Il libro Il lavoro mobilita l’uomo pubblicato nel 2021, affronta il tema della fuga dei cervelli dal Sud Italia, in chiave psico-sociale.
La fuga dei cervelli è definita come il movimento delle persone qualificate dalla loro terra natia verso un altro luogo, seguendo, in genere, un’offerta lavorativa con migliori condizioni di vita e riconoscimento professionale. Sebbene si registri un incremento di persone qualificate che lasciano l’Italia, e soprattutto il Sud, negli ultimi tempi, non si tratta di un fenomeno troppo recente. Questo fenomeno era già presente con i Grand Tour, in cui studenti appartenenti a classi agiate intraprendevano questo giro alla scoperta del mondo classico, dove, però, l’Italia era una delle mete più ambite. Oggi, invece, si registra una partenza di capitale umano qualificato senza possibilità di sopperire a tale mancanza perché l’Italia non risulta essere più una meta attrattiva. In più, questo fenomeno è diventato socialmente conosciuto in quanto è preda del senso comune. Questo aspetto è amplificato dai discorsi mediatici che paragonano il fenomeno dei cervelli in fuga ad una migrazione di massa, senza però considerare la dimensione personale e interpersonale. Si tratta, inoltre, di un fenomeno che risente molto di aspetti socio-culturali e linguistici.
Ma quindi chi sono i cervelli in fuga? I primi a fuggire sono stati gli accademici e i ricercatori, al fine di far circolare il sapere (‘brain circulation’, appunto), ma anche i lavoratori operanti nel settore ICT, seguiti poi da altre categorie professionali come esito del cambiamento del mercato del lavoro e dell’emergere di nuove forme di carriera che superano quella tradizionale. Proprio perché sta diventando un fenomeno emergente, il modo in cui se ne parla mette in gioco le rappresentazioni sociali di oggetti basilari nell’organizzazione della cultura di una comunità, come il “lavoro”, la “famiglia”, la “formazione”, il “Sé”, la “nazione”.
Nella letteratura scientifica, infatti, il fenomeno è stato analizzato sempre da una prospettiva economica o sociologica. Dal punto di vista economico, la fuga dei cervelli è stata esplorata in termini di costi per il paese di origine, che perde capitale umano qualificato e come benefici per il paese di destino che, invece, acquista qualificazione. Mentre la sociologia ha studiato il fenomeno come un processo di migrazione economica, la chiave psicologica, quadro teorico del volume, mira a dare voce a chi ha vissuto l’esperienza direttamente, proponendo prima un tentativo di decostruzione della rappresentazione comune sul fenomeno, generalmente diffusa dai media, sostenendola tramite le voci dei protagonisti, emigrati soprattutto dal Sud Italia. L’idea di fondo del libro è comprendere, in base alle biografie mobili dei protagonisti, se ci può essere un legame tra territorio e progetto di mobilità nei vissuti di chi abbandona il paese di origine.
Partendo proprio da questo legame, il libro è utile a tutti gli psicologi di comunità che intendono occuparsi di migrazioni, empowerment e adattamento nelle comunità di destino; ma anche a coloro che vogliono occuparsi di chi vive indirettamente l’“abbandono”, come i genitori dei cervelli in fuga, molto spesso, ingabbiati nella “sindrome del nido vuoto”. Occuparsi psicologicamente dei migranti qualificati e dei loro affetti, infatti, potrebbe voler dire ripartire dal legame territorio-progetto di mobilità.