Studi sul bilinguismo mostrano come l’acquisizione di due lingue dalla nascita e quindi l’esposizione linguistica arricchita si traducano in una competenza equivalente in entrambe le lingue apprese e cambiamenti a livello di neuroplasticità.
Il cervello mostra una notevole capacità di subire cambiamenti strutturali e funzionali in risposta alle esperienze che caratterizzano la nostra vita. Le evidenze scientifiche suggeriscono che in molti domini dell’acquisizione di nuove abilità la manifestazione di questa neuroplasticità dipende dal periodo della vita in cui inizia l’apprendimento (Berken, Gracco & Klein, 2017). Il bilinguismo fornisce un modello ottimale per evidenziare le differenze esistenti tra l’acquisizione di una lingua dalla nascita, con la creazione del circuito cerebrale per il linguaggio, e l’apprendimento tardivo di una nuova lingua, quando i circuiti relativi alla prima lingua sono già ben sviluppati.
La review di Berken e colleghi esamina alcune delle conoscenze esistenti sui periodi ottimali nello sviluppo del linguaggio, prestando particolare attenzione al raggiungimento della fonologia di tipo nativo, o lingua madre. Berken e collaboratori si sono concentrati sulle differenze nella struttura e nella funzione del cervello tra bilingui simultanei, che hanno quindi appreso due lingue alla nascita, e bilingui sequenziali, che hanno invece imparato la seconda lingua quando la prima era già stata consolidata. Queste tipologie di ricerche possono essere svolte grazie al neuroimaging, in cui si utilizzano tecnologie che consentono di studiare la relazione tra l’attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni. Tra i principali strumenti di neuroimaging impiegati nelle ricerche sul bilinguismo troviamo la tomografia a emissione di positroni (Positron Emission Tomography, PET), la risonanza magnetica funzionale (functional Magnetic resonance imaging, fMRI) e la risonanza magnetica strutturale (Magnetic Resonange Imaging, MRI).
Lenneberg (1967) rese popolare l’osservazione di Penfield e Roberts (1959), secondo cui l’acquisizione di una capacità linguistica di livello ‘madrelingua’ fosse limitata dall’età, diventando progressivamente più difficile da raggiungere dopo un periodo critico che si ritiene termini con la pubertà, riflettendo un grado significativo di sviluppo del cervello.
È noto che i neonati preferiscano ascoltare il parlato rispetto ad altri suoni (Vouloumanos & Werker, 2004; Moon, Cooper, & Fifer, 1993), e, a questo proposito, i bambini esposti ad un certo linguaggio dalla nascita dimostrano, in un primo momento, una capacità universale di percepire i fonemi di tutte le lingue (Kuhl, 2010; Werker e Tees, 1984). All’età di 6 mesi, tuttavia, la capacità del bambino di discriminare i contrasti fonemici non nativi inizia a diminuire, inizialmente per le vocali e successivamente per le consonanti (Kuhl, 2004; Kuhl et al., 1992). Dai 9 ai 10 mesi di età, le vocalizzazioni prelinguistiche del bambino somigliano molto alla fonetica della loro lingua madre (Poulin-Dubois & Goodz, 2001). Entro i 12 mesi, la capacità fonetica del bambino è sintonizzata per acquisire la lingua a cui è stato esposto (Kuhl & Rivera-Gaxiola, 2008; Werker & Lalonde, 1988), facendo sì che l’accento del bambino diventi indistinguibile da quello di un madrelingua (Simmonds et al., 2011a). Tali osservazioni supportano l’esistenza di un periodo sensibile nell’acquisizione del linguaggio da parte del bambino, specialmente per quanto riguarda lo sviluppo fonologico; esistono inoltre prove abbondanti per una correlazione tra l’età di acquisizione e la competenza linguistica finale (Newport, Bevelier, & Neville, 2001; Moyer, 1999).
Per quanto riguarda l’acquisizione di due lingue dalla nascita, sembra che l’esposizione linguistica arricchita si traduca in una competenza equivalente in entrambe le lingue apprese. A livello microscopico, un ambiente bilingue durante il periodo neonatale può provocare una cascata di eventi biochimici che aumentano la produzione dei substrati cellulari che regolano la neuroplasticità, nonché la durata della loro sintesi (Berken et al., 2017). Ciò a sua volta, potrebbe provocare cambiamenti macrostrutturali che si manifestano come un’attivazione efficiente durante il discorso, un aumento delle dimensioni di alcune aree cerebrali del linguaggio e delle connessioni più forti tra regioni cerebrali distribuite all’interno della rete linguistica. Tale neuroplasticità avviene al fine di gestire e monitorare ciascuna lingua e per prevenire interferenze tra le due (Berken et al., 2017).
I modelli di sviluppo del linguaggio hanno quindi rivelato che quando due lingue vengono acquisite contemporaneamente dalla nascita, la funzione e la struttura del cervello sembrano essere organizzate in modo più efficace. Tuttavia, quando l’apprendimento di una seconda lingua si sviluppa più tardi nella vita, la capacità di cambiamento neuroplastico sembra essere più limitata (Berken et al., 2017): un’efficace acquisizione della seconda lingua potrebbe necessitare di più tempo ed impegno.