La agile e didattica ricognizione di Bonalumi nel suo libro Storia del gusto. A tavola con i filosofi, conferma che la filosofia non ha certo amato il senso del gusto né la funzione alimentare, ma già osservava Brillat-Savarin (1825), il cibo è un piacere sociale per eccellenza.
Non vi è molta differenza tra l’iconografia di Iside e quelle di Maria. Ad esempio, l’Isis Lactans del Museo Pio Clementino (Fig. 1) presenta analogie straordinarie con innumerevoli Madonne del Latte del nostro Medioevo e Rinascimento. Queste ultime immagini, tuttavia, contengono sempre un elemento di drammaticità, qualche sottile allusione simbolica alla passione e morte del Cristo, proprio nel momento dell’allattamento, proprio nella condizione della più piena beatitudine.
Del resto, nel modello kleiniano la suzione è il paradigma di tutte le relazioni oggettuali – libidiche ma anche persecutorie – del bambino e dell’adulto. La madre, che generosamente mette a disposizione il nettare bianco, è in questa prospettiva l’oggetto di desideri e di godimenti insuperabili, rispetto a cui le gratificazioni genitali non saranno che una pallida immagine.
L’onda lunga del ‘68 e una liberazione sessuale pervasiva e sistematica hanno dato un sapore insipido ai pruriti libidici che tormentarono i nostri nonni, con buona pace degli psicoanalisti ancora ancorati ad un rigido modello Freudiano. Se la genitalità è una fonte di godimento sempre più stanca e scontata nella società contemporanea, cresce invece in maniera inarrestabile l’interesse per l’alimentazione. Proliferano le diete, basate sui principi più disparati e bizzarri, che garantiscono bellezza, salute e giovinezza. Ma soprattutto si è affermato socialmente un interesse quasi coatto per la componente pulsionale dell’alimentazione, per i sapori.
Fig. 1: Isis Lactans, Museo Pio Clementino, Roma
Fig. 2: Borgognone, Madonna del Latte, Accademia Carrara, Bergamo
Si moltiplicano le trasmissioni di cucina e le edizioni di repertori culinari. Vengono riscoperte e riproposte ricette romane, medioevali, rinascimentali. I cuochi più in voga si schierano ora per la novelle cuisine, ora per la cucina molecolare, ora per la cucina pop. Ovunque sorgono ristoranti etnici ove gli avventori inseguono il mito di sapori tradizionali od addirittura primordiali. In piena emergenza coronavirus il governo non ha potuto esimersi da una progressiva riapertura dei ristoranti, luoghi del tutto incompatibili con l’uso delle rituali mascherine protettive ma ormai essenziali al benessere sociale.
Non vi è dubbio: il senso del gusto svolge un ruolo centrale nella nostra società. Con il suo Storia del gusto: A tavola con i filosofi, Felice Bonalumi ha affrontato questo senso speciale sotto un profilo strettamente filosofico. In questo specifico ambito il gusto è stato oggetto da sempre di una decisa svalutazione. Senso troppo legato alla visceralità, alla corporeità, il gusto ha imbarazzato i cultori di una filosofia che in occidente manifesta una precisa opzione preferenziale per i processi intellettuali ed astratti. I numerosi capitoli che Bonalumi dedica alla filosofia antica non sono che elenchi forse un po’ sterili di classificazioni e prospettive filosofiche che hanno giudicato il gusto un senso insignificante o addirittura pericoloso per la riflessione filosofica.
Ad esempio, nella filosofia romana, il gusto rischia di compromettere l’ideale, etico ed estetico insieme, della moderazione. Per Cicerone, osserva Bonalumi, ‘il cibo è solo qualcosa di necessario per il corpo e per la vita e, riallacciandosi alle antiche virtù, la parola d’ordine è morigeratezza. La frase, cibi condimentum esse famem / il condimento del cibo è la fame, all’interno della polemica contro gli epicurei è diventata famosa’ (Bonalumi, p. 15). Addirittura, per Seneca l’ingordigia ha compresso l’austera etica della romanità primitiva fino al punto da incidere sulla salute del corpo: “Le malattie erano semplici e originate da cause semplici: la molteplicità delle portate ha provocato la molteplicità delle malattie. […] Perciò le nostre malattie sono nuove, come nuovo è il nostro genere di vita.” (ibidem, p. 17)
Nel cristianesimo tardo-antico e medioevale il conflitto tra digiuno e abbuffata, tra magro e grasso, tra carnevale e quaresima è un asse fondamentale, attorno a cui si organizza tutto il ciclo dell’anno e delle stagioni. Nel De digiuno Agostino rileva: ‘È un’osservanza questa, una virtù dell’animo, un vantaggio dello spirito a spese della carne, e non può essere oggetto di offerta a Dio da parte degli angeli‘. Non vi può essere vera festività senza una preparazione dell’anima e del corpo. E il digiuno ne è componente irrinunciabile.
Kant era convinto che la natura umana potesse contare su doti intrinseche che rendevano possibile un percorso conoscitivo ed etico inaccessibile agli animali inferiori. Questa specifica potenzialità dell’umano poteva per lui riscattare anche la più viscerale delle funzioni. Dal suo punto di vista – osserva Bonalumi – ‘la voracità distingue l’uomo che ‘non è schiavo di quella’ dalla bestia che ‘si getta sulla preda’ e istituisce ‘un rapporto morale e razionale dell’uomo col suo stomaco’ tanto che ‘lascia a un uomo il suo cervello, ma dagli lo stomaco di un leone o di un cavallo: ed egli certamente cesserà di essere un uomo’.’ (Bonalumi, p. 48).
Più ambigua è invece la posizione del materialismo ottocentesco. Feuerbach si rese famoso dichiarando che ‘L’uomo è ciò che mangia‘ ma non è chiaro se intendesse cogliere il valore dell’alimentazione nell’educazione e nello sviluppo morale dell’uomo, o semplicemente negare qualsiasi significato alle esperienze emotive e sociali.
Insomma, la agile e didattica ricognizione di Bonalumi conferma che la filosofia non ha certo amato il senso del gusto né la funzione alimentare. Ma attenzione, può essere facile svalutare questo senso speciale ed identificare il complesso sistema di fantasie libidiche e forze motivazionali associate ai piaceri del gusto con un livello di funzionamento psichico concreto ed autistico: una forza orientata alla dissoluzione del legame sociale.
Non è così: le immagini con cui abbiamo aperto il nostro breve intervento già suggeriscono una prospettiva diversa. Inoltre, come già osservava Brillat-Savarin (1825), il primo filosofo della Gourmandise, il cibo è un piacere sociale per eccellenza. Con la parziale eccezione della cultura nordamericana contemporanea, il pasto è sempre luogo e momento d’incontro. Dal simposio greco ai sissizi spartani, dai banchetti medioevali fino alle eleganti cene borghesi, la condivisione delle vivande è fondamento specifico della socialità.
Nella dimensione privata e familiare, poi, il pasto comune è il momento della condivisione e della comunicazione. Del resto tavole imbandite radunano ancora oggi intere famiglie allargate per le ritualità festive dal Natale e della Pasqua o in occasione della celebrazione dei matrimoni.
Le iconografie isidiche e mariane che abbiamo ricordato all’inizio di questa recensione richiamano la nostra attenzione sullo straordinario valore emotivo del pasto rituale. Il pasto, ogni pasto rimanda a questa situazione primaria, all’incontro simbolico con il materno.
Del resto nelle culture antiche non vi era pasto, vegetale o carneo che non fosse preceduto da un sacrificio alle divinità. Solo il cibo consacrato era consumabile. Offrendo se stesso sulla Croce il Cristo rinnova definitivamente il sacrificio, ma anche in questa nuova forma più astratta non vi è sacrificio senza un processo nutrizionale, almeno simbolico.
Il materialismo ci inganna. Insoddisfatti per la minestra quotidiana affolliamo esotici o gourmet, trascurando che ogni alimento rimanda alla beatitudine dell’allattamento, ed è nostalgia di una funzione sempre più evanescente nella società contemporanea.
Mentre il potere ed il controllo crescono nella cultura come nella politica, nell’igiene come nell’economia, nelle famiglie la capacità di nutrire, di generare e di alimentare appaiono sempre più retaggio di un passato ormai inattingibile: l’inarrestabile declino demografico che affligge l’occidente non riflette solo problemi sociali o pressioni ideologiche e culturali.
Nel ‘600 le grandi potenze si affrontavano negli oceani per il controllo delle spezie, fonte di inestimabile ricchezza e potere. Oggi inseguiamo miti culinari più economici. Ma non potremo mai riappropriarci di ciò che il tempo ci ha tolto per sempre. Non gusteremo più il latte materno.