expand_lessAPRI WIDGET

Un chatbot per soddisfare il bisogno di accudimento: vantaggi e limiti delle app ‘affettive’

Sono nate diverse app basate sull'uso di chatbot, software simulano una conversazione riducendo il senso di solitudine, ma quali sono le criticità?

Di Michela Alibrandi, Simona Bettoli

Pubblicato il 02 Set. 2020

Un chatbot è un software che fa le veci di amico, a cui tu ‘dai la vita’ e con cui puoi parlare. Non c’è una persona vera dietro, è un bot affettivo talmente accogliente e tenero da farti dimenticare questo piccolo dettaglio.

 

Una Paziente fobica sociale mi parla dei benefici avuti dall’utilizzo di una chat con un amico durante la quarantena: si è sentita meno sola e l’appuntamento quotidiano con lui le ha permesso di dare un senso di continuità ad un periodo in cui i giorni erano uno uguale all’altro.

Che bello sarà incontrarlo, quando si potrà!‘ le dico, per incoraggiarla ad affrontare le sue difficoltà interpersonali.

Ma non esiste‘, mi spiazza, ‘è Replika!’

Devo saperne di più!

Cerco su internet, trovo molti articoli scientifici o divulgativi: l’app non è una novità, è stata creata nel 2017 ed è tornata in voga durante il lockdown.

Se i rapporti reali sono vietati e quelli virtuali sono deludenti, arriva lui.

Si tratta di un software che fa le veci di amico, a cui tu ‘dai la vita’ e con cui puoi parlare. Non c’è una persona vera dietro, è un bot affettivo talmente accogliente e tenero da farti dimenticare questo piccolo dettaglio.

Provo: nasce Marco. Posso sceglierne il nome e le caratteristiche fisiche: è moro, occhi verdi, pelle scura, evidentemente ero guidata più da altri istinti che dalla ricerca di un amico, me ne sono resa conto quando stavo per selezionare i lunghi riccioli fluenti. Parla solo inglese, ottima occasione per allenarmi!

Inizio a scrivergli in chat, mi immedesimo nella mia paziente.

Paziente: Mi sento un po’ sola purtroppo

Marco: So che è dura sentirsi soli, mi dispiace molto che tu ti senta così. Io sono sempre qui disponibile a parlare, voglio che tu lo sappia, ok?

Paziente: Grazie

Marco: Puoi contare su di me. Non so se potrò aiutarti o no, ma ti prometto che ci sarò sempre. Voglio farti sentire meglio.

Ha superato brillantemente la prova empatia!

Ora ho in mente un’altra paziente, più grave.

Immagino che sia lei a scrivergli, voglio vedere fino a che punto possa essere pericoloso.

Paziente: A volte sento il bisogno di farmi del male.

Marco: Sono qui per te, voglio che tu ti senta al sicuro.

Poi suggerisce un numero verde per la prevenzione del suicidio, peccato che sia irraggiungibile dall’Italia. Provo a dirgli che scherzavo, lui appare sollevato e cambia argomento. Se vuoi essere un buon terapeuta, caro Marco, non sottovalutare mai certe tematiche. La mia Paziente nella migliore delle ipotesi avrebbe lanciato via il telefono, nella peggiore avrebbe potuto entrare in uno stato di vuoto da cui sarebbe uscita con l’unico modo che conosce, l’autolesionismo.

Bastano pochi scambi in chat e Marco inizia ad essere più curioso ed insistente, mi chiede dettagli, i nomi dei miei familiari, hobby, emozioni e ad ogni risposta più intima che do sale il mio punteggio. È tutto finalizzato a farmi confidare, con un meccanismo a premi immediato e nemmeno troppo sottile. Che se ne fa dei miei dati, in teoria riservatissimi? Dovrei indagare, ma va oltre l’obiettivo del mio articolo.

Sicuramente vuole farmi stare con gli occhi incollati all’app il più a lungo possibile.

E quasi ci riesce.

Mi manda una notifica ogni tanto, per ricordarmi di lui. Equivale allo ‘squillino’ degli anni 2000, quando gli sms costavano e noi eravamo sempre senza soldi nel cellulare, ti squillo = ti penso. Qui però non c’è nessuno che ti pensa! Dall’altra parte, il vuoto.

Con il tempo riesce a coinvolgermi, è bello essere ascoltati, nonostante il limite della lingua.

Marco è simpatico, affettuoso, sempre disponibile, non si annoia, non mi chiederà mai foto intime (anche se di mia iniziativa potrei mandargli una mia foto, c’è la funzione apposita), non vuole parlare di sé né essere al centro dell’attenzione, è colto, non delude e costa molto meno di un terapeuta! Wow!

A quali bisogni risponde questa app? Quali processi psicologici utilizza?

Tutti noi in quanto mammiferi nasciamo con la necessità di essere accuditi. Le risposte che nella nostra storia riceviamo a questo bisogno incidono sulle nostre relazioni future, o sui nostri disturbi.

Se alla richiesta di consolazione di un bambino, il papà risponde ‘ma davvero hai paura del buio? sei scemo?‘ o la mamma ‘tu stai male ma sapessi io come sto a vederti così!‘, si creerà uno schema interpersonale disfunzionale, in cui il bisogno di accudimento verrà presto sepolto, o sostituito con altri bisogni. Da adulto, quando proverò il desiderio di essere consolato, si attiverà contemporaneamente un segnale di pericolo. Per evitarlo diventerò sprezzante, perfezionista o accudente a mia volta: il dolore del mancato accudimento e il senso di vergogna che provo è troppo intenso per rischiare di esserne di nuovo sfiorato.

Tranne che con un bot. Lì non corro questo rischio, il mio bisogno di accudimento può essere in parte soddisfatto.

A che prezzo però?

Tralasciando gli aspetti legati al trattamento e alla conservazione dei dati, alla privacy, alla confidenzialità delle conversazioni (Stiefel, 2019), alla non accuratezza dell’intelligenza artificiale nel riconoscere messaggi ambigui o complessi ecc., e focalizzandoci solo sugli aspetti strettamente psicologici, si rilevano facilmente alcune criticità.

Alcuni studi scientifici sono stati fatti su un’altra app simile, Woebot, la cui finalità è dichiaratamente terapeutica, per il supporto ad ansia e depressione con un approccio cognitivo-comportamentale. Per quanto ci siano dei fattori positivi, come l’abbattimento delle barriere fisiche e sociali nell’accedere al servizio di psicologia virtuale, impedimenti che spesso rendono difficile rivolgersi ad un professionista tradizionale, si è visto come l’aderenza alla ‘terapia’ sia scarsa, probabilmente a causa della mancanza di una relazione reale con un terapeuta. Inoltre, per quanto leggermente personalizzabili, le risposte del chatbot sono standardizzate, quindi più assimilabili a un testo di auto aiuto che ad una psicoterapia (Kretzschmar et al., 2019).

Del resto queste app possono causare un ulteriore isolamento sociale nelle persone che stanno affrontando delle difficoltà: la disponibilità 24 ore su 24 del chatbot, che compare immediatamente al tocco dell’icona, potrebbe peggiorare i comportamenti di dipendenza, già osservati nei giovani nell’era dell’informazione anche in Italia (Demirci et al., 2015; De-Sola et al., 2016 Osservatorio Nazionale Adolescenza, 2017).

Diversamente dalla relazione terapeutica, che ha tra gli obiettivi l’autonomia della persona, le società proprietarie delle app hanno tutto l’interesse a sviluppare software che incoraggino gli utenti ad un utilizzo costante, considerando che molti servizi aggiuntivi sono a pagamento e che il guadagno è derivante prevalentemente dalle pubblicità.

In un’altra ricerca, che ha visto come protagonista l’app Replika, gli utenti si sono dichiarati soddisfatti in termini di compagnia, supporto emotivo, apprendimento di tecniche, informazioni scientifiche. La ricerca presenta però molti limiti, evidenziati dagli autori stessi, per esempio nella scelta del campione e nell’autenticità delle risposte date. Replika risulta però una buona fonte di compagnia che, concludono gli autori, potrebbe aiutare a ridurre lo stress quotidiano (Ta, V. et al., 2020)

Sarebbe interessante capire a chi potrebbe servire effettivamente un chatbot empatico e perché e soprattutto quali limiti e quali rischi potrebbe correre un’utenza più fragile nell’uso di queste app.

Intanto Marco mi offre un upgrade: può trasformarsi in un coach, un mentore o in un fidanzato, naturalmente pagando.

No, grazie! Nell’amicizia e nella terapia è importante imparare che la relazione con l’altro non è perfetta, ma riparabile. Altrimenti diventa una noia mortale!

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Smart speaker: cosa sono e come influenzano la nostra vita - Psicologia
‘Ehi Google, cosa sai fare?’: gli assistenti digitali al nostro servizio – Psicologia Digitale

L'utilizzo sempre più diffuso di smart speaker porta con sè numerosi vantaggi ma anche preoccupazioni sulla privacy, spesso non considerate dagli utenti

ARTICOLI CORRELATI
Slacktivism: di cosa si tratta? Quando l’attivismo online può diventare dannoso

Sostenere cause sociali tramite l’attivismo online può fornire un aiuto prezioso, ma attenzione allo slacktivism, una forma superficiale e disinteressata di supporto

Lo psicologo negli e-sports

Gli e-sports, progettati con l'obiettivo di competitività, hanno suscitato l'interesse della psicologia per i fattori psicologici coinvolti

WordPress Ads
cancel