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La percezione della donna tatuata

Nonostante la diffusione dei tatuaggi ci sono ancora importanti pregiudizi che influenzano tanto la percezione quanto il comportamento delle persone

Di Rosario Privitera

Pubblicato il 18 Gen. 2021

Molti ricercatori si sono così chiesti come venissero giudicate le donne tatuate, quali caratteristiche venissero loro attribuite da persone esterne o non conosciute direttamente e se il loro grado di bellezza ne fosse in qualche modo intaccato o condizionato.

 

Il tatuaggio nelle donne ha compiuto un viaggio lungo più di un secolo. Gli anni hanno scandito l’uso e il senso dietro questa pratica, passando dall’essere nella nostra società un segno distintivo della classe sociale cui si apparteneva, diventando poi con il tempo un strumento di ribellione verso le caratteristiche ed il ruolo che le norme sociali impongono alla donna, fino a giungere ai giorni nostri sotto forma di ornamento che attraversa le barriere di genere, cultura e classe sociale, diffondendosi indipendentemente dall’età e dalla professione delle persone (Hawkes, 2004).

Tale pratica si è imposta col tempo tra le fila dei più giovani sotto forma di moda, così che i numeri riportano una quadruplicazione dagli anni ’70 agli anni ’90 (Armstrong, 1991), aumento che sembra ancora lontano dall’arrestarsi.

Una grossa quantità di ricerche scientifiche mostra però come nonostante tale diffusione, che coinvolge entrambi i sessi, vi siano ancora importanti pregiudizi che influenzano tanto la percezione quanto il comportamento delle persone.

Molti ricercatori si sono così chiesti come venissero giudicate le donne tatuate, quali caratteristiche venissero loro attribuite da persone esterne o non conosciute direttamente e se il loro grado di bellezza ne fosse in qualche modo intaccato o condizionato.

Nello studio di Daina Hawkes (2004) che ha preso in considerazione un campione composto interamente da studenti universitari canadesi, di entrambi i sessi, tatuati e non, è emersa un’attitudine generalmente negativa verso le donne che avevano un tatuaggio visibile. I soggetti che non avevano alcun tatuaggio e non erano interessati ad averne hanno espresso i giudizi più duri a riguardo.

Tuttavia, i partecipanti che avevano anch’essi un tatuaggio tendevano a considerare le donne tatuate come più forti e attive rispetto alle donne non tatuate. Molto interessante è il fatto che tali caratteristiche sembravano condivise anche dalle donne che non avevano tatuaggi. A tal proposito occorre contestualizzare tali accezioni. In una società in cui vengono considerate la debolezza e la bassa intraprendenza della donna come tratti distintivi, se non addirittura desiderabili, è opportuno chiedersi come vengano valutati atteggiamenti che vanno nella direzione opposta. Parimenti, in una sottocultura che al contrario idealizza la forza e il ruolo attivo della donna all’interno della società, le caratteristiche prima descritte possono essere considerate come potenzialità. Occorre quindi scorgere quale visione della realtà sociale viene condivisa dai partecipanti per comprendere adeguatamente il senso che essi vogliono dare ai loro giudizi.

Se consideriamo come lo studio di Sanders (1988) mostri che le donne siano ben consapevoli dello stigma che un tatuaggio visibile può arrecare loro, non deve sorprenderci che le stesse tendano a decorare parti del corpo meno visibili, in modo da mantenere un’identità sociale non contaminata dai pregiudizi sui tatuaggi delle persone che incontrano. Della stessa idea sembra essere Atkinson (2002), quando afferma che le donne riflettano su tali pregiudizi e che, in base a questi, scelgano la posizione giusta per il loro tatuaggio. Così le donne con un tatuaggio visibile sembrano scegliere di vestire l’handicap insito in una tale decorazione, lanciando una sfida alla società e ai suoi pregiudizi, che nonostante il giudizio negativo, sembra riconoscere loro il carattere e la forza di questa scelta.

Ma la trasgressione provoca reazioni diverse negli uomini e nelle donne non tatuati: mentre le donne sembrano più sensibili degli uomini alla dimensione del tatuaggio che la donna sceglie di sfoggiare, gli uomini non ne sembrano particolarmente influenzati quando giudicano la donna tatuata. Il loro giudizio è negativo a priori, come se non venisse valutata tanto la dimensione della trasgressione quanto la trasgressione in sé.

Non solo: anche gli uomini e le donne tatuati non reagiscono allo stesso modo di fronte a un tatuaggio grande esposto da una donna. Mentre le seconde non esprimono un giudizio negativo, i primi mostrano di condividere la stessa opinione negativa espressa dagli uomini non tatuati. Sembra avvenire, come affermano Hawkes e collaboratori, uno scontro tra un movimento di affiliazione ed una tendenza sessista di vivere la percezione dello stimolo. La dimensione del tatuaggio sembra non cambiare il giudizio delle donne che condividono il fatto di avere anch’esse un tatuaggio, mentre nel caso degli uomini il senso di condivisione viene spezzato, travolto dal modo della donna di vivere il tatuaggio in modo più evidente (Hawkes, 2004).

Lo stesso Douglas (2002) nel suo lavoro mostra come i giudizi verso le donne tatuate tendano ad essere sempre più negativi rispetto a quelli attribuiti alle donne non tatuate: la modifica dell’immagine di una ragazza alla quale è stato aggiunto un drago nero come tatuaggio sulla parte alta del braccio è bastata per farle attribuire dal campione di riferimento determinati aggettivi piuttosto che altri.

Lo stimolo modificato, una ragazza di 24 anni tatuata, veniva immaginato dai partecipanti come una donna meno sportiva, meno motivata, meno onesta, meno generosa e intelligente, meno religiosa e, non ultimo, veniva giudicata come meno attraente rispetto alla stessa ragazza che veniva vista da un altro campione di riferimento senza tatuaggio (Douglas, 2002).

Anche l’esperimento di Seiter (2005) sembra andare nella stessa direzione dei precedenti. Qui i rispondenti giudicavano le ragazze tatuate delle immagini che venivano loro presentate, come meno competenti e meno socievoli rispetto alle donne non tatuate.

Ma i pregiudizi sembrano toccare anche il comportamento sessuale delle persone tatuate.

L’esperimento di Swami (2007) combinava due variabili diverse, quali il colore dei capelli e la presenza o meno di tatuaggi, nei disegni di donne che venivano presentati ad un pubblico maschile, in modo da scoprirne i pregiudizi. In base alle combinazioni proposte i rispondenti dovevano definirne il livello di attraenza fisica, l’attitudine verso la promiscuità e la quantità di alcool che le donne degli stimoli usavano consumare in una serata tipica: è emerso che alle donne tatuate venivano associate maggiori tendenze verso la promiscuità, un maggior uso di alcool e venivano giudicate meno attraenti. Tali giudizi diventavano via via più negativi se il numero di tatuaggi dello stimolo aumentava. Inoltre, alle ragazze illustrate con i capelli biondi venivano attribuiti giudizi più negativi rispetto alle ragazze brune (Swami, 2007).

Il giudizio negativo riguardo la bellezza delle donne tatuate non è stato confermato dall’esperimento di Guéguen (2013), il quale ha invece rinforzato l’evidenza sul pregiudizio della promiscuità. L’esperimento di Guéguen ha mostrato che tale pregiudizio sembrava condiviso dagli uomini fino ad incentivarli in maniera maggiore nel conoscere le ragazze tatuate. L’esperimento si è svolto in alcune spiagge francesi durante l’estate. Sono state scelte delle ragazze senza tatuaggi e, in maniera casuale, è stato applicato ad alcune di queste un tatuaggio provvisorio che rappresentava una farfalla nella zona bassa della schiena. Sia alle ragazze tatuate sia a quelle non tatuate è stato richiesto di sdraiarsi in spiaggia, fingendo di leggere un libro. Ripetendo l’esperimento numerose volte in spiagge diverse è stato notato un più rapido approccio degli uomini verso le ragazze con il tatuaggio rispetto a quelle senza. Conseguentemente è stata rilevata negli uomini che si erano avvicinati alle donne con il tatuaggio la convinzione di godere di una maggiore probabilità di ottenere un appuntamento e di avere un rapporto sessuale al primo incontro, rispetto agli uomini che si erano avvicinati alle ragazze senza tatuaggio. Tale convinzione, legata al pregiudizio che le donne tatuate siano più spregiudicate a livello sessuale, ha messo in moto un determinato comportamento negli uomini.

Tuttavia, la scelta e il modo dell’uomo di approcciare una donna sono guidati da un insieme complesso di componenti: cercando di immaginarne alcune possiamo pensare che l’uomo dia attenzione a molti elementi con i quali la donna comunica la propria personalità e le proprie attitudini, come ad esempio i prodotti cosmetici (Cash et al., 1989; Jacob et al., 2009), i vestiti (Abbey, 1987; Abbey et al., 1987; Guéguen, 2011b; Koukounas & Letch, 2001; Shotland & Craig, 1988), il colore dei capelli (Guéguen & Lamy, 2009; Swami & Barrett, 2011) e persino i tatuaggi. Tutti questi e molti altri rappresentano degli indizi che l’uomo capta e utilizza nel generare il proprio giudizio riguardo a una donna. Giudizio che influenzerà a sua volta, come già sottolineato, il suo comportamento, selezionando in base al proprio orientamento socio-sessuale una donna che egli immagina possedere determinate caratteristiche piuttosto che altre.

Citando la psicologia evoluzionista, la donna consapevole dei pregiudizi che ruotano attorno a determinate caratteristiche, sceglierebbe di vestire il tatuaggio per attrarre un maggior numero di uomini così da avere la possibilità di scegliere il migliore tra i tanti (Greer & Buss, 1994). Parimenti, l’uomo punterebbe alle donne che egli crede essere più recettive a livello sessuale per aumentare la possibilità di disseminare i propri geni (Buss & Schmitt, 1993). La consapevolezza della donna su tali pregiudizi spingerebbe ancor di più gli uomini a focalizzarsi verso donne che esibiscono tali segnali.

Ma se consideriamo che la seduzione è un gioco a volte fine a sé stesso, e che gli obiettivi relazionali non sono scolpiti nella pietra ma cambiano anche in base alla persona che abbiamo di fronte, difficilmente possiamo immaginare una realtà così meccanica e automatica. Molto spesso tali pregiudizi fanno muovere le persone verso vicoli ciechi e solo l’essere giunte di fronte ad un muro le costringerà a capire che la persona che stavano seguendo era altro da come l’avevano immaginata e che realtà e apparenza non si sovrappongono quasi mai perfettamente.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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