Lo studio di Ishikawa e collaboratori (2020) ha valutato l’efficacia di un training metacognitivo (MCT) in 50 pazienti giapponesi con schizofrenia, disturbo schizotipico e disturbi deliranti (ICD-10), proponendo uno studio controllato randomizzato per testare l’efficacia sui sintomi positivi della versione più recente ed estesa dell’MCT.
I disturbi legati alla schizofrenia sono una forma comune di psicosi. In episodi acuti, deliri e allucinazioni possono causare disconnessione dalla realtà, oltre a rappresentare un rischio per la durata della vita, di 14,5 anni inferiore rispetto alla media (Hjorthøj et al., 2017).
Per il trattamento di questo spettro di disturbi l’utilizzo dei farmaci antipsicotici è comune, nonostante la loro efficacia sia stata dibattuta, in quanto anche gli antipsicotici di seconda generazione (o atipici) non hanno del tutto soddisfatto le alte aspettative iniziali (Kendall, 2011); per quanto riguarda i sintomi positivi (deliri e allucinazioni), la farmacoterapia antipsicotica atipica appare appena migliore dei placebo, e le ricadute si verificano in circa un quarto di tutti i pazienti (Leucht et al., 2003, 2009).
Diversi approcci psicologici, in particolare di stampo cognitivo-comportamentale (CBT), sono stati sempre più adottati come strategie complementari ai farmaci antipsicotici (Sivec & Montesano, 2012; Wykes et al., 2008).
Uno studio recente (Ishikawa et al., 2020) ha valutato l’efficacia di un training metacognitivo (MCT) di 10 moduli recentemente sviluppato dall’University Medical Center Hamburg-Eppendorf in 50 pazienti giapponesi con schizofrenia, disturbo schizotipico e disturbi deliranti (ICD-10), proponendo uno studio controllato randomizzato per testare l’efficacia sui sintomi positivi della versione più recente ed estesa dell’MCT – che include anche due moduli sull’autostima e sullo stigma, due punti critici di questo disturbo (Sundag et al., 2015; Świtaj et al., 2015). I 50 pazienti sono stati assegnati in modo casuale al trattamento di routine (TAU) (n=26) o al trattamento TAU + MCT (n=24), della durata di dieci settimane.
I pazienti sono stati sottoposti a testistica in quattro diversi momenti: alla baseline, dopo sei settimane dall’inizio del trattamento, immediatamente dopo il trattamento e un mese dopo la fine del trattamento.
La Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS) (Kay et al., 1987) è stata utilizzata per misurare la sintomatologia psicotica positiva; il General Assessment of Functioning (GAF) (American Psychiatric Association, 2000) per la valutazione del funzionamento generale del paziente; il Cognitive Biases Questionnaire for psychosis (CBQp) (Peters et al., 2014) per la valutazione delle distorsioni cognitive; la Beck Cognitive Insight Scale (BCIS) (Beck et al. 2004) per la misurazione dell’insight; il Beck Depression Inventory version 2 (BDI-II) (Beck et al., 1996) per la valutazione dei sintomi depressivi; il 5-Level EQ-5D (EQ-5D-5 L) (van Hout et al., 2012) per la valutazione della qualità di vita.Dai risultati della ricerca si è visto che i partecipanti al gruppo TAU+MCT hanno mostrato maggior beneficio rispetto a quelli del gruppo TAU per quanto riguarda i sintomi positivi (specialmente i deliri) dopo il trattamento, cosa che si è mantenuta nel follow-up a un mese dopo.
Maggior beneficio è stato riscontrato anche per quanto riguarda il funzionamento generale e, parzialmente, sui bias cognitivi. Nessuna differenza significativa per quanto riguarda i livelli di insight, i sintomi depressivi e la qualità della vita.
Questi risultati sono importanti non solo per la ricerca al servizio della pratica clinica, che non deve mai smettere di cercare soluzioni più efficaci per i problemi psicopatologici, ma anche perché supportano l’ipotesi che un modello (meta)cognitivo occidentale possa essere efficace anche per una cultura non occidentale (Ishikawa et al., 2017).