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Due identità sociali così lontanamente vicine – Uno sguardo pedagogico verso educatori e soggetti ‘difficili’

Gli educatori professionali si trovano ad affrontare quotidiane sfide volte a soddisfare le esigenze della società. La schematica teoria non basta più

Di Elena Veronese

Pubblicato il 16 Dic. 2020

Con questo elaborato ci si propone di illustrare i motivi e le modalità attraverso cui il legame tra educatori e ‘pazienti’ continua ad esistere e a consolidarsi anche dopo il termine del processo educativo.

 

Introduzione

La ricerca verrà suddivisa in 3 sezioni: nella prima verrà delineata la figura dell’educatore-pedagogista, messa a confronto con i ‘soggetti difficili’ con i quali è chiamata ad interagire, nella seconda sezione verranno evidenziate le difficoltà che gli educatori stessi trovano nel rapportarsi con tali soggetti e la terza sezione sarà dedicata al rapporto che l’educatore instaura con il ‘ragazzo (o adulto) difficile’ (Bertolini, Caronia, Barone, 1993) e ai fattori che permettono di mantenerlo vivo o, addirittura, rafforzarlo.

La pedagogia sociale è costituita da un fitta e specifica articolazione interna. La cura è uno dei paradigmi centrali di essa. È uno strumento di dialogo e di scoperta e si propone di individuare le procedure terapeutiche per sostenere e aiutare i soggetti. (Cambi, Certini, Nesti, 2010). Risulta dunque evidente come la cura sia una premessa pedagogica per affrontare il tema dei legami sociali e interpersonali dei soggetti devianti e emarginati.

L’educatore: ruolo, carattere e responsabilità

Essere educatore nel XXI secolo

Negli ultimi decenni la nostra società è stata caratterizzata a livello mondiale da una sempre maggiore propensione all’individualismo e alla distruzione dell’identità collettiva a causa del multiculturalismo.

In questo contesto, quindi, figure professionali come pedagogisti, psicologi e formatori risultano di fondamentale importanza per poter dare un concreto aiuto ai soggetti che non si sentono parte integrante della società a cui appartengono.

L’educatore, infatti, è chiamato ad affrontare quotidiane sfide volte a soddisfare le esigenze della società odierna. La schematica applicazione della teoria, oggi non basta più. I soggetti si rivolgono agli educatori certi di trovare in essi figure salvatrici.

Sebbene sia evidente l’utopia di tale richiesta, i professionisti ascoltano e accolgono i bisogni degli individui, cercando di elaborare nuove strategie di applicazione dei processi educativi.

Esiste un rischio di banalizzazione del lavoro educativo che va contrastato realizzando un profilo professionale originale in complementarietà con altri, sottolineando il ruolo dell’educatore come agente di promozione umana, individuale e collettiva. […].

L’educatore ‘ideale’ non esiste. Esiste, però, chi cerca di comprendere la realtà, facendo valere in egual modo i tre profili o modelli di educatori: religioso, tecnico e politico. E la sua vera efficacia sta nella capacità di interpretare, osservare, criticare, traendone un’elaborazione critica e approfondita (Santerini, Triani, 2007).

Responsabilità:

La vita ci pone in continuazione delle domande alle quali siamo chiamati a rispondere talvolta usando le parole, talvolta i gesti. Vivere, dunque, significa assumersi la grande responsabilità di rispondere adeguatamente a tali domande anche se spesso, una risposta non la si trova. La responsabilità è il fulcro dell’esperienza di ciascuno e ha il dovere di valorizzare il processo di consapevolezza di sé.

L’educatore, infatti, è chiamato a tenere una particolare coscienziosità in relazione a diversi fattori: la professione, la società, il soggetto ‘difficile’, le famiglie e l’équipe alla quale fa riferimento. Ha il diritto e il dovere di aggiornarsi e confrontarsi professionalmente al fine di arricchire le proprie conoscenze e di programmare nuove tecniche ed efficaci processi educativi. Consapevoli del loro ruolo, devono attenersi ai principi della società e ai servizi che la stessa offre, mantenendo un fermo riferimento alle decisioni elaborate dall’équipe della quale fanno parte.

La responsabilità principale che hanno da formatori, è quella nei confronti del soggetto: il rispetto della sua personalità e dignità e la presa in considerazione di tutti i loro diritti e libertà, obbligano gli educatori professionali ad instaurare un legame che non tenda verso una dipendenza affettiva.

Incontro-scontro tra due identità: quando le esperienze passate diventano ostacoli

Instaurare un ‘legame indipendente’ con i soggetti ‘difficili’ (Bertolini, 1993).

L’incontro tra educatori e soggetti difficili è un’azione che richiede tempo e attenzioni. Come diceva Bertolini (1993), c’è bisogno di un riconoscimento reciproco. Bisogna oltrepassare i formalismi ed eliminare i pregiudizi esistenti. Inoltre, sebbene il fine che emerge dall’approccio dell’educatore nei confronti del soggetto sembrerebbe quello di conoscerlo, il vero scopo è quello di comprendere la sua persona, il suo vissuto e la sua visione del mondo. Questo processo è ostacolato dall’evidente presenza di una relazione asimmetrica all’interno della quale il soggetto si sente debole, inferiore e vulnerabile rispetto alla figura dell’educatore e ciò può provocare in lui uno status di ansia e inadeguatezza. Proprio per questo motivo quindi, il formatore dev’essere in grado di non farsi influenzare da ciò che già sa riguardo al soggetto, cercando di metterlo a suo agio al fine di instaurare un legame che possa aiutare entrambi a fidarsi reciprocamente. Un legame che dev’essere al tempo stesso simbolo di libertà di espressione e di rispetto. Nessuno, in tale relazione, deve dare più di quanto non dia l’altro così da evitare che qualcuno ne approfitti o si prenda gioco della disponibilità o fiducia dell’altra persona. Sia l’educatore che il ragazzo difficile hanno bisogno di conferme da parte dell’interlocutore e ciò è possibile solo con un costante e permanente impegno, sia nel rapporto intra e inter personale che in quello impersonale, fatto di formalità e regole.

La pedagogia come prima medicina sociale

La pedagogia come completamento della medicina

Negli ultimi anni, l’educazione viene associata a connotazioni sempre più mediche e sempre meno psico-pedagogiche. Questa situazione, però, sta mettendo in seria difficoltà le figure professionali che si occupano di pazienti ‘malati’ o vulnerabili poiché si trovano completamente competenti e istruite nei saperi del loro campo d’intervento ma privi di qualità umane utili ad instaurare incontri e confronti efficaci con i soggetti con i quali si relazionano. In accordo con il pensiero di Micaela Castiglioni (2016), tra due scienze (medicina e pedagogia) che si occupano dell’uomo in quanto essere nel e in relazione con il mondo, deve per forza esistere un punto d’incontro. Ogni disciplina, empirica, pratica o razionale essa sia, pone necessariamente le sue basi su aspetti legati alla propria unicità, profondità e veridicità. Il medico che viene indottrinato e accompagnato verso un percorso di apprensione di determinati processi e di regole prefissate si trova impreparato nell’esatto momento in cui deve relazionarsi con i suoi pazienti. Questi ultimi chiedono una consulenza completa, che comprenda sia gli aspetti tecnici e teorici che quelli emotivi e spesso, proprio a causa di questa richiesta, la relazione medico-paziente risulta tormentata o anche inesistente.

Le medical humanities come nuova educazione alle cure

La cultura dell’educazione medica ha il dovere di formare le figure mediche future. Inoltre, viene spesso identificato come una delle principali cause del fallimento della cultura democratica medica poiché viene mostrata esclusivamente traverso canali tecnici e schematici, privi di sensibilità o empatia. Tale situazione evidenzia parecchi aspetti negativi tra i quali gli interessi politico-economici e l’orientamento esclusivo ai risultati.

Un tempo, i Romani avrebbero definito così un buon medico: ‘vir bonus, sanando peritus’, una persona buona ed esperta nel curare. Oggi, però, un medico competente è tutt’altro: sa associare alla scienza, la coscienza, agendo in principio di efficacia delle cure nel rispetto dell’autonomia della persona […] (Codice deontologico, art. 6).

Risulta dunque di fondamentale importanza promuovere il rapporto tra la pratica medica e l’ambito socio-pedagogico. Una soluzione è stata trovata alla fine degli anni ’60 del Novecento, con l’introduzione delle Medical humanities. Esse sono nate con il compito di ricondurre le pratiche delle sanità alle loro finalità originarie: essere la ‘cura’ per gli uomini. Attraverso la loro multidisciplinarietà, intendono proporre processi e tecniche utili a comprendere e interiorizzare al massimo sia la cultura medica che quella pedagogica all’interno di uno stesso contesto di cura degli individui.

Conclusione

Questo breve elaborato, tra le sue trattazioni, ha cercato di inquadrare quali sono i principali ostacoli e le principali differenze che talvolta non permettono un’efficace relazione tra medico-educatore e il paziente, sia esso in età giovanile che adulta. La diversità del proprio vissuto, le scelte di vita e la posizione sociale sono fattori che influenzano in maniera importante i processi educativi. Ciononostante, se gli educatori professionali si pongono al soggetto con il quale interloquiscono in maniera empatica e comprensiva, risulterà molto più semplice ed immediata la nascita e lo sviluppo di un legame inter-personale tra loro. Sarà, certamente, un rapporto basato su un equilibrio tra tecnicismi ed emozioni ma porterà, gradualmente, il soggetto ‘difficile’ a relazionarsi con l’educatore in maniera sempre più sincera e completa, ponendo crescente fiducia nella figura professionale.

Come già accennato nell’introduzione, la pedagogia sociale pone le sue radici nella pedagogia di cura. Al termine dell’analisi condotta in questo elaborato, si può oggettivamente dedurre che l’aspetto sociale all’interno di qualsiasi pratica educativo- riabilitativa risulta necessario al fine di ottenere un processo di cambiamento e miglioramento efficace.

Partendo dalla prevenzione, la pedagogia di cura si impegna ad evidenziare ogni bisogno o fattore limitante per il soggetto ‘difficile’ e attua un lavoro di protezione, aiuto e promozione del benessere intra- e inter- personale.

L’interazione tra due individui, qualsiasi sia la loro posizione sociale, non deve basarsi solo su un rapporto di aiuto-intervento bensì deve poter essere, per tutta la sua durata, momento di scambio, condivisione e fiducia reciproca.

È doveroso considerare l’impronta prettamente sociale dell’analisi condotta, in quanto ogni campo formativo porta con sé fattori esterni derivanti da culture, tempi e comunità diverse.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bertolini, P., Caronia, L., Barone, P., & Palmieri, C. (1993). Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee d’intervento. FrancoAngeli.
  • Certini, R., Cambi, F., & Nesti, R. (2010). Dimensioni della pedagogia sociale: struttura, percorsi, funzione. Carocci.
  • Castiglioni, M. (2016, June). Pedagogia e Medicina a confronto. Per un progetto formativo e di cura narrativo-autobiografico nei con-testi medico-sanitari. https:// doi.org/10.12897/01.00137. Disponibile qui.
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