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La psicoterapia in bilico: tra possibilità e scetticismo

Benché sia ormai opinione comune che la psicoterapia sia una risorsa, l'idea di entrare in psicoterapia continua ad essere motivo di turbamento; perchè?

Di Michaela Mortera

Pubblicato il 30 Apr. 2021

La Psicoterapia negli ultimi anni sta entrando in punta di piedi nel linguaggio comune.

 

Dopo la difficoltà di distinzione terminologica dalla classica Psicoanalisi, slegatasi dall’associazione intrinseca con il trattamento esclusivo delle psicopatologie, questa attività fa ancora fatica a far parte degli interventi sanitari ammissibili come soluzione alle problematiche di vita, come può essere un intervento dal dentista o dall’ortopedico, in quanto essa ci tiene molto più spesso in bilico tra l’intraprenderla o meno.

Benché sia ormai opinione comune che la psicoterapia sia una risorsa per tutti, l’idea di entrare in psicoterapia, anche in presenza di disturbi significativi, ci turba, paradossalmente meno del toglierci un dente, eppure a differenza di quest’ultimo lo riteniamo più prorogabile, meno indispensabile. Perché?

Il peso delle parole

Partiamo con l’utilizzo della parola. Nell’ultima Conference Nazionale sulla Psicoterapia al Tempo della Pandemia (La salute Mentale nel Cuore della Salute Pubblica – Roma, Gennaio 2021) è emerso come la parola psicoterapia abbia un peso che non le permetta di essere pronunciata con leggerezza, nemmeno da chi ci lavora. Intraprendere una psicoterapia personale, inserire la psicoterapia nel servizio pubblico, perfino promuovere la psicoterapia sembra avere un tono impegnativo, tanto da far esimere chi ne ha le intenzioni.

Eppure l’etimologia del termine ci da un significato tutt’altro che preoccupante: psiche deriva dal greco ψυχο- che significa anima, mentre terapia, dal greco ϑεραπεία, che sta per cura: letteralmente la “cura dell’anima”.

Ma cosa c’entra l’anima con la Psicoterapia?

Come ci suggerisce il Prof. Galimberti, l’anima non è un concetto esclusivamente cattolico. Fu inventato da Platone per spiegare non tanto un’entità ultraterrena, quanto un organo delle idee, della scienza, un sapere universale uguale per tutti. Tutti abbiamo un’anima, una psiche in questo senso, ovvero un agglomerato di idee e di sensazioni emotive condivisibili, un linguaggio comune che racconta il nostro vissuto, e la psicoterapia si veste del compito di prendersene cura, anzi di accompagnare l’individuo nel percorso di conoscenza di sé stesso, che lo porti ad imparare a prendersi cura di sé da solo.

Prendersi cura di sé in termini di benessere mentale, emotivo e simbolico. Quando si arriva a definire la Psicoterapia in questi termini però ecco che essa perde di credibilità, assumendo un carattere mistico, che poco ha a che vedere con la specializzazione medica alla quale è destinata, insieme a quella psicologica. Non si capisce bene cosa faccia e come lo faccia, diventa un’attività fantomatica, una chiacchierata che “non serve a niente”.

In questo modo la psicoterapia si riduce ad una prestazione sanitaria che non riesce a liberarsi del suo accento aleatorio. Nonostante la mole di contributi scientifici che continuamente vengono pubblicati, la popolazione vacilla ancora tra la sensatezza o meno di un intervento di questo tipo.

Il problema dell’introduzione della psicoterapia come intervento sanitario maggiormente ordinario riflette lo stesso obiettivo per cui è nata: contrastare la resistenza al cambiamento. Finché non riusciremmo a concepire il cambiamento come una possibilità, finché non inizieremo a credere che cambiare è meno faticoso del procedere avanti nonostante le nostre insoddisfazioni, la psicoterapia non riuscirà a trovare spazio nella concezione comune e condivisa da tutti, come metodo concreto di applicazione. Continuerà ad essere vista come impresa mitologica, un viaggio nell’odissea, con poca adesione al mondo reale, dove l’intelligenza si esprime nella realizzazione di una prestazione o nella descrizione di soluzioni quantificabili.

Cosa cambiare?

La problematicità del cambiamento sta nel creare nuovi percorsi neurologici: entrare in terapia significa creare nuovi significati, nuove connessioni neuronali, che permettono di esperire gli stessi avvenimenti che abbiamo vissuto con una prospettiva diversa. E’ come quando guardiamo due facce della stessa moneta. Se una delle due è scalfita, tenderemo a pensare che quella moneta è mal ridotta e non si può riparare. Cercheremo altri rimedi come magari una copertura o un posto dove riporla per non essere costretti a “vedere” quel difetto.

Le coperture però saltano, si consumano, i cassetti si aprono proprio quando ci dimentichiamo che cosa ci avevamo messo dentro ed ecco che la moneta risalta fuori, con quel suo lato difettoso.

Entrare in terapia significa “guardare l’altro lato della moneta”. Prendere atto del fatto che essa non ha perso il suo valore benché sia scalfita, anzi, è diventata anche più preziosa in quanto unica nel suo genere. Avere nella testa non solo e unicamente il suo difetto, ma la moneta nella sua interezza.

La maggior parte delle persone fatica a spiegare cosa li turba e in che modo, anche per questo presentano delle sintomatologie significative. Van Der Kolk, pioniere del trattamento dello stress post-traumatico, riporta una lunga serie di esempi di come le persone che hanno vissuto un trauma, anche di tipo relazionale, manifestino uno stato di confusione e di offuscamento che non gli permette di “vedere” chiaramente le cose. La psicoterapia, attraverso l’utilizzo della conduzione della narrazione, il primo tra gli altri strumenti di cui si avvale, porta l’individuo a raccontare i fatti significativi della propria vita passata e presente, collegandoli tra di loro attraverso domande che non sono state poste prima, aprendo porte verso nuovi significati, ponti di connessione mai immaginati, vere e proprie nuove elaborazioni.

Abbiamo paura di entrare nel nostro mondo interiore, nelle nostre ferite, è preferibile rifuggire con altri metodi, meno introspettivi, per non dover guardare quella lesione, ma ancora di più abbiamo paura della paura stessa, per questo anche quando ci balena l’idea di entrare in psicoterapia tendiamo ad attuare quel fenomeno fisiologico simile a un “freezing mentale” che ci immobilizza dal compiere l’azione.

Il cambiamento verso l’inserimento dell’introspezione è poco interessante a livello governativo, non è un’azione produttiva nell’immediato, è lunga e meticolosa, ma anche sorprendentemente naturale e spontanea.

Le stesse caratteristiche che ha l’evoluzione.

La psicoterapia forse non è mai stata tanto in bilico come in questo momento storico.

Sta a noi, produttori di tale impresa, contribuire alla sensibilizzazione collettiva, alla definizione del nostro lavoro attraverso la divulgazione e il perfezionamento della nostra attività, in modo che nei prossimi anni, si possa scegliere di investire su un tipo di moneta non più intesa come mezzo di possedimento economico, ma come valore diversificato caratteristico di ognuno.

 

 

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