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Fino a che punto le persone sono disposte a sostenere le proprie menzogne?

Anche se spesso benefiche, le bugie comportano dei costi, in quanto violano la coerenza reale o percepita, uno dei fondamenti delle relazioni interpersonali

Di Catia Lo Russo

Pubblicato il 23 Set. 2020

Uno studio di pochi anni fa ha esaminato se, e in che misura, una persona che ha detto una bugia ha continuato a impegnarsi per mentire e se le sue azioni future sarebbero state influenzate da tale impegno anche a costo di rinunciare a qualche profitto.

 

Ci sono molte ragioni per cui le persone mentono: per ottenere benefici materiali, per impressionare, per salvarsi dall’imbarazzo o dal disagio, per evitare la punizione, per proteggere una relazione, o anche per beneficiare gli altri (attraverso le bugie bianche) (Vrij, 2000). Anche se spesso benefiche, le menzogne comportano dei costi, in quanto violano la coerenza reale o percepita, che è uno dei fondamenti delle relazioni interpersonali (Cialdini et al., 1995). Esse degradano la qualità delle informazioni trasmesse, diminuendo così la capacità di giungere a una decisione informata e di alta qualità (Lewicki, 1983), compromettono la comunicazione interpersonale (Grice, 1989), comportano costi psicologici interni al bugiardo (Mazar et al., 2008), infine, essere scoperti a mentire suscita emozioni negative che colpiscono entrambe le parti (Lewicki, 1983; Sagarin et al., 1998) e può portare ad azioni (come la punizione) contro il bugiardo (ad esempio, Lewicki, 1983; Mazar et al., 2008). Le persone, infatti, sono più propense alla menzogna quando il timore di essere smascherati è scarso (Mazar et al., 2008). Spesso, poiché il comportamento che segue la bugia può determinare la probabilità di essere scoperti, le persone scelgono di agire in modo da ridurre al minimo tale rischio: sorge spontanea la domanda “Fino a che punto queste persone si spingerebbero?”.

Uno studio di pochi anni fa ha esaminato se, e in che misura, una persona che ha mentito ha continuato a impegnarsi per mentire e se le sue azioni future sarebbero state influenzate da tale impegno anche a costo di rinunciare a qualche profitto. Nello specifico, gli autori (Mazar et al., 2015) hanno condotto tre esperimenti, utilizzando un paradigma sperimentale basato su due compiti: un compito di segnalazione e un compito di previsione. Questo paradigma consisteva in un’urna contenente 100 biglie di due colori diversi e, per ognuno dei 40 tentativi, ciascun partecipante doveva estrarre una biglia e riportarne il colore. Uno dei due colori era quello connotato come vincente, così la sua segnalazione veniva premiata. In questo compito i partecipanti hanno avuto un incentivo finanziario che potesse spingerli a gonfiare il numero di biglie del colore vincente, senza correre il rischio di essere sorpresi a mentire, in quanto l’urna era visibile soltanto al partecipante. Accanto all’urna, sempre nascosto agli occhi dello sperimentatore, vi era un computer portatile su cui vi erano due tasti corrispondenti ai colori delle biglie presenti nell’urna, così che il partecipante potesse riportare i colori premendo il tasto del computer corrispondente. Il computer, inoltre, mostrava al partecipante il numero del colore meno comune. Nel secondo compito, è stato chiesto di prevedere il numero di biglie del colore vincente che sarebbero apparse. La ricompensa per la performance in questo compito si basava sull’accuratezza della previsione, tuttavia questa volta, l’urna sarebbe stata visibile sia al partecipante che allo sperimentatore. Ovviamente, il numero che con ogni probabilità avrebbe dovuto essere più preciso era quello effettivamente osservato durante l’attività di segnalazione, piuttosto che il numero riportato – quest’ultimo poteva infatti essere gonfiato per ottenere una ricompensa maggiore. Tuttavia, fare una previsione molto diversa dal valore precedentemente riportato, avrebbe costituito un’ammissione indiretta di una precedente menzogna.

L’esperimento 1 prevedeva due fasi, ognuna delle quali consisteva in un compito di segnalazione e un compito di previsione, ma con il secondo compito della seconda fase non incentivato. Lo scopo di questo esperimento era di dimostrare che le persone (N=33) sono disposte a rinunciare ad un possibile profitto per mantenere la falsa rappresentazione che hanno esibito.

L’esperimento 2 è stato monofase ed ha utilizzato un compito di segnalazione preliminare non incentivato, seguito da un compito di segnalazione incentivato e da quello di previsione. I partecipanti erano 39. Lo scopo era quello di evitare una possibile spiegazione alternativa basata sull’ancoraggio del comportamento di previsione.

Nell’Esperimento 3 è stata introdotta una procedura che garantiva l’anonimato delle segnalazioni per vedere se, quando la propria previsione non poteva essere associata alle precedenti segnalazioni, i partecipanti si sarebbero comunque impegnati a mentire. La tesi principale degli autori è che il comportamento che segue una bugia è influenzato dalla menzogna in quanto il bugiardo cerca di assicurarsi che l’atto di mentire non sia scoperto, pur avendo un costo. I partecipanti (N= 43) non solo potevano esagerare la quantità riportata di biglie vincenti, ma anche nessuno poteva dire quante biglie premianti avevano segnalato. Era quindi impossibile scoprire se la loro previsione differisse dalla loro segnalazione, cosa che li avrebbe categorizzati come bugiardi. In tali condizioni le persone non sarebbero state vincolate alle loro menzogne.

Alla fine di tutti i compiti di previsione, venivano divise per colore le biglie estratte e contate dallo sperimentatore, così da offrire il compenso al partecipante sulla base dell’accuratezza della sua risposta.

In conclusione, l’obiettivo di questa ricerca è stato quello di studiare gli aspetti del comportamento che seguono una bugia. In particolare, è stato esplorato fino a che punto le persone sarebbero state pronte a rinunciare a un beneficio per non rischiare di smascherare, con un’azione futura, una loro precedente menzogna. Dai risultati dell’esperimento 1, è emerso che le persone sono disposte a rischiare il profitto futuro e addirittura a rinunciarci del tutto, per non essere colte a mentire. Nella prima fase, durante il compito di segnalazione i partecipanti avevano riportato di aver estratto un numero di biglie più elevato del colore premiante rispetto a quello realmente osservato (rispettivamente 19.55 e 14), mentre nella successiva previsione avevano indicato come numero il 17.55, indicando che i partecipanti, pur prevedendo una quantità inferiore rispetto a quella precedentemente segnalata, erano ancora implicati nelle loro menzogne. Al contrario, nella seconda fase, la previsione a seguito del compito di segnalazione non incentivata non è risultata significativamente superiore al numero realmente osservato (rispettivamente 14.64 e 14). I risultati dell’esperimento 2 hanno confermato i risultati precedenti, è emerso che la media riportata del primo task non incentivato era più vicina al valore atteso (n=14), la media riportata del secondo task di segnalazione non incentivato era significativamente più elevata, mentre la media del compito di previsione era un valore intermedio ai due precedenti. Infine, con l’esperimento 3, è stato dimostrando che, se non ci sono persone ad osservare, i soggetti non si impegnano a mantenere la bugia: la strategia di creare un contesto di menzogna non vincolante ha fatto sì che i partecipanti si sentissero liberi di agire in linea con ciò che era più proficuo, in quando il rischio di essere scoperti a mentire era quasi del tutto nullo.

Possiamo concludere che le persone si sentono vincolate dalle loro bugie e che, una volta che hanno detto una bugia, sono disposte a rischiare i profitti futuri per non essere scoperte. Sarebbe interessante in futuro condurre ulteriori ricerche volte ad esplorare le motivazioni alla base delle menzogne e a classificare le situazioni in cui esse vincolano il bugiardo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cialdini, R. B., Trost, M. R., & Newsom, J. T. (1995). Preference for consistency: The development of a valid measure and the discovery of surprising behavioral implications. J. Pers. Soc. Psychol. 69, 318–328.
  • Grice, H. P. (1989). Studies in the Way of Words. Cambride, MA: Harvard University Press.
  • Lewicki, R. J. (1983). “Lying and deception: a behavioral model,” In Negotiating in organizations, eds M. H. Bazerman and R. J. Lewicki (Beverly Hills, CA: Sage), 68–90.
  • Mazar, N., Amir, O., & Ariely, D. (2008). The dishonesty of honest people: a theory of self-concept maintenance. J. Mark. Res. 45, 633–644.
  • Mazar, N., & Hawkins, S. A. (2015). Choice architecture in conflicts of interest: defaults as physical and psychological barriers to (dis) honesty. J. Exp. Soc. Psychol. 59, 113–117.
  • Merzel, A., Ritov, I., Kareev, Y.,& Avrahami, J., (2015). Binding lies. Frontiers in Psycholoogy, 6: 1566.
  • Sagarin, B. J., Rhoads, K. V., & Cialdini, R. B. (1998). Deceiver’s distrust: denigration as a consequence of undiscovered deception. Pers. Soc. Psychol.Bull. 24, 1167–1176.
  • Vrij, A. (2000). Detecting Lies and Deceit: The Psychology of Lying and the Implications for Professional Practice. Chichester: Wiley
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