Winnicott spiega come i bambini hanno bisogno della madre: in senso assoluto nei primi anni di vita, per poi passare alla separatezza fisica e psichica che caratterizza ciascuno di noi per tutto il resto della nostra vita.
Non c’è una cosa che si può chiamare un bambino, nel senso che, se volete descrivere un bambino, vi troverete a descrivere un bambino con qualcuno. Un bambino non può esistere da solo, ma è essenzialmente parte di un rapporto – scriveva Winnicott nel 1964.
Pediatra e psicoanalista, egli ha concentrato il suo interesse nell’osservazione dei bambini e delle loro madri, partendo dal presupposto, centrale in tutta la sua opera, che il bambino è un fenomeno che non può essere isolato: questo all’inizio vive in un mondo soggettivo, pervaso da un senso di onnipotenza, pur essendo, in realtà, la sua vita estremamente precaria e strettamente dipendente dalla figura materna (Winnicott, 1970).
I bambini hanno, infatti, bisogno della madre: ne hanno bisogno in senso assoluto nei primi anni di vita, quando gradualmente sono costretti a passare da uno stato simbiotico, di unicità madre bambino, in cui “il bambino non esiste” (Winnicott, 1961), alla separatezza fisica e psichica che caratterizza ciascuno di noi per tutto il resto della nostra vita. Il bisogno della presenza della madre – il legame fondamentale madre figlio – è, pertanto, nei primi anni, assoluto (Viorst, 2014). Solo successivamente, per maturazione, attraverso un processo graduale, duraturo e non privo di difficoltà, il bambino diventa un Sé separato.
Questa pianta vorrebbe crescere ed anche essere embrione; svilupparsi ed anche fuggire la condanna a prendere forma… (Richard Wilbur)
perché l’unicità è beatitudine e la separazione fa paura; essere separati significa riconoscere i propri confini e i confini degli altri, riconoscere il proprio Sé come unico, riconoscere che “Io sono Io” e trovare conferma negli altri significativi che “Sì, tu sei tu” (Viorst, 2014). Separarsi significa diventare indipendenti, significa essere. Essere genitori, allo stesso tempo, significa promuovere e supportare lo sviluppo fisico, emotivo e mentale del bambino (De Carli et al., 2018): è grazie alle prime relazioni che egli può costruire mappe interiori di sé e del mondo, sulle quali si plasma il senso di sé.
Nel suo articolo L’esperienza di mutualità tra madre e bambino (Winnicott, 1969) l’autore pone l’attenzione sul progresso che la psicoanalisi ha fatto in questo senso: si è passato dall’affrontare, ad originem, lo sviluppo infantile in termini di conflitto di Edipo e di
complicazioni che sorgono dai sentimenti di maschi e di femmine ormai divenuti persone intere in relazione con altre persone intere (Winnicott, 1969),
ad attenzionare l’esperienza e i conflitti interni alla psiche dei bambini, fino ad occuparsi prevalentemente dei processi di influenza ambientale e di dipendenza: nel bambino, secondo Winnicott, esistono sì dei processi maturativi innati, ma questi si svolgono esclusivamente in un quadro di dipendenza dall’ambiente, ed è proprio questa presa di coscienza che la psicoanalisi non può più ignorare. Quando osserviamo un bambino, osserviamo un bambino oggetto di cure: la tendenza ereditaria all’integrazione, alla ricerca dell’oggetto, all’indipendenza da sola non basta. Lo sviluppo ha luogo perché c’è una madre sufficientemente buona che, attraverso un comportamento adattivo e di identificazione con i bisogni del bambino, attraverso il sostegno e il contenimento fisico e psichico (holding), le cure corporee (handling) e la capacità di mettere a disposizione al bambino l’oggetto al momento giusto (object – presenting), fa sì che questo gradualmente possa procedere lungo la propria linea di sviluppo e conquistare i processi di integrazione, di separazione e la capacità di vivere il proprio corpo in relazione agli oggetti (Winnicott, 1961). Nel periodo immediatamente prima della nascita e per le successive settimane, infatti, la madre è affetta da quella che Winnicott chiama preoccupazione materna primaria, uno stato che, in condizioni psichiche normali, le permette di abbandonare temporaneamente le proprie identificazioni maschili – quando anche supportata nel processo dal padre del bambino – e di identificarsi completamente con i bisogni del piccolo. Quando la madre – e il padre in supporto – sono in grado di offrire questo tipo di ambiente, il bambino può vivere per il periodo necessario nel proprio mondo soggettivo, protetto dalle pressioni di una realtà esterna che per lui non esiste: è così che sviluppa un sentimento di prevedibilità che gli permette di gettare le basi dei primi stadi di crescita personale. In questo modo, gradualmente, si stabiliscono le condizioni necessarie affinché il processo ereditario di crescita possa attuare le sue potenzialità, consentendo al bambino di arrivare a vivere un’esistenza integrata e separata, costruita su un Vero Sé (Winnicott, 1970). Dice Winnicott (1970):
sebbene ogni bambino che viene al mondo abbia, diciamo così, un bastone da primo ministro nel pannolino, questo bastone può rimanere qualcosa che avrebbe potuto essere,
egli necessità cioè, in modo imprescindibile, di un apporto ambientale sufficientemente buono, che gli consenta
di diventare sempre più indipendente, pur conservando un buco in cui rifugiarsi.
Vale a dire, come scriveva J.K. Rowling nel romanzo Harry Potter e la pietra filosofale (1997) che
Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.