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COVID-19: Una persona su 3 sviluppa disturbi psichiatrici e danni neurologici a lungo termine

Una persona su tre sviluppa successivi disturbi neurologici e/o psichiatrici nei sei mesi successivi all'aver contratto il Covid-19

Di Lia Cirillo, Gianluca De Angelis, Luigi Buonaiuto

Pubblicato il 19 Lug. 2021

Aggiornato il 23 Lug. 2021 14:53

Un recentissimo studio retrospettivo pubblicato su The Lancet Psychiatry, ha mostrato che SARS-CoV-2 ha effetti acuti sul cervello e che può provocare danni neurologici a lungo termine, nonché l’insorgenza di disturbi psichiatrici.

 

Il 30 gennaio 2020 il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha ufficialmente denominato SARS-CoV-2 (Severe Acute RespiratorySyndrome Coronavirus 2) la sindrome respiratoria acuta grave, identificando l’11 febbraio nell’acronimo COVID-19, la malattia respiratoria causata dal nuovo Coronavirus. L’OMS qualifica l’epidemia da SARS-CoV-2 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale: definita come un “outbreak senza precedenti”. Dal primo caso di infezione riscontrato a Wuhan, il virus ha continuato a diffondersi, tanto da essere dichiarato una pandemia dalla World Health Organization l’11 marzo 2020. Secondo le indagini epidemiologiche, l’infezione da SARS-CoV-2 ha portato nel mondo un elevato numero di contagi e decessi: al 17 aprile 2021 sono oltre 134 milioni i contagi e 2,99 milioni i decessi attribuiti a COVID-19 nel mondo.

Il COVID-19 attacca solo cuore e polmoni?

Dagli esiti delle autopsie dei pazienti deceduti si è riscontrato che l’infezione da SARS-CoV-2 è una “malattia sistemica-multiorgano” poiché coinvolge organi e sistemi ulteriori a quello respiratorio, come ad esempio quello cardio-circolatorio, tegumentario, emopoietico, gastrointestinale, renale e il sistema nervoso (Temgoua, Endomba, Nkeck, Kenfack, Tochie&Essouma,2020).

Quali sono le conseguenze neurologiche e psichiatriche del virus?

Sin dallo scoppio della pandemia è scattata una forte preoccupazione, legata al fatto che il virus potesse colpire il sistema nervoso centrale e periferico, aumentando il rischio nei pazienti positivi all’infezione di sviluppare sintomi neurologici. Potenziali danni a carico del sistema nervoso erano originariamente suggeriti da dati preliminari, che hanno evidenziato un calo nella percezione di sapori (ipo-ageusia) e di odori (iposmia) nei pazienti COVID-19 (Ray,2020; Haldrup, Johansen & Fjaeldstad, 2020).

Un’ampia mole di studi si è focalizzata sull’impatto che la pandemia ha avuto sulla salute mentale ma, ad oggi, poche ricerche hanno esplorato i meccanismi neurobiologici che favoriscono l’insorgenza o il peggioramento dei disturbi psichiatrici. A tale scopo, uno studio italiano (Steardo&Verkhratsky, 2020), pubblicato su Translational Psychiatry, ha riscontrato che il virus Sars-Cov2, in alcune persone, può arrivare ad alterare il funzionamento delle connessioni nervose, contribuire alla perdita delle sinapsi e alla morte neuronale, causando la comparsa di malattie mentali o l’esacerbazione del quadro sintomatologico. In particolare, sembra che la causa risieda nei processi di neuro-infiammazione innescati dal virus, aggravati da fattori di stress (fisici e psicologici) che stimolano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Lo stress potrebbe manifestarsi a seguito delle particolari condizioni di vita quali, ad esempio, ricovero in terapia intensiva, paura di contrarre il virus e restrizioni sociali (Steardo et al., 2020).

Cosa hanno riscontrato studi retrospettivi su pazienti COVID-19 a 6 mesi dall’infezione?

Un recentissimo studio retrospettivo pubblicato su The Lancet Psychiatry, ha mostrato che SARS-CoV-2 ha effetti acuti sul cervello e che può provocare danni neurologici a lungo termine, nonché l’insorgenza di disturbi psichiatrici. È stato osservato retrospettivamente che, in un campione di più di 230 mila persone guarite da COVID-19 durante gli ultimi sei mesi, una persona su tre che ha contratto il virus sviluppa disturbi neurologici e/o psichiatrici (Taquet, Gedde, Husain, Luciano & Harrison, 2021).

Spesso, le manifestazioni neurologiche variano da mal di testa, vertigini, confusione a, in alcuni casi, condizioni più gravi quali emorragia intracranica, ictus ischemico, malattia di Parkinson e parkinsonismi, demenze, sindrome di Guillain-Barré (patologia acuta autoimmune associata ad astenia muscolare progressiva e paralisi), miopatie ed encefaliti. Per quel che concerne l’insorgenza di disturbi psichiatrici, la diagnosi di COVID-19 sembra associata a disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi psicotici, abuso di sostanze ed insonnia.

I ricercatori hanno riscontrato che il 34% delle persone ha ricevuto una diagnosi di malattia neurologica e/o psichiatrica nell’arco dei sei mesi successivi alla diagnosi di COVID-19. L’incidenza aumenta sostanzialmente nel caso dei pazienti per cui si è reso necessario un ricovero in terapia intensiva (46%). Le diagnosi maggiormente riscontrate dai ricercatori sono state: ictus ischemico, emorragia intracranica e demenza. Riguardo quest’ultima, i ricercatori specificano la presenza di tassi di incidenza modesti (2.66% in pazienti over 65 e 4.72 in pazienti con encefalopatie) ma un incremento consistente se confrontato con i malati di influenza. Le manifestazioni psichiatriche più frequenti risultano essere l’ansia e i disturbi dell’umore, presenti, rispettivamente, nel 17% e nel 14% dei casi. Il rischio di sviluppare una di queste condizioni è aumentato nei pazienti affetti da COVID-19 rispetto a pazienti con influenza o altre infezioni del tratto respiratorio, inoltre, l’incidenza delle diagnosi neuropsichiatriche aumenta notevolmente con l’aumentare della gravità del quadro clinico del paziente. Questi disturbi, caratterizzati spesso da un decorso ricorrente, tendono a cronicizzarsi nel corso del tempo (Taquet et al., 2021).

Esiste una vulnerabilità ai danni neurologici correlati a COVID-19?

La risposta è sì. Altro aspetto da considerare riguarda l’infezione da SARS-Cov-2 in individui aventi già patologie neurologiche. Infatti, vi sono evidenze che dimostrano come in pazienti affetti da COVID-19, con un’anamnesi patologica remota per neuropatie, il rischio di sviluppare un ictus cerebrale aumenta del 5%. Chiaramente questo aumento di malattie cerebro-vascolari durante COVID-19 è da correlare verosimilmente allo stato di iper-coagulabilità che accomuna la gran parte degli individui affetti (Torti, 2020).

Quali sono le modalità con cui il virus SARS-CoV-2 raggiunge il sistema nervoso? È un importante quesito scientifico che, ad oggi, resta ancora aperto. Il possibile coinvolgimento del sistema nervoso, era già noto dalle precedenti pandemie da Coronavirus (SARS 2002/2003 e MERS 2012); infatti tali virus possono raggiungerlo determinando complicanze neurologiche nel periodo pre o post infettivo. La prima ipotesi di raggiungimento del sistema nervoso centrale riguarda la penetrazione del virus a livello dei nervi cranici (tra cui: l’olfattivo, il trigemino, il glosso-faringeo), che, innervando l’epitelio nasale e respiratorio, possono veicolare il patogeno tramite un trasporto retrogrado al cervello. Secondo questa ipotesi il virus, che normalmente lega le proteine Spike (facenti parte della superficie esterna del pericapside virale) al recettore ACE2, raggiungerebbe più facilmente i nervi, perché quest’ultimo è presente anche sulle cellule nervose, oltre che su quelle della mucosa olfattiva e respiratoria (Ferrarese, 2020). È stato recentemente dimostrato che un’altra proteina “Neuropilina-1”, che è altamente espressa nei nervi olfattivi, può favorire l’ingresso del virus in tali cellule (Ferrarese, 2020). Pertanto, in linea con queste evidenze, il virus potrebbe penetrare dai terminali nervosi della muscosa olfattoria per poi diffondersi ad altre regioni del cervello, in maniera analoga agli altri Coronavirus.

Altre ipotesi riguardano la via “ematogena”; infatti, un’alterazione della barriera emato-encefalica potrebbe fungere da facilitatore per la penetrazione del virus nell’encefalo. In seguito all’infezione da SARS-CoV-2, l’attivazione immediata del sistema immunitario favorisce la produzione di citochine (molecole che attivano le cellule di difesa promuovendo uno stato infiammatorio) dando vita alla cosiddetta “tempesta citochinica”. Studi affermano che la tempesta citochina, potrebbe agire oltre che sulle cellule endoteliali, anche sugli astrociti (cellule che rivestono la barriera emato-encefalica) con conseguente aumento della permeabilità della barriera emato-encefalica, fenomeno che facilita, così, l’ingresso del virus nel sistema nervoso centrale (Thepmankorn, Bach, Lasfar,Zhao, Souayah, Chong & Souayah, 2020). Anche per questo motivo, nella terapia empirica per il trattamento di COVID-19, viene utilizzato come farmaco il cortisone, oltre agli anticoagulanti. È stata inoltre avanzata l’ipotesi secondo la quale la presenza di comorbidità di COVID-19 con patologie di natura cardiovascolare, malattie neurologiche e obesità pre-esistenti potrebbe, da sola, o in combinazione con le citochine, alterare il funzionamento di tale barriera (Torti, 2020). Una volta nel sistema nervoso, il patogeno, potrebbe viaggiare verso il tronco dell’encefalo (sede di controllo dell’attività respiratoria e cardiaca) ledendo le seguenti strutture, e compromettendo il funzionamento di cuore e polmoni. Potrebbe essere questa quindi la causa dei sintomi tipici della fase iniziale dell’infezione da COVID-19 (Marzocco, Iannaccone & Filippelli, 2020). Ad oggi il trattamento dei disturbi neurologici, nel corso del Covid-19, non prevede una terapia specifica, se non quella utilizzata per eliminare l’infezione (antivirali o anticorpi mono-clonali).

In sintesi, pur non conoscendo le modalità di penetrazione del virus SARS-CoV-2, è presumibile una forte associazione tra l’infezione da COVID-19 e l’insorgenza di problematiche neurologiche. Si auspica una sempre maggiore attenzione a tale fenomeno.

 

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