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Orientamenti in psicoterapia cognitivo-comportamentale. Dalla formulazione del caso alla ricerca sull’efficacia (2020) – A. Scarinci, R. Lorenzini e C. Mezzaluna – Recensione del libro


'Orientamenti in psicoterapia cognitivo-comportamentale' offre una riflessione sui punti critici e indicazioni chiare e semplici sulle diverse posizioni

Di Lucia Candria

Pubblicato il 05 Mar. 2021

Orientamenti in psicoterapia cognitivo-comportamentale si apre descrivendo le tappe di sviluppo e di evoluzione della terapia cognitivo comportamentale per poi arricchirsi di procedure e tecniche nuove di seconda e terza ondata.

 

La terapia cognitivo comportamentale oggi si presenta come un quadro complesso caratterizzato dalla presenza di un continuo confronto su aspetti caratterizzanti come l’importanza della concettualizzazione del caso per la progettazione dell’intervento terapeutico, il ruolo della relazione e dell’alleanza terapeutica, l’utilizzo e l’integrazione delle vecchie e nuove tecniche terapeutiche, l’importanza della formazione e della supervisione del terapeuta, la ricerca empirica per dimostrare l’efficacia dei diversi approcci psicoterapeutici e tanti altri temi.

Il libro Orientamenti in psicoterapia cognitivo-comportamentale si rivolge agli specializzandi in formazione, ma anche a più esperti psicoterapeuti, offrendo una riflessione sui punti critici e indicazioni chiare e semplici sulle diverse posizioni, avvalendosi di ampie review sullo stato dell’arte della ricerca.

Il libro si apre con un capitolo che descrive le tappe di sviluppo e di evoluzione della terapia cognitivo comportamentale, partendo dai contributi di Ellis e Beck che centravano l’intervento sulle idee irrazionali e sui pensieri automatici negativi per poi evolversi e arricchirsi di procedure e tecniche nuove di seconda e terza ondata, tutte supportate da ricerche e studi che ne dimostrano l’efficacia.

Punto di condivisione dei diversi approcci è l’importanza della formulazione e condivisione del caso tra terapeuta e paziente in quanto favorisce migliori esiti terapeutici, soprattutto su casi complessi e la stabilità del trattamento.

Ulteriore tema molto dibattuto è il ruolo della relazione e dell’alleanza terapeutica rispetto all’esito della terapia. Alcuni ritengono che sia un fattore aspecifico rispetto al cambiamento, altri invece la ritengono elemento indispensabile per il successo terapeutico e vedono l’uso dei compiti e la condivisione degli obiettivi come elementi essenziali della costruzione dell’alleanza terapeutica. La condivisione esplicita e aperta della formulazione del caso e del metodo di lavoro è, per questa visione, elemento fondamentale per la costruzione dell’alleanza.

La parte centrale del libro dedica ampio spazio alla trattazione delle tecniche di intervento, cioè di tutti gli strumenti che il professionista utilizza per modificare comportamenti, emozioni e cognizioni e raggiungere gli obiettivi terapeutici. Un buon terapeuta deve possedere un certo numero di tecniche da utilizzare coerenti e appropriate al piano di intervento, allo scopo di aumentare la consapevolezza del paziente, comprendere scompenso e fattori di mantenimento della sintomatologia, favorire una maggiore flessibilità dei piani esistenziali mostrandone la scarsa utilità e disattivandone l’applicazione automatica, individuare i temi dolorosi e favorire il distanziamento critico per rendere tali temi più tollerabili e meno condizionanti.

L’ampio repertorio degli strumenti a disposizione del terapeuta deve essere utilizzato evitando un’integrazione eclettica, ma all’interno di un modello teorico specifico e definito, come quello cognitivo-comportamentale, che si compone di una solida teoria epistemologica dell’eziopatogenesi e della cura basata su solide evidenze di ricerca.

Saper formulare un caso clinico e conoscere le diverse tecniche di intervento sono conoscenze sufficienti per un buon terapeuta? Quali conoscenze e competenze sono da sviluppare e aggiornare per essere un efficace psicoterapeuta?

I capitoli successivi mirano a rispondere proprio a queste domande in quanto la formazione degli psicoterapeuti assume una grande valenza riguardo alle competenze che questi professionisti della salute mentale devono avere per svolgere il proprio lavoro in modo appropriato e dei percorsi che formano queste stesse competenze. Il percorso formativo fornisce una conoscenza completa del paradigma di riferimento e le conoscenze per strutturare il setting e il percorso terapeutico, valorizzando la cultura dell’evidence-based, ma consente anche allo studente di lavorare sul miglioramento della propria autoriflessività per conoscere i propri stati interni in relazione a ciò che avviene in terapia e agire sugli stessi.

Questa capacità metacognitiva va sviluppata e migliorata per evitare che emozioni, comportamenti e credenze personali possano interferire con il lavoro terapeutico.

Tuttavia la formazione dello psicoterapeuta non si esaurisce all’interno del percorso quadriennale di formazione post laurea, ma richiede di mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale e di svolgere periodicamente attività di supervisione per migliorare l’appropriatezza degli interventi con lo scopo di aumentarne l’efficacia.

Nel testo viene inoltre trattata la questione dell’integrazione: lo sviluppo del cognitivismo e la presenza di diversi orientamenti richiedono una riflessione sull’aderenza dei trattamenti e sulla loro unitarietà e coerenza con il paradigma del cognitivo clinico. Il continuo dialogo tra diverse prospettive e un’analisi critica delle tendenze integrative diventa fondamentale per orientare il clinico nel valutare e contestualizzare le tecniche e raggiungere una migliore comprensione degli eventi e un modello d’intervento adeguato ed efficace. La strada più percorribile per un corretto processo di integrazione sembrerebbe quella assimilativa, che permette di inserire tecniche e procedure efficaci all’interno di un modello teorico-concettuale.

L’ottavo capitolo del libro affronta una questione ampiamente discussa, quella della diagnosi, che risale ai primi tentativi di definire i disturbi mentali già dal terzo millennio A.C. quando sumeri ed egizi tentavano di descrivere quadri clinici ascrivibili alla melanconia e all’isteria per poi articolarsi maggiormente con le ricerche di Ippocrate fino allo sviluppo della moderna nosografia psichiatrica a cavallo tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento con i lavori dello psichiatra tedesco Emil Kraepelin, che tentano di dare alla psichiatria una base biologica avvalendosi sia dell’approccio organicistico che delle scoperte anatomo-patologiche e neuro-fisiologiche. L’ampio excursus ci porta fino ad oggi ed osserviamo che le categorie diagnostiche in psichiatria stanno subendo una notevole destrutturazione sia nell’ambito dei disturbi psichiatrici maggiori, sia nel contesto dei disturbi di personalità, come dimostra la ridefinizione dei criteri diagnostici operata dalle ultime edizioni del DSM e dell’ICD, orientandosi verso modelli dimensionali di spettro, i quali partendo da variazioni personologiche considerate normali, in base a criteri di gravità e alla presenza di tratti patognomonici, definiscono nuove entità patologiche, solo parzialmente corrispondenti alle vecchie categorie. Probabilmente in futuro si andrà verso una psichiatria e una psicoterapia stratificata e personalizzata, con metodologie che iniziano a integrare i risultati delle neuroscienze, della ricerca di base e dell’experimental psychopathology.

Ulteriore tema su cui il dibattito è particolarmente animato è relativo all’importanza, sia per la psicopatologia, che per la teoria della cura, dei contenuti della mente, scopi e credenze e dei processi funzionali. Vengono esaminate le posizioni degli strutturalisti, dei processualisti e gli elementi che contrappongono i due schieramenti: le terapie centrate sui contenuti come la CBT hanno dimostrato la loro efficacia nel ridurre la patologia clinica modificando i modelli relazionali impliciti del paziente, pensieri e comportamenti evidenziando inoltre cambiamenti funzionali e strutturali a livello cerebrale, gli approcci basati sui processi offrono effetti semplici, rapidi e significativi e una nuova comprensione che modifica esplicitamente il livello al quale viene elaborato il materiale emotivo negativo.

Secondo Ruggiero et al. (2018) nell’ottica di una possibile integrazione, sarebbe utile in futuro proporre modelli funzionalisti compatibili con la modalità narrativa dei clinici, modelli che mantengano la base evolutiva del disordine, la dimensione esperienziale-narrativa della sofferenza emotiva dei pazienti e l’attenzione ai processi mentali che i soggetti hanno erroneamente sviluppato e mantenuto, ritenendoli incontrollabili a causa di credenze metacognitive disfunzionali.

Come abbiamo avuto modo di leggere, i trattamenti evidence based per i diversi disturbi sono ormai numerosi, ma non sempre è possibile per il clinico farvi ricorso, in questi casi dovrà avvalersi del ragionamento clinico, un pensiero di ordine superiore attraverso cui lo psicoterapeuta osserva e mette in relazione concetti e fenomeni per comprendere e dare significato a ciò che accade nel processo terapeutico.

La CBT, recentemente, ha incluso nella teoria della cura un approccio più trans-diagnostico e personalizzato, in cui evidenze di ricerca e ragionamento clinico coesistono e s’integrano.

La ricerca in psicoterapia ha quindi l’obiettivo di fornire informazioni preziose per i clinici, contribuendo alla costituzione di un corpus di conoscenze empiricamente fondate, anche se ancora incomplete e talvolta controverse. Molto c’è da aspettarsi dai risultati della ricerca di base e della ricerca sull’etiopatogenesi dei disturbi per capire come e perché agisce efficacemente la psicoterapia e quali approcci terapeutici offrono maggiori vantaggi rispetto ad altri su specifiche psicopatologie. Naturalmente è importante tenere conto anche dei limiti della metodologia applicata in un ambito dove, osservato e osservatore hanno una forte influenza reciproca, per questo una maggiore integrazione tra le evidenze che emergono dagli studi empirici e l’expertise dei clinici dovrebbe sempre guidare sia i progetti di ricerca, sia l’operare clinico.

L’ultimo capitolo si occupa dei farmaci e di come il trattamento farmacologico può integrarsi con la psicoterapia.

La lettura del libro risulta molto chiara e fornisce una visione completa e articolata del mondo della psicoterapia cognitivo comportamentale dal suo esordio ad oggi, lasciando aperti interessanti spunti di riflessione per approfondimenti futuri. Fornisce inoltre un’integrazione molto strutturata sugli attuali temi di riflessione, spunti e risorse spendibili sia per chi vuole approcciarsi a questa formazione, sia per chi è già in formazione ed infine per chi svolge da anni questa professione.

Ultimo punto di forza è rappresentato dagli autori: Antonio Scarinci, Roberto Lorenzini e Clarice Mezzaluna sono psicoterapeuti, formatori e ricercatori che da anni operano sul territorio nazionale e, grazie alla loro esperienza clinica, didattica e di ricerca, hanno reso possibile una riflessione così completa sull’attuale panorama della psicoterapia cognitivo comportamentale. Alla stesura del libro hanno inoltre partecipato importanti autori del cognitivismo italiano e giovani clinici, quali M. Cavalletti, M. Di Egidio, G.M. Ruggiero, G. Caselli, S. Sassaroli, S. Piccioni, C. Formiconi, V. Castellucci, L. Candria, M.C. Barnabei, V. Valenti, E. Favaretto, F. Bedani, M. Ferri, S. Tripaldi, mentre la prefazione è stata curata dal Dr. Antonio Semerari.

 

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