Nel campo di forze generato all’interno del setting terapeutico fluttuano energie alla ricerca di quella combinazione in grado di costruire una relazione, una combinazione fatta di chimica, cognizione, emozione.
La relazione si muove come in uno spartito musicale, fatto di note predominanti, di tonalità, ma anche di pause. L’armonia si ricerca anche nel silenzio più profondo, perché spesso è proprio attraverso il linguaggio del corpo, fatto di autentiche verità, incapace di menzogne, che avviene l’incontro.
Risulta essenziale all’interno di questo spartito emozionale la costruzione di un’alleanza terapeutica, che coinvolga allo stesso modo paziente e professionista. Studi empirici sull’efficacy della psicoterapia dimostrano che tale alleanza risulta essere tra i fattori aspecifici predittivi di un buon esito del trattamento e, dunque, nucleo concettuale e clinico di estrema importanza (Meta-analisi, Horvath, Del Re, Flückiger et al., 2011).
Perché? Semplice, quanto complesso: perché induce cambiamento.
La coazione a ripetere, «quell’eterno ritorno dell’uguale», quell’eterno ritorno che si impone quasi come potenza demoniaca al paziente, ancorato ad uno stato di passività ed immobilità, ben si evidenzia anche nella relazione terapeutica. Appare fondamentale l’innesco di un movimento, che se pur piccolo o lento, verta all’evoluzione, partendo necessariamente da una forte coalizione con L’Io sano.
Forte rilevanza ha nel processo trasformativo la stimolazione dell’immaginario, proprio come accade nella musica: un dettaglio, un profumo che innescano un pensiero, a sua volta modulato in un suono, e poi in una melodia e poi in un’opera. Immaginario che risulta essere terreno fertile, humus in grado di coltivare, anche in mezzo ad un terreno arido, singoli semi che nascondono un potenziale infinito.
Tutto sta nello stimolare la mente all’interno di un setting protetto, un po’ “ovattato” e sospeso, come accade nel Rêve Eveillé, che secondo Desoille rappresenta la via regia di accesso all’Inconscio. Forte la correlazione con la rêverie bioniana, che a sua volta è fortemente legata a quel principio con cui Freud esprime il concetto di «sogno ad occhi aperti», ovvero sogno diurno. Con Bion questo “mondo sospeso” assume un forte potere in ambito psicoanalitico, ovvero la capacità materna di raccogliere e accogliere dentro di sé tutte le impressioni dell’infante a livello sensoriale e di restituirle, in una forma tale da renderla comprensibile alla mente del bambino, in questo modo capace di assimilarla. Ecco un vero e proprio processo trasformativo che innesca quell’alfabetizzazione di elementi beta primordiali, caotici, ancora immaturi dell’infante, per dare forma e significato agli stessi. Con la rêverie la madre provvede a quel bisogno di amore e di sete di conoscenza del piccolo, proprio come accade nel campo terapeutico, fortemente magnetico. Attraverso l’attenzione fluttuante (Freud) il terapeuta, libero da memoria e da desiderio valorizza quell’attività di pensiero onirico diurno, di quel sogno ad occhi aperti, in grado di accelerare il metabolismo basale stagnante del paziente e renderlo capace di movimento. La mente, in questo navigare fluttuante, libera sé stessa, approdando alle rive più nascoste dell’inconscio. Il terapeuta, in questo fruire di pensieri scolpisce nella sua mente, la melodia o l’opera pensata dal suo paziente. D’altro canto, il paziente sente di essere pensato dal terapeuta e dunque, finalmente, amato. L’Esperienza Immaginativa, in un setting estremamente confortante, ma sempre controllato da quelle che sono le regole della seduta psicoterapeutica, risulta essere liberatoria: la mente dà spazio al suo essere più autentico, mettendo in atto un processo di rivelazione di sé, senza più timori.
«Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura»: la mente del paziente supportata dagli spostamenti del terapeuta intraprende un cammino tortuoso alla ricerca della luce. Ecco riecheggiare un Archetipo della nostra cultura, secondo cui per arrivare in cima alla montagna e godere del suo splendido panorama, sudore, fatica accompagnati anche a momenti di frustrazione, sono necessari. Un’ immagine (ἀρχε, τύπος) congiunta all’Inconscio Collettivo junghiano dal quale deriva. Lo Stimolo Immaginativo sotto forma di opera d’arte diventa l’innesco per la creazione di un capolavoro inimitabile. La mente stimolata dalla creatività di un quadro o dai suoni melodici di una poesia viene travolta. Attraverso l’opera artistica si stimolano percorsi mai intrapresi dalla mente, che in un viaggio senza dubbio tortuoso, cerca la sua libertà.
La mente sconfina, da quei milleduecentocinquantagrammi di sostanza gelatinosa si attivano strutture neuronali correlate tra loro, in grado di accendere aree della memoria inconscia a lungo termine e di portare alla luce ricordi visibili sotto nuova prospettiva. Sconfinare spesso è frainteso con quel limite relativo tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è normale e patologico, una sorta di irrispettoso o non cosciente salto nell’istinto pulsionale, spesso evidenziato in abuso di sostanze o in disturbi come il borderline, dove l’incapacità di contenimento è distruttiva. In realtà, qui lo sconfinare assume un potente significato liberatorio, capace di sciogliere i nodi conflittuali a cui la mente in-consapevolmente rimane aggrappata, per paura di cadere nell’abisso dell’ignoto, ovvero l’inconscio. Creatività che sconfina, dando vita ad un’opera d’arte.
Ma la relazione terapeutica non è essa stessa un’opera d’arte?
In effetti, il potere dell’alleanza all’interno del setting spazia oltre ogni limite. Attraverso l’interazione terapeuta-paziente si plasma un’opera irripetibile, fatta di molteplici sfaccettature che la rendono unica nel complesso. E sicuramente essere creativo, ma sempre correlato alla tecnica, da cui il professionista non può certo prescindere. E arte che è anche techne. Si scava nel profondo, ma mai in solitudine. E un essere nel mondo con, ossia un esserCi, che è allo stesso tempo un essere-CON, quello che Heidegger definisce il Dasein, ovvero quell’ente che strutturalmente è «con gli altri». Una vera forma di Amore che precede la Cura o forse meglio si intreccia a lei, in quanto l’Amore stesso è cura, che va oltre l’aspetto più meramente contrattuale: diventa un cammino di colori e di emozioni che si addentra in una dimensione più creativa per entrambe le componenti (Paziente-Terapeuta), dimensione che ha un vero e proprio effetto catartico.
L’Amore riesce a trascendere il mondo e permette all’essere di abbandonarsi nelle mani dell’Altro. La terapia diventa Amore all’interno di un luogo di cura.
Dunque la parola di chi ha guarito è proprio quella dell’Amore, che oltrepassa e ovviamente deve oltrepassare ogni dimensione materiale, non è né Eros, né Philia.
L’Alchimia nata in questo viaggio cura ogni singolo dettaglio, incessantemente instancabile, in quanto espressione assoluta di Agape.