L’impulsività è definita come la ‘mancanza di riflessione prima di fare o dire qualcosa‘, la ‘tendenza a seguire i propri impulsi‘ (Cattana e Nesci, 2003, pp. 366-367).
Il DSM-5 (APA, 2013) definisce l’impulsività, o un comportamento impulsivo, come un’azione non lungimirante espressa prematuramente, inappropriata per la situazione, rischiosa e associata a esiti indesiderabili piuttosto che desiderabili.
Questa tendenza è considerata una caratteristica transdiagnostica di molti disturbi mentali, un tratto associato alla psicopatologia (Moeller et al., 2001; Stanford et al., 2009). I primi studi misurarono l’impulsività attraverso la somministrazione di questionari auto-valutativi. Inoltre, l’eterogeneità di questo costrutto ha limitato la traduzione dei risultati ottenuti e la sua definizione specifica all’interno della pratica clinica.
Le neuroscienze hanno delineato un modello dell’impulsività che comprende due costrutti separati e sovrapposti. Il controllo inibitorio include un deficit nell’inibizione motoria (‘inibizione della risposta’): quest’ultima è la capacità di inibire le risposte agli stimoli e coinvolge la corteccia frontale interna (IFC) e l’area motoria supplementare (SMA) (Aron, 2011). In secondo luogo, l’inibizione cognitiva – cioè ‘l’arresto o l’annullamento di un processo mentale, in tutto o in parte, con o senza intenzione’ (Aron, 2007) – coinvolge la corteccia frontale inferiore (McHugh e Balaratnasingam, 2018).
Recenti ricerche sulla personalità – che passano da un campo categorico ad una panoramica dimensionale dei disturbi di personalità (Newton-Howes et al., 2015) – evidenziano come i tratti possano essere maggiormente plastici e come la loro espressione rischi di essere peggiorata da fattori stressanti di carattere psicosociale. Tale attenzione alle dimensioni trans-diagnostiche della psicopatologia ha portato a un rinnovato interesse per l’impulsività, costrutto ad oggi studiato anche mediante le tecniche di neuroimaging e metodi di misurazione comportamentali e neurocognitivi (McHugh e Balaratnasingam, 2018).
McHugh e Balaratnasingam (2018) hanno fornito una panoramica del fenomeno dell’impulsività attraverso una revisione, per spiegare come sia associata ai disturbi di personalità e quali siano delle implicazioni funzionali per il suo trattamento (McHugh e Balaratnasingam, 2018).
Kable e Glimcher (2007) evidenziano stretti collegamenti e una sovrapposizione tra le varie reti coinvolte sia in aspetti del controllo inibitorio che nella valutazione della ricompensa, riguardante la tendenza a scegliere ricompense più piccole ottenute nell’immediato rispetto a ricompense più sostanziose fornite in un secondo tempo (Kable e Glimcher, 2007).
Steinberg (2007) ha descritto un sistema duale riguardante il modello di controllo cognitivo e il processo decisionale socio emotivo legato ai sistemi di ricompensa: ci sono prove che il controllo inibitorio aumenti costantemente dall’infanzia all’età adulta. Al contrario, sembra che il processo decisionale legato all’impulsività segua una traiettoria differente durante la fase adolescenziale: durante questa fase infatti tale processo non garantisce certezze predittive (Scheres et al., 2014; Tymula et al., 2012).
Dai risultati della review sopra citata emerge che il controllo inibitorio e la valutazione della ricompensa sono costrutti correlati.
La revisione di McHugh (2018) evidenzia come l’impulsività sia una caratteristica diagnostica del disturbo borderline (BPD) e di altri disturbi di personalità, come il disturbo antisociale (ASPD). È possibile che l’impulsività sia una mediatrice dell’associazione tra diversi disturbi di personalità e possibili esiti, inclusi comportamenti suicidari, la dipendenza da sostanze, una disfunzione interpersonale o di altri indicatori sociali come l’occupazione (McHugh e Balaratnasingam, 2018). La tendenza a cercare di ottenere ricompense immediate è una caratteristica del disturbo borderline di personalità (BPD) indipendentemente dalle condizioni di stress percepite dal soggetto (McHugh e Balaratnasingam, 2018). Per quanto riguarda i deficit legati all’inibizione della risposta, anch’essi sono risultati associati al BPD e peggiorano in condizioni di stress elevato. I risultati indicano come l’impulsività di stato abbia un ruolo chiave nell’espressione e nella manifestazione di un comportamento impulsivo (McHugh e Balaratnasingam, 2018). Comprendere l’impulsività in termini di meccanismi comportamentali e di processo decisionale di un individuo offre l’opportunità di avere nuovi obiettivi utili per la diagnosi e il trattamento dei disturbi di personalità. Studi esplorativi hanno confermato che tali informazioni potrebbero essere utilizzate per misurare la risposta al trattamento (McHugh e Balaratnasingam, 2018).