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La doppia porta del sogno occultata da Freud e Jung

E' curioso constatare come Jung e Freud abbiano sorvolato sulla duplicità dei sogni, uno dei cardini più rilevanti dell’antica onirologia

Di Baldo Lami

Pubblicato il 01 Ott. 2020

È a dir poco incredibile e stupefacente che i due più grandi interpreti della psicologia del profondo abbiamo taciuto sul cardine più rilevante dell’antica onirologia. Cerchiamo di capirne le ragioni.

Due sono le porte

Della vastità e profondità della materia siderale dei sogni, apparsa fin dall’inizio alquanto misteriosa, oscura, quanto spesso sorprendentemente significante, molto si è sicuramente illuminato nel tempo, ma molto si trova ancora avvolto nel più fitto mistero, come quello che qui intendo affrontare, che è rimasto stranamente eluso dall’indagine onirologica della psicoanalisi.

Se lo fosse stato, si sarebbe scoperta per tempo, proprio attraverso i sogni, alcuni in particolare, la magnifica tela della complessità del vivente, la matrice intersoggettiva in cui tutti siamo tramati, palpitanti attraversamenti e incroci. Molto prima che si fosse imposta all’attenzione. Ma soprattutto molto tempo prima che si fosse oggettivata nella rete telematica di internet a livello di pura virtualità.

Mi riferisco alla ben nota teoria della duplicità del sogno vigente in tutta l’antichità classica e che Omero, nel diciannovesimo libro dell’Odissea, ha così brillantemente sintetizzato facendola esporre a Penelope, essendo lei la “veggente” del sogno (delle oche e dell’aquila) raccontato a Ulisse, che nei panni di uno straniero suo ospite non le si era ancora rivelato al suo ritorno a Itaca. Già, Penelope e la tela.

Per loro natura i sogni sono inesplicabili e portano messaggi difficili da interpretare, né ogni cosa si compie per i mortali. Due sono le porte dei sogni immateriali, una di corno e l’altra d’avorio; e quelli che escono attraverso l’avorio illudono, perché portano messaggi che non si realizzano, mentre quelli che procedono per la porta di polito corno compiono cose vere, ogni volta che un mortale li vede. (Omero)

Se “un mortale li vede”, infatti, i greci i sogni li vedevano, non li facevano. Se poi premonivano o meno e se la premonizione era fondata o falsa, solo il tempo poteva confermarlo. La qualifica di “illusori”, ingannevoli o addirittura falsi, era pertanto messa in rapporto a quella di “veri”, quando si constatava che tali sogni non si realizzavano, per cui venivano attribuiti alla sola psiche e non passanti attraverso di essa: prodotti evanescenti e caduchi delle sole passioni umane, chimere, fantasmi, effimere esteriorizzazioni fenomeniche. Ma gli antichi interpreti non potevano discriminarli in anticipo.

Omero aveva già toccato il motivo della doppia porta nel tredicesimo libro, quando racconta del misterioso antro sito nell’isola di Itaca in cui si aprivano due porte, quella rivolta a nord era “la porta degli uomini”, da cui discendono i mortali, mentre quella rivolta a sud era “la porta degli dei”, appannaggio degli immortali. Allusione alle porte solstiziali associate alle costellazioni del Cancro e del Capricorno, tradizionalmente cariche di significati iniziatici.

Virgilio riprende nel VI libro dell’Eneide il tema omerico, riferito anche da Platone, con la precisazione che le due porte si trovano nell’Ade, dove Enea con la Sibilla Cumana si reca per incontrare il padre Anchise per pietà filiale e per conoscere il futuro della sua missione civilizzatrice, insieme alla curiosissima notazione che lo stesso viene fatto tornare nel mondo dei vivi passando dalla porta d’avorio, quella dei sogni illusori. Cosa che ha fatto scervellare gli esegeti nel tentativo di capirne il significato, che va dal pensiero più banale che Virgilio possa avere tranquillamente sbagliato porta, un “errore di battitura” insomma, a quello più forbito che abbia voluto sottilmente alludere all’idea che forse anche tutto il mondo dell’aldilà sia fasullo. Tutt’altro, l’allusione, abbastanza esplicita mi pare, è che tutto il mondo di qua lo sia, illusorio, effimero, in quanto realtà profana dell’esistenza. Solo accostandosi al sacro, attraverso l’intermediazione simbolica che si compie nell’unità di mente e cuore, si può percepire qualcosa di vero.

La mission psicoanalitica

E arriviamo al punto. È veramente curioso e stupefacente che i due principali artefici della psicologia del profondo, che con la loro sterminata produzione saggistica hanno dimostrato di possedere un background culturale veramente fuori dal comune, con un interesse spiccato e appassionato per il mito e l’antico, abbiano sorvolato su questo passo omerico che testimonia uno dei cardini più rilevanti dell’antica onirologia. Che conoscevano oltretutto molto bene. Chiaro segno di imbarazzo? Certamente. Ma a un secolo di distanza possiamo inferire il motivo profondo di questa apparente omissione.

Occorreva compiere un tradimento, ma contemporaneamente un “incesto”, che solo a pensarci fa venire i brividi, perché avrebbe potuto avere ricadute incalcolabili per tutto il genere umano. Si trattava di tradire proprio quel grande amore, dire addio alla vecchia e cara tradizione e narrazione spirituale e mitopoietica dell’uomo e del mondo, voltare pagina. Ma nello stesso tempo compiere con lei un incesto simbolico, foriero di un passaggio evolutivo a dir poco epocale. Perché proprio da queste portentose radici hanno tratto il novus che premeva per essere liberato. E osare: riscrivere i processi della mente nella sua totalità, che poteva voler dire cambiarla per sempre.

Così, quasi avessero finemente accordato le loro menti sul passo da compiere, hanno operato la stessa scelta di campo, uniti, pur divisi, in una comune mission per fondare la nuova scienza delle visioni dell’uomo, che sono sempre impronte memorabili di civiltà: se l’antica onirologia intendeva occuparsi solo dei sogni esterni alla psiche (porta di corno), considerati veraci, la nuova onirologia avrebbe dovuto occuparsi solo dei sogni interni alla psiche (porta d’avorio), considerati tradizionalmente illusori, anche perché è da questa e solo da questa che provengono tutti i sogni, veraci compresi. Era tempo. Ma con un diverso spin tra di loro, polarmente opposto: non c’è divino che non possa essere ricondotto all’umano, in Freud; non c’è umano che non possa essere ricondotto al divino, in Jung.

Salvo ricreare la dualità delle due porte all’interno dell’opzione psichica. Infatti, non che i due insigni maestri non si fossero mai occupati dei sogni che sarebbero stati considerati uscenti dalla porta di corno, tra cui possiamo annoverare un’ampia gamma di eventi come i sogni telepatici, premonitori, iniziatici, precognitivi, diagnostici, prognostici, creativi, incubatori, di guarigione, ecc. Tutt’altro. Jung in particolare li studiò lungamente identificandoli come “grandi sogni”, sogni prospettici o archetipici, poiché dovuti all’irruzione di un’immagine dell’inconscio collettivo a forte tonalità emotiva. A fronte dei sogni più comuni, quotidiani, sempre più frequenti in analisi, su cui l’opera terapeutica cerca di attuare il passaggio dal piano letteral-allegorico a quello simbolico, unificante e potenzialmente trasformativo. Ma anche Freud ha accennato a una funzione prospettica del sogno, oltre ad avere distinto i sogni dal basso, provocati dalla forza di un desiderio inconscio rimosso, dai sogni dall’alto, che sono connessi a idee o a intenzioni dello stato di veglia. Corrispondenti a un’importante divisione già fatta dallo stesso in precedenza tra i sogni derivati dall’Es e i sogni derivati dall’Io.

Ma tutta questa grandiosa e variegata fenomenologia onirica doveva comunque essere di esclusiva produzione interna, nessun sogno poteva considerarsi totalmente esterno ed estraneo alla psiche. Nessun sogno mendace. Numerosi furono i vantaggi fino a tutto il moderno, che in altra sede ho chiamato neomitico, ma gli svantaggi hanno cominciato a farsi sentire con la postmodernità, cioè col postmitico.

Per cui, per affrontare il sottile ma potente e pervasivo vacuum del nostro tempo, bisognerà recuperare l’immagine dell’antico e quanto mai avveniristico portale onirico, rivalutando e risignificando la grande intuizione immaginale che l’ha creata riguardo il significato simbolico di quel particolare vuoto, o mancanza, da cui provengono tutti i sogni, ombre che sono di due tipi come due sono le porte, in modo che non si con-fondano tra loro a tutto vantaggio dell’Uno, l’identico, lo stesso, l’Io, in cui l’Altro sta collassando.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Artemidoro, Il libro dei sogni, Adelphi, Milano 1975.
  • William V. Harris, Due son le porte dei sogni. L'esperienza onirica nel mondo antico, Laterza, Roma 2013.
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