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Synchronicity: The Epic Quest to Understand the Quantum Nature of Cause and Effect (2020) di Paul Halpern – Recensione

'Synchronicity' ripercorre momenti storici e punti di contatto tra la psicologia e la fisica approfondento i contributi apportati da Jung e Pauli

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 02 Feb. 2021

Synchronicity riflette su come la storia della scienza conosca diversi casi in cui intuizioni geniali vennero a lungo dimenticate sulla base di confutazioni solo apparentemente definitive.

 

Empedocle comprese che la velocità della luce fosse limitata, mentre Aristotele argomentò che doveva essere infinita, altrimenti, per esempio, guardando il sole dovremmo vedere ‘avvicinarsi’ la sua immagine. Talora è accaduto che grandi scienziati compissero importanti scoperte e allo stesso tempo credessero a idee pseudo-scientifiche. Newton si dedicò all’alchimia. Alfred Russel Wallace, ricorda Paul Halpern, scoprì indipendentemente da Darwin l’evoluzione da selezione naturale ma credeva nella realtà dei fenomeni medianici e nella veridicità delle sedute spiritiche. Più di recente, potremmo aggiungere, scienziati vincitori di premi Nobel hanno propalato le idee più bizzarre (si pensi a come Luc Montagnier abbia sostenuto l’uso papaya per curare il Parkinson, l’esistenza della memoria dell’acqua che proverebbe la fondatezza dell’omeopatia o la possibilità che i vaccini provochino l’autismo). All’inverso, è accaduto che ipotesi poi rivelatesi come empiricamente solide fossero sostenute in origine da argomenti cervellotici: un esempio classico è la nascita del modello planetario di Keplero sulla base di convinzioni a priori sulla necessaria armonia universale. Insomma, come scrive sempre Paul Halpern: ‘anche gli scienziati non sempre sono in grado di separare il reale dall’illusorio’.

Un caso particolare di come un’intuizione rivelatasi poi feconda sia nata in modo singolare è quella di sincronicità (dalla quale prende il nome il libro di Halpern):

Il termine venne coniato nel 1930 dallo psicologo svizzero Carl Jung, come un ‘principio di connessione acausale’. Per quanto riconducesse l’idea a discussioni con Einstein a proposito della relatività, oltre che a analisi personali di sogni, coincidenze e archetipi culturali, la nozione prese il volo a partire da dialoghi con Pauli a proposito di nuovi aspetti della fisica quantistica, che la distinguevano dal classico determinismo meccanicistico. Retrospettivamente, gli insight di Jung a proposito del bisogno di un nuovo principio acausale nella scienza erano brillanti e anticipatori. D’altra parte, la sua bassa soglia [rispetto alla necessità di verifica] nell’accettare prove aneddotiche sulle ‘coincidenze significative’, senza applicare l’analisi statistica per escludere le correlazioni spurie era un serio limite al suo lavoro. Jung credeva alla sua intuizione rispetto a come le cose risultavano connesse. Ma alla luce della capacità della mente di costruire talvolta falsi legami, la pura intuizione in sé non è scienza genuina (p. 16).

Ma chi erano Jung e Pauli, quando si incontrarono e cosa li aveva fatti incontrare negli anni trenta?

Carl Gustav Jung era uno dei più importanti psicoterapeuti del secolo. Dopo l’incontro con Freud nel 1906 e un breve periodo di collaborazione che ebbe termine nel 1913, Jung aveva fondato la psicologia analitica. Pur avendo tratti in comune con la psicoanalisi, la teoria di Jung se ne distaccava per molti versi. Essenzialmente: (1) non considerava la sessualità come unica base motivazionale del comportamento umano (onde la libido non andava considerata come ‘energia sessuale’ ma come ‘energia psichica’); (2) specialmente non considerava la psicosi come riconducibile a problematiche sessuali (vedi già Jung, 1907); (3) riteneva che l’inconscio non fosse solo individuale, ma conservasse tracce comuni in tutti gli esseri umani (Jung, 1912); (4) considerava ogni teoria psicologica il frutto della soggettività (o al massimo del tipo psicologico) del proprio autore e quindi auspicava la possibile convivenza del modello di Freud, di quello di Adler, del proprio e di futuri modelli che fossero nati in seguito (Jung, 1913; 1921). Freud, che aveva già mal tollerato i primi tre punti, non perdonò a Jung quest’ultima presa di posizione, alla quale seguì una vera e propria scomunica, con il violento pamphlet Per la storia del movimento psicoanalitico (Freud, 1914). Quando ebbe modo di incontrare Wolfgang Pauli, nel 1930, Jung era nel pieno delle sue riflessioni sulla natura degli archetipi, ovvero dei contenuti dell’inconscio collettivo. Tali riflessioni lo avevano condotto a spedizioni antropologiche (si vedano Jung, 1925; 1961) e lo portavano a confrontare le leggende dei popoli cosiddetti primitivi, i simboli dei sogni di pazienti moderni e quelli contenuti, per esempio, in antichi testi cinesi come l’I King e Il segreto del fiore d’oro, o nelle opere degli alchimisti occidentali, che fino ad allora erano apparsi agli storici come meri balbettamenti iniziali di una scienza, la chimica, ancora in fase preistorica.

Pauli, iniziato alla fisica giovanissimo addirittura da Ernst Mach, che era un amico di famiglia, aveva rivelato assai presto il suo enorme potenziale redigendo a 21 anni un’esposizione sintetica della Teoria della relatività che lo stesso Einstein apprezzò enormemente (Pauli, 1921). A 25 anni aveva formulato il ‘principio di esclusione’, per il quale due elettroni o due protoni non possono occupare simultaneamente lo stesso ‘stato quantico’ (cioè gli stessi valori per i ‘numeri quantici’ fino ad allora conosciuti e per una quarta misura che introdusse egli stesso, cioè lo spin o rotazione). In seguito si scoprì che lo stesso principio valeva anche per i neutroni, dei quali non si conosceva ancora l’esistenza, e che lo stesso Pauli contribuì a far scoprire. La formulazione del principio di esclusione era valsa a Pauli una fama immediata e universale tra i fisici (gli avrebbe assicurato il Nobel nel 1945) ma la sua vita privata non procedeva in maniera altrettanto brillante. Il suo matrimonio con una ballerina di cabaret, nel 1930, durò in pratica poche settimane. Già provato dalla morte della madre, Pauli fu preda di una grave depressione e iniziò a bere. Consigliato dal padre, si rivolse a Jung per aiuto. Nella convinzione che Pauli dovesse innanzi tutto risolvere problemi con le figure femminili, Jung lo affidò alle cure di una sua allieva, Erna Rosenbaum, che in effetti lo aiutò rapidamente a risollevarsi dalla propria condizione e a recuperare una condizione creativa. Nel 1931, in effetti, Pauli avanzò un’altra congettura destinata a far progredire ulteriormente la fisica: l’esistenza di una nuova particella subatomica (le cui caratteristiche corrispondono a quello che oggi è chiamato ‘neutrino’).

Pauli decise nondimeno di incontrare periodicamente in persona lo stesso Jung fra il 1932 e il 1934. Per l’entusiasmo di Jung, il brillante fisico si caratterizzava per una produzione onirica enorme ed era in grado di ricordarla in ogni dettaglio. Già nell’analisi con Erna Rosenbaum, Pauli riferì centinaia di sogni, nei quali ricorrevano motivi simbolici che colpirono Jung per la rassomiglianza con quelli ricorrenti nell’alchimia. Dato che neanche Erna Rosenbaum era ancora a conoscenza delle ricerche di Jung in questo ambito, questi poteva essere in effetti convinto di non avere influenzato la vita onirica di Pauli neanche indirettamente.

Molti dei sogni di Pauli vennero riprodotti in sequenza (all’epoca anonimamente) all’interno di una delle opere più note di quello che si potrebbe definire il ‘secondo Jung’, ovvero Psicologia e alchimia (Jung, 1943) e inoltre nelle lezioni tenute all’ETH di Zurigo (ancora in parte inedite, in corso di pubblicazione nella Philemon Series di Princeton University Press). I sogni di Pauli costituivano, ad avviso di Jung, una testimonianza particolarmente significativa di come gli archetipi dell’inconscio collettivo trovassero espressione nel mondo onirico, variando singoli elementi eppure riproponendo simbolismi assai simili attraverso lo spazio e il tempo. La circostanza che attraverso l’alchimia lo studio della materia riconducesse allo studio della psiche affascinò anche Pauli, che si propose di contribuire come fisico al rinnovarsi di un simile scambio. La psicologia analitica diveniva così, per Jung e Pauli, una sorta di equivalente moderno dell’alchimia.

Il rapporto tra Jung e Pauli è testimoniato da un ampio epistolario, disponibile anche in traduzione italiana (Jung e Pauli, 2016). Pauli, all’inizio del carteggio, pur essendo uno scienziato già noto, si rapporta a Jung come a una figura paterna (Jung del resto era di venticinque anni più anziano). Le sue considerazioni riflettono un’accettazione convinta della psicologia analitica junghiana. Nelle primissime lettere emergono sia alcuni problemi nevrotici già affrontati e risolti nel percorso analitico (come la fobia delle vespe), sia alcune ipotesi interpretative su di sé e sul rapporto con la compagna nelle quali Pauli adotta una terminologia specificamente junghiana (Animus, Ombra etc.). Tuttavia, fin da subito il più giovane fisico si dimostra tutt’altro che passivo di fronte alle interpretazioni junghiane del proprio universo onirico: per esempio propone delle chiavi di lettura diverse da quelle junghiane proprio per i sogni destinati alla pubblicazione.

Jung, da parte sua, considerava l’incontro con Pauli un’occasione fondamentale per mettere alla prova nel dialogo con un illustre esponente delle scienze hard alcune delle proprie ipotesi più speculative sulla natura della mente e sul rapporto tra mondo psichico e mondo fisico. Va rilevato, da questo punto di vista, che l’atteggiamento di Jung è molto cauto, nelle opere edite, a proposito della natura degli archetipi dell’inconscio collettivo. Lo psicologo svizzero sembra oscillare tra l’idea che l’essere umano possa ereditare dei contenuti appartenenti all’esperienza umana primordiale e l’idea che l’ereditarietà sia soltanto la potenzialità di tali contenuti. Come Freud, Jung sembra attratto dalle ipotesi lamarckiane ma cauto di fronte alle stringenti riserve opposte dai biologi evoluzionisti (mi permetto di rimandare a Innamorati, 2013).

Pauli però si mostrò molto incline a sostenere Jung anche istituendo parallelismi tra la psicologia analitica e la fisica teorica (p. es. Jung e Pauli, 2016, pp. 60-61). Trovando in uno scienziato un interlocutore così vicino alle proprie posizioni, Jung si mostrava pronto a sviluppare una sorta di metafisica psicologica universale. Si prenda in considerazione questo passo:

In generale ci si immagina l’inconscio come un dato di fatto psichico di un individuo. L’autoraffigurazione elaborata dall’inconscio a partire dalla sua struttura centrale non si accorda tuttavia con questa versione, bensì tutto indica che la struttura centrale dell’inconscio collettivo non può essere fissata spazialmente, ma si configura come esistente dappertutto, in modo sempre identico a se stessa, che deve essere pensata come aspaziale e quindi, se proiettata nello spazio, deve trovarsi ovunque nello spazio (Jung a Pauli, 14/10/1935, in Jung e Pauli, 2016, p. 63).

Jung e Pauli condivisero anche la convinzione che i fenomeni parapsicologici fossero reali (all’epoca, del resto, le dimostrazioni di J. B. Rhine venivano da molti considerate scientificamente solide). Pauli, per esempio, considerava non casuale il fatto che assai spesso le apparecchiature destinate a esperimenti di fisica applicata presentassero dei guasti; ancora oggi, del resto, la circostanza che esperimenti falliscano a causa di un guasto tecnico in presenza di un fisico teorico viene scherzosamente chiamata un esempio di ‘effetto Pauli’. Jung ipotizzò l’esistenza di legami ‘significativi a-causali’ tra fenomeni, per spiegare l’esistenza di nessi razionalmente inspiegabili ma comunque reali. L’effetto Pauli non costituiva altro che un esempio di tali nessi, che Jung definiva sincronistici. Fu proprio Pauli a insistere perché Jung organizzasse i propri pensieri sulla sincronicità in un testo (Jung e Pauli, 2016, p. 89), che vide infine la luce nell’unica pubblicazione che Jung e Pauli firmarono insieme: Naturerklärung und Psyche (Spiegazione della natura e psiche; Pauli e Jung, 1952). I due saggi che componevano il libro originale sono stati tradotti in italiano ma separatamente: lo scritto di Jung nel volume 8 delle Opere (Jung, 1952) e quello di Pauli nella raccolta Psiche e natura (Pauli, 1952).

Il libro di Halpern racconta il rapporto tra i due grandi pensatori e lo inserisce nella storia della fisica, spiegando come alcuni aspetti del dialogo tra Jung e Pauli abbiano in effetti anticipato in parte, sia pure in maniera congetturale, aspetti della ricerca contemporanea di una teoria unificata del mondo fisico, nella quale il concetto di causalità assume delle piegature incomprensibili al senso comune.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Per i testi di Freud e Jung, ove non diversamente indicato, si fa riferimento alle rispettive edizioni delle Opere, pubblicate in italiano da Bollati Boringhieri; indicate come osf e ocj.
  • Freud, S. (1914c), Per la storia del movimento psicoanalitico, osf, 7
  • Innamorati, M. (2013), Jung, Carocci, Roma.
  • Jung, C.G. (1907), Psicologia della dementia praecox, ocj, 3
  • Jung, C.G. (1912), La libido. Simboli e trasformazioni. Tr. it. Newton Compton, Roma 1975.
  • Jung, C.G. (1913), Sulla questione dei tipi psicologici, ocj, 6.
  • Jung, C.G. (1921), Tipi psicologici, ocj, 6.
  • Jung, C.G. (1925), Introduction to Jungian Psychology: Notes of the Seminar Given in 1925, (a cura di Sonu Shamdasani). Princeton University Press, New York 2012.
  • Jung, C.G. (1943), Psicologia e alchimia, ocj, 12.
  • Jung, C.G. (1952), La sincronicità come principio dei nessi acausali, ocj, 8.
  • Jung, C.G. (1961), Ricordi, sogni, riflessioni, (a cura di A. Jaffé). Tr. it. Il Saggiatore, Milano 1965.
  • Jung, C.G., Pauli, W. (1952). Naturerklärung und Psyche. Studiem aus dem C.G. Jung Institut, Zürich.
  • Jung, C.G., Pauli, W. (2016), Jung e Pauli. Il carteggio originale: l’incontro tra Psiche e Materia. Ed. it. a cura di A. Sparzani e A. Panepucci, Moretti & Vitali, Bergamo
  • Pauli, W. (1921), Teoria della relatività. Tr. it. Boringhieri, Torino 1958.
  • Pauli, W. (1952), L’influsso delle immagini archetipiche sulla formazione delle idee scientifiche di Keplero. Tr. it. in Psiche e naura, Adelphi, Milano 2006.
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