expand_lessAPRI WIDGET

La sfida dell’adozione. Cronaca di una terapia riuscita (2020) di L. Cancrini – Recensione del libro

Nonostante la difficoltà di comprensione per un non addetto ai lavori, la lettura del testo potrebbe anche essere di spunto per i futuri genitori adottivi.

Di Costanza Valentini

Pubblicato il 02 Set. 2020

La sfida dell’adozione racconta il percorso di psicoterapia di Aleksey e della sua famiglia. L’intera famiglia non è in terapia per curare il figlio malato ma per risolvere tutti insieme un problema di tipo relazionale.

 

L’opera di Cancrini descrive un intero percorso di psicoterapia familiare inerente un caso di adozione internazionale. Il sistema familiare che giunge in terapia è composto da padre, madre e due figli adottivi (nonché fratelli biologici) Aleksey di 17 anni e Maria 16 anni, adottati rispettivamente a 7 e a 6 anni. I motivi che inducono la famiglia a recarsi in terapia sono i comportamenti impulsivi ed autolesionistici di Aleksey, a cui è stato diagnosticato un disturbo borderline di personalità per il quale è seguito sia farmacologicamente che in psicoterapia individuale. Il testo riporta la trascrizione delle singole sedute affiancate da alcune riflessioni del terapeuta che illustrano le motivazioni alla base di determinati interventi terapeutici. Fin da subito viene ribadito un concetto importante: Aleksey non è malato, la famiglia non è in terapia per curare il figlio malato ma per risolvere tutti insieme un problema di tipo relazionale.

Il testo si snoda quindi come un coro a più voci: i genitori adottivi, i due figli adolescenti, il terapeuta. In realtà la voce del terapeuta è duplice, da una parte c’è il dialogo terapeutico che avviene in seduta, dall’altra seguono anche dei commenti  a posteriori di alcuni anni che l’autore condivide al momento della stesura dell’opera, assieme alle osservazioni di una sua specializzanda che funge da osservatore esterno. Altre voci e fantasmi sono però costantemente presenti non solo  in seduta ma in tutta la quotidianità dei membri familiari: quelli dei genitori biologici e dei ragazzini compagni di istituto in Ucraina.

Cancrini sottolinea come non si possa prescindere dall’intero sistema di relazioni: non ha senso né utilità terapeutica lavorare in seduta unicamente con il minore adottato o solo con i genitori adottivi; si prende in cura l’intero sistema in quanto il lavoro da svolgere è un lavoro di integrazione su più livelli. Ad un primo livello occorre integrare all’interno del sistema familiare i genitori adottivi e quelli biologici; successivamente occorre integrare le rappresentazioni di genitore buono e genitore cattivo, aiutando i ragazzi a comprendere i reali motivi dell’abbandono, perdonando i genitori biologici per le loro mancanze e trovando quello che di buono può essere rimasto nel loro ricordo. Vi è poi un livello di integrazione a livello temporale, tra un “prima dell’adozione” e “un dopo l’adozione”, una integrazione di due origini, due mondi diversi, due rappresentazioni di sé diverse e distanti tra loro.

A una prima impressione l’opera di Cancrini sembra rivolta ad operatori del settore o specializzandi in psicoterapia, in quanto i commenti dell’autore frammezzati agli stralci delle sedute illustrano l’intero processo terapeutico esplicitando le motivazioni alla base di ogni intervento del terapeuta. Nonostante la difficoltà di comprensione per un non addetto ai lavori, la lettura del testo potrebbe invece anche essere di spunto per i futuri genitori adottivi. Questo perché, al di là della trascrizione delle sedute di terapia, il testo è una testimonianza diretta di come il dolore e il trauma abbiano radici profonde che originano nella trascuratezza emotiva e fisica subita durante l’infanzia e che si snodano nel futuro. E’ la testimonianza di come un evento possa restare impresso in modo indelebile nella mente di chi lo ha vissuto, influenzandone i comportamenti e le decisioni nel presente. Nell’ottica della teoria dell’attaccamento sono i “modelli operativi interni”, ossia le rappresentazioni della figura di attaccamento costruite sulla base delle prime esperienze relazionali vissute nell’infanzia, a guidare i rapporti interpersonali per tutta l’età adulta. Chi ha subito un trauma relazionale durante l’infanzia da parte della figura che teoricamente avrebbe invece dovuto prendersi cura di lui, spesso si trova a dover gestire delle rappresentazioni multiple e opposte della figura di riferimento. La figura di attaccamento è allo stesso tempo fonte di paura, minaccia per la propria incolumità, ma anche l’unica figura a cui rivolgersi se spaventati cercando accudimento. Il risultato a livello comportamentale è di sperimentare emozioni intense e devastanti, innescate spesso dai rapporti interpersonali, che non si è in grado di gestire se non in modi disfunzionali ed impulsivi. Il caso clinico riportato illustra bene anche il concetto di riattivazione traumatica, per cui un evento in apparenza insignificante, può portare alla coscienza il ricordo di un trauma avvenuto anni prima e di cui la persona non serba coscienza esplicita, che viene percepito e vissuto a livello emotivo come se stesse accadendo realmente in quel momento. Pertanto, sebbene i problemi emotivi e comportamentali di Aleksey possano essere ricondotti ad una origine traumatica relazionale avvenuta nell’infanzia, non si cura unicamente il sintomo ma l’insieme delle relazioni e delle rappresentazioni dell’altro, integrando le relazioni del passato con quelle attuali.

Il testo è anche la storia di due genitori che a volte possono solo rimanere in silenzio al fianco dei figli presi dal loro dolore,  senza poter fare niente di concreto per attenuare la loro sofferenza se non rimanendo con loro nonostante i vissuti di fatica, di impotenza e sconforto.

E’ la storia di una integrazione importante: l’ integrazione del sé a partire da due appartenenze diverse, che ciascuno dei fratelli porta avanti con i propri tempi e le proprie modalità. E’ la storia di una vita che, molto probabilmente, sarà costellata dall’alternarsi di momenti sereni ed altri problematici, da salite e discese. In tutto questo percorso il terapeuta ha un ruolo forte di guida, di ascolto empatico e di sostegno.  Allo stesso tempo è evidente come gran parte del lavoro sia fatto dai due ragazzi con le proprie forze: il terapeuta aiuta a scovare le risorse personali e la resilienza interna, indica il percorso aiutando a non andare fuori strada, ma la famiglia la percorre da sola attingendo alle proprie risorse. E’ la storia di una strada lunga, in cui forse ancora molto si dovrà camminare ma dove ci si comprende, ci si aiuta e non si è più soli.

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • L. Cancrini (2020). La sfida dell’adozione. Cronaca di una terapia riuscita. Raffaello Cortina Editore
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Valutzione psicodiagnostica nelle adozioni . - Immagine: © jannoon028 - Fotolia.com
Adozioni: una proposta per la Valutazione Psicodiagnostica dell’Idoneità

La valutazione delle coppie per le Adozioni è un processo delicato: deve tenere conto di capacità genitoriali dei singoli e del funzionamento della coppia.

ARTICOLI CORRELATI
La diagnosi di sordità del proprio figlio: un percorso di elaborazione del lutto

In questo articolo vengono presentati i risvolti psicologici di ognuna delle cinque fasi di elaborazione della diagnosi di sordità

Relazione tra genitori e figli e salute mentale

Relazioni calde tra genitori e figli promuovono la prosocialità e proteggono da problemi relativi alla salute mentale durante la crescita

WordPress Ads
cancel