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Manuale Ro DBT. La Radically Open Dialectical Behavior Therapy per il trattamento dei disturbi da ipercontrollo (2021) di Thomas R. Lynch – Recensione del manuale

La RO DBT presuppone la presenza di polarità dialettiche all’interno di cui muoversi. Solo riuscendo ad accogliere gli opposti è possibile la cura.

Di Carola Benelli, Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 22 Giu. 2021

La Radically Open Dialectical Behavior Therapy (RO DBT) è una applicazione specifica della DBT di Marsha Linehan ai cosiddetti disturbi da ipercontrollo. Essa ipotizza che alla base di questi disturbi ci sia l’interazione tra fattori biologici e fattori ambientali e propone una teoria neurobiosociale.

 

 L’autore sostiene che gli individui che sviluppano questi disturbi abbiano una elevata sensibilità alla minaccia a base biologica, con attenzione selettiva a potenziali pericoli, iperattivazione del sistema di difesa e ipoattivazione del sistema di sicurezza, che innescano segnali non verbali di ritiro e chiusura, a loro volta causa di esperienze sociali negative sia perché il soggetto è in ansia, sia perché gli altri sono a disagio nell’interazione. Questo porta nel tempo ricordi di interazioni negative e rinforza il funzionamento.

Secondo questa teoria, l’isolamento e il senso di non appartenenza sono la causa del mancato senso di sicurezza. Il trattamento consisterebbe quindi nell’insegnare a questi soggetti a stare con gli altri e quindi mostrarsi aperti all’interazione piuttosto che modificare le credenze disfunzionali alla base della chiusura. Come la DBT, anche qui il focus è su abilità da acquisire.

Trattamento

Il modello RO DBT si basa sull’assunto che la connessione sociale costituisce un fattore chiave per il benessere dell’individuo e focalizza la propria proposta di trattamento su questo punto. Per sviluppare le competenze dei pazienti in termini prosociali, la RO DBT propone, accanto alla terapia individuale, la partecipazione a gruppi di skills training, proprio come avviene nel modello proposto da Marsha Linehan.

Questi individui tendono ad avere espressione emotiva inibita o non sincera, estrema cautela ed eccessiva attenzione ai dettagli, comportamento rigido e governato da regole, stile relazionale freddo e distaccato, uso frequente di confronti sociali con sentimenti di rancore e invidia. In terapia i pazienti sperimentano, nell’interazione con il terapeuta, l’apertura radicale che sono gradualmente supportati nello sperimentare in prima persona, con lo scopo di tornare a “far parte della tribù” da cui si sentono esclusi. Il gruppo di apprendimento delle abilità fornisce gli strumenti e le competenze perché questo ingresso nel gruppo sia possibile, riparando i danni dell’interazione tra una particolare sensibilità neurobiologica, un ambiente rigido e basato su regole ed uno stile di coping orientato al controllo.

Nelle prime fasi della terapia individuale occorre massimizzare l’impegno del paziente al trattamento, a partire da una condivisione circa la concettualizzazione del caso: è fondamentale che il paziente concordi nell’identificare nel coping eccessivamente controllato il proprio problema principale. Si procederà poi nella definizione del setting e degli obiettivi di terapia avendo in mente che il funzionamento del paziente richiede una particolare cura ad alcuni dettagli, che consenta di evitare di innescare la percezione di minaccia e dunque la chiusura, promuovendo invece l’esperienza di una relazione piacevole.

Durante i colloqui di terapia individuale, la RO DBT procede con una gerarchia di priorità che pone al primo posto i comportamenti che mettono a rischio la vita o la salute del paziente, al secondo i comportamenti che interferiscono con la prosecuzione o l’effettivo ingaggio in terapia, e solamente dopo i comportamenti che interferiscono con la qualità della vita. In questo senso risulta evidente l’assonanza con quanto proposto da Marsha Linehan.

Social signaling e apertura radicale

La RO DBT insiste sull’importanza del social signaling, componente fondamentale del vantaggio evolutivo del genere umano, che ha permesso di disporre di mezzi rapidi e sicuri per valutare e risolvere i conflitti e gestire potenziali collaborazioni. Questo strumento, tuttavia, porta con sé anche il rischio di incomprensioni: i deficit di social signaling dei pazienti ipercontrollati li rendono vulnerabili a fraintendimenti e persino ostracizzazioni.

I terapeuti, in questa prospettiva, hanno il ruolo di “ambasciatori tribali” che, assumendo un atteggiamento aperto e rilassato, accolgono il paziente ipercontrollato, ne rispettano le esigenze evitando di travolgerlo e gli permettono di acquisire le competenze, in termini di social signaling, con cui entrare a far parte della dimensione comunitaria senza la quale è arduo trovare uno stato di benessere.

Per trasmettere al paziente un atteggiamento di apertura, fornirgli un modello e assicurarsi che la terapia proceda in un clima di apprendimento, è indispensabile che il terapeuta coltivi in prima persona l’apertura radicale, che è definita come la confluenza di ricettività a nuove esperienze e feedback disconfermanti, autocontrollo flessibile, intimità e connessione con almeno un’altra persona. A questo scopo è importante che i terapeuti che lavorano con questo tipo di pazienti abbiano un team di consultazione e supporto cui fare riferimento per affrontare le difficoltà e monitorare la propria capacità di coltivare l’apertura radicale.

Alleanza terapeutica

 Poiché la RO DBT postula che i principali svantaggi dell’ipercontrollo siano di natura sociale, la relazione terapeutica diventa un importante strumento di cambiamento, fornendo il contesto per modellare gentilezza, cooperazione e giocosità. In questo contesto, le rotture dell’alleanza non sono soltanto frequenti, sono segnale di un effettivo ingaggio in terapia e occasioni di lavoro. Le rotture si generano per due ragioni principali: il paziente non si sente compreso, oppure vive il trattamento come irrilevante per i suoi particolari problemi. In entrambi i casi, il primo passo da compiere per superare la difficoltà è quello di rendersi conto di ciò che sta accadendo. Compito del terapeuta è quindi compiere una osservazione attenta della comunicazione del paziente durante gli incontri e notare i segnali di rottura; solo in un secondo momento sarà possibile riparare l’accaduto chiarendo i malintesi ed offrendo al paziente l’occasione di praticare le abilità sociali necessarie per formare legami sociali significativi.

Obiettivi di trattamento

Sebbene la priorità in terapia sia sempre assegnata ai comportamenti che mettono a rischio la vita e alle rotture dell’alleanza, si suppone che la maggior parte del tempo sia dedicata al social signaling indiretto, mascherato e trattenuto che si ritiene fonte primaria del malessere di questi pazienti. Se per la DBT di Marsha Linehan l’obiettivo del trattamento è sviluppare una vita degna di essere vissuta, per la RO DBT lo scopo è sviluppare una vita degna di essere condivisa. Avere difficoltà con il social signaling sul versante dell’ipercontrollo significa avere comportamenti più difficili da identificare rispetto a quelli caratteristici dei pazienti discontrollati, ma ugualmente problematici e ostacolo al perseguimento dei valori personali.

Occorre quindi partire dall’identificazione dei valori del paziente e di come l’ipercontrollo ne impedisca il perseguimento, identificando le particolari caratteristiche del paziente in questione (espressione emotiva inibita, comportamento eccessivamente cauto e ipervigilante, comportamento rigido, relazioni fredde e distaccate, invidia e risentimento). Si procederà poi favorendo l’auto osservazione e la consapevolezza della fenomenologia e dei costi di tali comportamenti. Solo una volta completati questi passaggi si procede insegnando le abilità, con un lavoro congiunto tra il gruppo di skills training e la terapia individuale. Le schede di monitoraggio consentono un lavoro continuativo durante la settimana che viene poi ripreso è discusso con il terapeuta. Protocolli dettagliati sono a disposizione del clinico, pur con l’indicazione di lasciar andare l’eccessiva rigidità e avere sempre un occhio di riguardo per l’alleanza di lavoro.

Tra i pilastri della RO DBT, accanto alla teoria neurobiologica ed evolutiva, all’apertura radicale e all’auto-indagine, temi di cui abbiamo già parlato, si trovano la filosofia dialettica ed il comportamentismo, che forniscono strumenti di intervento fondamentali.

Proprio come avviene nel modello DBT di Marsha Linehan, infatti, la RO DBT si basa sul presupposto che siano sempre presenti polarità dialettiche all’interno di cui muoversi e che solo riuscendo ad accogliere gli opposti sia possibile la cura. In particolare, l’autore propone che nel trattamento dei soggetti ipercontrollati si presentino sovente due polarità: non decentrarsi vs lasciar andare acquiescente e irriverenza giocosa vs severità compassionevole. Il terapeuta si muoverà quindi tra questi estremi in modo fluido, rispondendo alle esigenze relazionali e terapeutiche che si presentano nei diversi momenti di terapia.

Occorre inoltre prestare attenzione alla presenza di un dilemma in cui spesso ricadono i pazienti con ipercontrollo, e cioè la convinzione che il proprio funzionamento sia talmente complesso da non poter essere efficacemente compreso e trattato da altri, convinzione che mina la possibilità di lasciarsi coinvolgere e mettere in gioco nella cura, poiché porta con sé un sentimento di sfiducia, nonostante il desiderio di stare meglio. Se questo dilemma è presente, occuparsene costituisce un passaggio preliminare per una terapia di successo.

Gli interventi proposti nel corso del tempo e rispettando sempre la gerarchia di priorità cui abbiamo fatto cenno, riguardano il miglioramento del social signaling e, di conseguenza, una maggior inclusione sociale che è considerata, come abbiamo detto, fondamentale per il benessere individuale. La RO DBT usa quindi l’analisi della catena comportamentale e l’analisi delle soluzioni per gestire questi aspetti. Perché l’apprendimento di nuove abilità, sia nel contesto individuale che nel training di gruppo, sia possibile, è importante disinnescare i comportamenti difensivi ed evitanti dei pazienti, estinguendoli, mentre si promuove un atteggiamento di maggior partecipazione e apertura.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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