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Le abbuffate nei disturbi alimentari maschili

I disturbi alimentari maschili con abbuffate potrebbero essere sottostimati per la diversa percezione degli uomini della sensazione di perdere il controllo

Di Simone Cadeo

Pubblicato il 30 Ott. 2020

Aggiornato il 08 Feb. 2024 15:01

Alcuni dati provenienti dalla ricerca suggeriscono che i maschi con disturbi alimentari potrebbero avere una percezione diversa degli episodi di abbuffata rispetto alla controparte femminile.

 

Nell’ambito dei disturbi alimentari con abbuffata si intende ‘un episodio alimentare in cui una quantità oggettivamente grande – date le circostanze – viene ingerita. Il soggetto sperimenta durante l’episodio un marcato senso di perdita di controllo‘ (Fairburn, 2018). Sono comportamenti presenti in un sottogruppo di persone con disturbi del comportamento alimentare e derivano della rigida restrizione dietetica e la pressoché inevitabile rottura di quest’ultima. La risposta a questa percepita mancanza di autocontrollo sull’alimentazione è quella di reagire negativamente e abbandonare temporaneamente la restrizione calorica (La Mela & Maglietta, 2011). Le abbuffate sono eventi altamente dannosi per il paziente in quanto sono seguiti da sentimenti di vergogna e senso di colpa che aggravano la psicopatologia, in particolare quando sono seguiti da vomito autoindotto e altri comportamenti di compenso. Inoltre particolari eventi di vita e cambiamenti emotivi possono contribuire alla rottura delle regole dietetiche e, dal momento che l’abbuffata migliora temporaneamente il tono dell’umore, c’è il rischio che possa diventare un mezzo disfunzionale per far fronte a tali difficoltà (Dalle Grave, Calugi & Sartirana, 2018).

Gli uomini potrebbero essere sottostimati per qualsiasi diagnosi di disturbo alimentare, in quanto reticenti a chiedere aiuto per una patologia considerata tipicamente femminile (Greenberg & Schoen, 2008), ma più nello specifico tale disparità di genere potrebbe anche essere dovuta a una differente percezione degli uomini nei riguardi degli episodi di abbuffata e, in particolare, il criterio diagnostico riguardante la ‘sensazione di perdere il controllo’ potrebbe non riflettere il vissuto degli uomini.

In una recente ricerca sui disturbi alimentari maschili, Carey, Saules e Carr (2017) hanno intervistato 13 studenti maschi con obesità che soddisfacevano il criterio A1 del DSM 5 per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata: mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili. I partecipanti hanno riportato come il consumo di grandi porzioni di cibo fosse per loro associato alla mascolinità ed erano restii a correlare i propri episodi di iperalimentazione con la mancanza di controllo poiché non conforme al proprio ruolo di genere. Tuttavia dalle interviste emergeva, seppur in modo contraddittorio, una difficoltà a fermarsi durante questi episodi e notevoli criticità nel cambiare i propri pattern alimentari, associando questi comportamenti a una ‘mancanza di attenzione’. Inoltre gli studenti intervistati hanno riportato antecedenti emotivi che preannunciavano gli episodi di abbuffata, ma questi ultimi, a differenza della controparte femminile, non sembravano essere associati alla restrizione alimentare o alla rottura di una regola dietetica. Dalle interviste è inoltre emerso che questi episodi di iperalimentazione avevano conseguenze negative analoghe a quelle delle abbuffate, qual sentimenti di rabbia, colpa e tristezza, ma anche ripercussioni fisiche come ad esempio sensazioni di malessere addominale, letargia e disturbi del sonno. Infine la maggior parte dei partecipanti allo studio ha riportato insoddisfazione per il proprio corpo, associata al desiderio di essere magri e muscolosi con storie di esercizio fisico estremo come metodo di compenso.

Dai dati provenienti dalla ricerca sopracitata si può ipotizzare che i maschi affetti da un disturbo alimentare, caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffata, potrebbero essere sottostimati in quanto eludono il criterio diagnostico di perdita di controllo, poiché tale descrizione sarebbe in conflitto con il proprio ruolo di genere. Inoltre i maschi che si abbuffano tenderebbero a mascherare tali condotte poiché, secondo le loro narrazioni, il mangiare tanto è considerato ‘da uomini’. Tuttavia, come nei disturbi alimentari femminili, anche nei disturbi alimentari maschili gli episodi di abbuffata sarebbero preceduti e seguiti da vissuti emotivi intensi. In altre parole, nei maschi, gli episodi di abbuffata potrebbero essere più difficili da riportare all’interno di una richiesta d’aiuto e mascherati da condotte più accettabili per il proprio ruolo maschile.

In questa direzione si muove la lettura del fenomeno del ‘cheat meal’. Letteralmente significa ‘pasto sgarro’, è un termine diventato di uso comune che indica una situazione alimentare, solitamente settimanale, che ci si concede senza pensare alle regole della dieta che si sta seguendo. Nel dettaglio questa pratica si trova in quelle diete tipicamente maschili e riguardano abbuffate iperproteiche pensate per aumentare la massa muscolare alterando la funzione metabolica. Recentemente Pila e collaboratori (2017) hanno analizzato numerose fotografie caricate su diversi social network con l’hashtag #cheatmeal, individuando come aspetto rilevante di questi scatti le enormi quantità di cibo presentate come pasti, con volumi calorici ascrivibili a episodi di abbuffata oggettiva. Si consideri inoltre che gli uomini ricorrono al vomito e ai lassativi in misura minore rispetto alle donne, ma prediligono l’attività fisica come condotta compensatoria (Striegel-Moore et al., 2009), la quale risulta più socialmente accettabile e quindi più difficile da rilevare come elemento psicopatologico. Per concludere si segnala la necessità di valutare con attenzione la presenza di abbuffate nei maschi con disturbo alimentare, in quanto non sempre facili da individuare come tali; inoltre future prospettive di ricerca dovrebbero approfondire questo tema al fine di creare strumenti diagnostici che tengano conto delle differenze di genere nella percezione degli episodi di binge eating.

 


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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Carey J. B., Saules K. K., Carr M. M. (2017), “A qualitative analysis of men’s experiences of binge eating”, Appetite, 116: 184-195;
  • Dalle Grave R., Calugi S., Sartirana M. (2018), “Manuale di terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione nell’adolescenza (CBT-Ea)”, Positive Press.
  • Fairburn C. G. (2018), “La terapia-cognitiva comportamentale dei disturbi dell’alimentazione”, Edizioni Centro Studi Erickson;
  • Greenberg S.T. & Schoen E. (2008), “Males and Eating Disorders: Gender-Based Therapy for Eating Disorder Recovery”, Professional Psychology Research and Practice, 39(4): 464-471;
  • Ivezaj V, Saules K. K., Hoodin F., Alschuler K., Angelella N. E., Collings A. S., Saunders-Scott D., Wiedmann A. A. (2010) “The relationship between binge eating and weight status on depression, anxiety and body image among a diverse college sample: A focus on Bi/Multiracial women”, Eating Behaviours, 11(1): 18-24;
  • La Mela C. & Maglietta M. (2011), “Esperienze dissociative e disturbi dell’alimentazione: il ruolo di dissociazione e perfezionismo nell’alimentazione incontrollata”, Cognitivismo Clinico, 8(1): 27-46;
  • Pila A., Mond J. M., Griffiths S., Mitchison D., Murray S. B. (2017), “A thematic content analysis of #cheatmeal images on social media: Characterizing an emerging dietary trend”, International Journal of Eating Disorder, 50(6);
  • Saules K. K., Collings A. S., Hoodin F., Angelella N. E., Alschuler K., Ivezaj V., Saunders-Scott D., Wiedmann A. A. (2009) “The contribution of weight problem perception, BMI, gender, mood, and smoking status to binge eating among college students”, Eating Behaviours, 10(1): 1-9;
  • Striegel-Moore R., Rosselli F., Perrin N., DeBar L., Wilson T.G., May A., Kraemer H.C., (2009), “Gender difference in the prevalence of eating disorder Symptoms”. Eating Disorders; 42: 471-474
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