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Victim Blaming: quando la vittima diventa colpevole

Il Victim Blaming interessa soprattutto donne vittime di violenza sessuale e/o domestica ed è alimentato, in parte ma non solo, da stereotipi di genere

Di Maria Romeo

Pubblicato il 12 Ott. 2021

Il termine Victim Blaming indica la tendenza a colpevolizzare, in toto o in parte, le vittime di violenza, in quanto corresponsabili dei trattamenti loro inflitti.

 

Victim Blaming e inversione dei ruoli di vittima e colpevole

Biasimare chi subisce un’aggressione fisica, sessuale o verbale, significa non soltanto giustificare la condotta di chi schiaccia, picchia, tortura o uccide l’altro, ma anche incrementare la responsabilità della stessa vittima per l’accaduto e, di conseguenza, ridurre quella del carnefice. È come se i ruoli si invertissero: l’errore commesso viene trasferito dall’oppressore all’oppresso, che avrebbe agito in maniera tale da meritare quel torto, quello schiaffo, quel pugno, quell’insulto, quella morte.

Nonostante gli studi sul fenomeno abbiano indagato per lo più le questioni relative alla violenza carnale (Garland, Policastro, Richards, Miller; 2016), è possibile parlare di Victim Blaming anche in riferimento ai banchi di scuola: si pensi a quando la colpa di una rissa non viene attribuita al bullo, ma a chi, dopo aver stuzzicato il can che dormiva, è stato morso.

Victim Blaming nei casi di violenza sessuale o domestica

Purtroppo, la questione interessa prevalentemente le vittime di violenza sessuale e/o domestica (Gravelin, Biernat, Bucher; 2019): in entrambi i casi, il martire è di solito una donna che, secondo il parere di chi le punta il dito contro, è troppo distante dall’idea stereotipata di “vittima indifesa, autentica, vera, leale” e peccherebbe di credibilità (Randall; 2016) in quanto, a causa del suo comportamento o atteggiamento provocatorio, del suo abbigliamento inopportuno e provocante, ha dato fuoco alla miccia. Tutto ciò, non soltanto aumenta la sofferenza di chi già patisce, ma ne raddoppia anche l’umiliazione (Johnson, Nadal, Sissoko, King; 2021).

Nel caso specifico dei soprusi sulle donne, è chiaro quanto la tendenza a condannare chi non è in difetto sia alimentata, in parte e non solo, dagli stereotipi di genere (Johnson, Nadal, Sissoko, King; 2021), ovvero da un “insieme rigido di credenze condivise e trasmesse socialmente su quelli che sono e devono essere i comportamenti, il ruolo, le occupazioni, i tratti e l’apparenza fisica di una persona, in relazione alla sua appartenenza di genere”; tali credenze influenzano negativamente gli atteggiamenti e i pensieri della società nei confronti di chi subisce violenza, specie a sfondo passionale, e portano a formulare pensieri e frasi del tipo “Se la donna avesse tenuto un comportamento da donna, se non fosse stata tanto sconsiderata, allora non avrebbe fatto quella fine”.

Come se si scegliesse di soccombere alla violenza altrui. Come se una ferita fosse causata da chi riceve il colpo, e non da chi impugna il coltello.

 

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