido solo in seduta, all’estremo opposto nel quale i ricordi sono dati affidabili e riflettono traumi reali. In mezzo a queste due posizioni ne possiamo trovare molte altre, tra le quali una delle più rappresentative è quella sui ricordi abbastanza affidabili di relazioni trascuranti (il cosiddetto neglect) ma non traumatiche, eppure inevitabilmente raccontate in termini così dolorosi da poter essere definite anch’esse traumatiche. Anche Freud oscillò tra i due poli: ebbe una fase iniziale in cui credette al trauma reale e poi passò alla concezione opposta nella quale ritenne che si trattava di fantasie inconsce. I suoi successori per lo più si assestarono nel mezzo, con una certa propensione per il trauma relazionale o dell’attaccamento, doloroso ma non aggressivo. E così ancora oggi.

EMDR sta per Eye Movement Desensitization Reprocessing ed è una procedura di elaborazione del trauma utilizzabile in psicoterapia durante la quale, mediante un’induzione di movimenti oculari oscillatori gestita dal terapeuta, si aiuta il paziente a lavorare sui ricordi traumatici. Come tecnica ha la sua efficacia scientificamente confermata, specie sugli adolescenti e per traumi “specifici”, ovvero situazioni di violenza aggressiva senza possibilità di fuga che mettono a rischio l’incolumità della persona, come un terremoto o un grave incidente improvviso o quando si assiste a simili situazloni. Ricordiamo inoltre che i dati di efficacia a favore dell’EMDR, pur presenti, non la qualificano come terapia superiore a tutte le altre ma solo come di eguale efficacia alla terapia cognitivo comportamentale e, ribadiamolo, specifica per il disturbo da stress post traumatico e non per i problemi cumulativi di trascuratezza relazionale (Cusack e coll., 2016). È importante ricordare questo perché terapie e tecniche efficaci su determinati disturbi o problemi non vanno allargate a disturbi diversi o a problemi di tipo diverso. Ad esempio l’EMDR, utile soprattutto per i disturbi da stress post traumatico, non ha alcuna prova di efficacia sui disturbi dell’alimentazione o sui disturbi ossessivi. Questo dato sembra ovvio ma spesso chi si appassiona a determinate tecniche se non è scrupoloso rischia di allargarne l’uso in modo improprio e poco rispettoso dei dati dell’evidenza scientifica.

Materia dell’elaborazione nell’EMDR sono ricordi che però, va detto, sono elaborazione di materiale clinico e non riproduzioni esatte di eventi: la persona lavora sulle sue memorie dolorose e arriva a gestirle meglio ma non si può dire che essa ricordi affidabilmente avvenimenti reali “rimossi” e che queste riemersioni costituiscano accurate prove di fatto di avvenimenti dettagliatamente ricostruiti. In una trasmissione TV però non c’è molto spazio per queste sottigliezze cliniche e la concezione che rischia di passare allo spettatore è quella del trauma reale “rimosso” e poi ricordato per filo e per segno. E “rimosso” è proprio il termine che la ragazza utilizza al minuto 8:45 del servizio delle Iene: lei parla allo zio della violenza subita, del suo ricordo “rimosso” e ricordato -secondo la ragazza- con la tecnica EMDR che quindi diventa, nella trasmissione, una prova della realtà del fatto dell’evento. Inutile sottilizzare sull’uso tecnico in psicoterapia del termine “rimosso”, inutile ricordare che per Freud il paziente rimuove fantasie inconsce e non traumi reali. E così via, andando per i mille significati di questi termini nelle centinaia di psicoterapie nate dai tempi di Freud a oggi. Lo spettatore del servizio comprende che la ragazza ha ricordato in maniera affidabile un ricordo “rimosso” di un trauma certamente avvenuto.

Come reagiamo noi psicoterapeuti? Nel servizio della trasmissione TV al minuto 5:30 è chiesto il parere di una operatrice EMDR, la dottoressa Isabel Fernandez, presidente dell’associazione EMDR-Italia. La dottoressa naturalmente non parla di eventi rimossi e rievocati fedelmente ma del fatto che, durante eventi traumatici, la mente ha la possibilità di “chiudere” (minuto 5:52) su eventi così gravi e insopportabili e poi, durante l’applicazione dell’EMDR, è possibile una “elaborazione” (minuto 5:52) del trauma. Attenzione: elaborazione del trauma, non rievocazione fedele di ricordi. Tutto bene quindi, la Dottoressa Fernandez non si è prestata a strumentalizzazioni, non è cascata nel tranello.

Peccato che poi frasi sapientemente inserite dall’intervistatrice si aggancino alle affermazioni della dottoressa Fernandez come una conclusione, finendo per suggerire esplicitamente che i movimenti oculari dell’EMDR “possono far emergere ricordi” (minuto 6:31). Infine, dal minuto 7:30 in poi parte la ripresa dell’incontro tra la ragazza e suo zio.

A questo punto l’elaborazione mentale -fenomeno psicologico tutto interno, sottolineiamolo- si tramuta quindi in un ricordo affidabile di una violenza reale -comportamento esterno- che viene rinfacciata di persona allo zio perché -dice la ragazza- non solo è necessario “chiudere proprio il cerchio” (7:08) ma anche perché altrimenti “lui è libero, tranquillo” (minuto 7:19). Qui già vediamo come il “chiudere proprio il cerchio” attraverso un confronto -una forma molto naif ed estremamente discutibile di elaborazione psicologica, siamo nel mito popolare dell’esperienza purificatrice, ma pur sempre ancora nei termini della psicologia- già minacci di diventare una rivalsa, l’unica possibile perché “lui è libero, tranquillo” in un confronto che di psicoterapeutico non ha più nulla ma è semmai un evento tragico. Una rivalsa simile però finisce per essere troppo rozza e necessita di vestirsi dei panni della giustizia perché “non va bene così, non è giusto” (minuto 7:20) che lui sia libero e tranquillo.

E giustizia sia fatta allora, ma non quella custodita dalle leggi dello Stato di Diritto; semmai quella della condanna pubblica nella gogna di una trasmissione TV, perché, come subito dopo dice la voce dell’intervistatrice “questa per lei è l’unica giustizia possibile perché dopo tutti questi anni, qualsiasi reato abbia commesso lo zio in passato, per legge è ormai prescritto” (7:21). Insomma, dato che il reato non è più perseguibile diventa giusta allora la gogna, ovvero un linciaggio sia pure solo verbale. Linciaggio giustificato da quale prova? Dal ricordo rievocato dall’EMDR, che così diventa una tecnica di esplorazione scientifica della memoria utilizzabile a fini giuridici, una macchina della verità i cui risultati si possono usare in un processo o anche, se il reato è prescritto, in un linciaggio.

È vero che le affermazioni della dottoressa Fernandez -che si è limitata a parlare di una mente che può “chiudere” durante un trauma e di un EMDR che è una possibilità di “elaborazione”- sono state strumentalizzate nella trasmissione. E tuttavia è grave che l’associazione EMDR Italia non abbia sentito il bisogno di dissociarsi dall’uso strumentale fatto in trasmissione delle affermazioni di Fernandez. Non basta. Pochi giorni dopo, nella pagina Facebook ufficiale dell’associazione EMDR Italia, un post del 13 novembre alle ore 6:58 commenta l’intervista e riporta esplicitamente l’affermazione che “non solo l’EMDR, ma in generale la psicoterapia stessa porta i pazienti a ricordare, a collegare, a recuperare ricordi, purtroppo spesso di abusi.”

Assolutamente no. La psicoterapia non fa ricordare nulla in termini fattuali e se lo fa, lo fa nei termini della psicoterapia e non della ricostruzione fattuale di eventi. Questo punto è da tenere fermo. Come già è accaduto altre volte nella storia della psicoterapia fin dai tempi di Freud, si fa confusione tra l’esplorazione della memoria come strumento terapeutico valido in seduta per elaborare gli stati dolorosi e la rievocazione dei ricordi come prova affidabile di episodi reali e spendibile anche fuori dalla seduta, ad esempio in tribunale. Di qui al suo uso per giustificare gogne mediatiche e linciaggi di vario tipo il passo è breve. Questo passo non è corretto. Come ha segnalato il collega Giancarlo Dimaggio, psicoterapeuta e uno dei maggiori esperti internazionali di stati problematici, alcuni studiosi come Henry Otgar e i suoi collaboratori hanno dimostrato che l’uso dell’EMDR e in generale di tecniche psicologiche in procedure giuridiche è un’opzione rischiosa perché la logica del tribunale è quella della certezza della colpevolezza e non dell’elaborazione di un dolore (Otgar et al., 2021). E questo rischio è ulteriormente incrementato dal fatto che l’EMDR, lungi dallo scoprire ricordi reali, in realtà può indurre falsi ricordi, come confermano altri studi (Kenchel et al., 2020; Houben et al., 2018).

Tutto questo porta in primo piano la responsabilità di noi clinici che periodicamente da un secolo a questa parte caschiamo in questo equivoco, confondendo elaborazione psicologica del dolore e riemersione del ricordo rimosso come prova di fatto di eventi reali, stimolando così piccole o grandi caccie alle streghe, ed esempi ce ne sono tanti. È vero che la psicoterapia ha testimoniato anche periodi in cui si esagerava sul versante opposto, tempi in cui i ricordi dei pazienti traumatizzati erano ritenuti del tutto immaginari e inaffidabili e quindi completamente non valorizzati dagli psicoterapeuti in seduta. Sappiamo bene che la consapevolezza dell’importanza del trauma proviene dagli studi sugli effetti psicologici della guerra e delle grandi sciagure: c’è stato un tempo in cui la psicologia non riconosceva nemmeno l’impatto traumatico dell’esperienza in guerra dei soldati.

E tuttavia non dimentichiamo che anche nei momenti in cui la psicologia riscopre la verità del trauma questa rimane una verità clinica che ha una sua validità soprattutto in seduta come strumento di cura e non come mezzo di raccolta prove e di condanna e ancor meno di punizione surrogata mediante confronti drammatici o addirittura gogne e linciaggi per i supposti colpevoli. Gli abusi possono sicuramente essere reali e come tali possono essere trattati ed elaborati in seduta accanto alle sofferenze che non dipendono da traumi reali, e tutto questo senza chiedere ulteriori prove di fatto durante la seduta proprio perché una psicoterapia non è un processo in tribunale che per portare a una condanna ha bisogno di testimonianze certe ma una cura che si può accontentare di indizi da elaborare psicologicamente con il paziente senza mandare nessuno in galera. Sicuramente colleghi esperti che lavorano come periti in tribunale danno, se richiesti, il loro parere tecnico che contribuisce alla formulazione del verdetto, ma il tempo delle macchine della verità è, per fortuna, passato e questo è ormai un dato accettato dalla cultura comune, come troviamo scritto qui. Insomma, la psicologia e la psicoterapia devono fermarsi sulla soglia del tribunale ed entrare solo se chiamate per esprimere un parere tecnico e non emettere una sentenza.

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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