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Oltre la risposta emozionale all’emergenza pandemica. Il COVID-19 come vaccino semiotico – Parte II: La promozione del capitale semiotico come obiettivo strategico per il governo della fase 2

A seguito del Covid-19 sembrerebbe utile promuovere risorse culturali che riconoscano il bene comune regolatore del proprio modo di sentire, pensare, agire

Di Claudia Venuleo, Omar Gelo, Sergio Salvatore

Pubblicato il 10 Giu. 2020

In questo periodo di emergenza legato al Covid-19 i cittadini sono stati riconosciuti, nel migliore dei casi, come bisognosi di supporto rispetto all’impatto psicologico prodotto in loro dalla crisi, piuttosto che una risorsa per affrontare la crisi, e quindi un target strategico da potenziare.

Il testo è una versione breve e rielaborata dell’articolo: Venuleo, C., Gelo, O., Salvatore, S. (2020). Fear affective semiosis, and management of the pandemic crisis: covid-19 as semiotic vaccine. Clinical Neuropsychiatry, 17(2), 117-130.

 

Abstract: Il capitale semiotico può essere visto come una sorta di “antibiotico semiotico” della risposta emozionale alla crisi. Promuoverlo presso i cittadini significa promuovere risorse culturali innovative, che riconoscano nel bene comune un regolatore saliente del proprio modo di sentire, pensare, e agire.

Nella prima parte del presente contributo abbiamo proposto un’analisi dello scenario aperto dall’attuale situazione di emergenza sanitaria e delle condizioni sociali che hanno alimentato le risposte emozionali alla crisi pandemica; abbiamo altresì suggerito che, se da un lato, le emozioni di paura ed ansia hanno favorito – nella prima fase di lockdown – un certo grado di compliance rispetto alle misure restrittive decise dal Governo per contenere la diffusione del contagio, esse rischiano di essere insufficienti e inefficaci nel passaggio alla cosiddetta “fase 2”; con il rallentamento delle misure restrittive rispetto alla mobilità individuale e alla ripresa, almeno parziale, delle attività produttive, le persone dovranno confrontarsi infatti con il compito socio-cognitivo di integrare nel loro assetto mentale il riferimento al bene comune come regolatore saliente del loro modo di sentire, pensare, e agire; un passaggio complesso, non scontato, che necessita l’attivazione di strategie istituzionali in grado di sostenerlo.

I cittadini come potenziale driver del governo della crisi

Le istituzioni stanno facendo un grande sforzo per procurare e sviluppare le risorse strutturali e tecniche necessarie per maneggiare la crisi da un punto di vista medico-sanitario e affrontare l’impatto sociale ed economico del lockdown (ad es., assunzione di nuovi medici e di nuovi infermieri, creazione di nuovi posti letto negli ospedali, disponibilità di credito e supporto finanziario, piattaforme per lo smart working, formats amministrativi e cornici normative, ecc.); sembrano tuttavia mettere sostanzialmente in secondo piano la promozione delle risorse psicosociali (visioni del mondo, cornici interpretative, credenze, modi di sentire, pensare e agire) necessarie a sostenere e motivare il comportamento sociale e individuale e quindi la capacità di affrontare la crisi: i cittadini sono visti, nel migliore dei casi, come bisognosi di supporto rispetto all’impatto soggettivo prodotto in loro dalla crisi (stress, stati depressivi e ansiosi), piuttosto che un potenziale driver del governo della crisi, una risorsa, da riconoscere per il contributo che può portare alla comunità, e quindi un target strategico da potenziare.

Lavorare a questo obiettivo significa, dal nostro punto di vista, lavorare alla promozione del capitale semiotico.

Promuovere capitale semiotico

Possiamo definire in termini di capitale semiotico le componenti di significato (abiti impliciti, visioni del mondo, valori, rappresentazioni sociali, modelli cognitivi, sacche di conoscenza implicita ed esplicita) che alimentano la capacità degli individui di interiorizzare la dimensione collettiva della vita e, così facendo, di assumere il bene comune quale componente regolativa soggettivamente significativa della propria identità (Salvatore, Fini et al., 2018). Grazie al capitale semiotico, le persone possono sentire l’interesse collettivo come qualcosa che conta, riconoscere il valore delle “regole del gioco” alla base della convivenza e l’interdipendenza tra punti di vista – perciò il bisogno di strutture e istituzioni che permettono la cooperazione e il coordinamento richiesto per l’azione collettiva; possono, altresì, usare il bene comune come una cornice sovra-ordinata di senso alla base degli atteggiamenti contingenti e delle azioni nelle situazioni concrete. Da questa prospettiva, il capitale semiotico può essere visto come una sorta di “antibiotico semiotico” della cornice culturale e soggettiva che dà forma all’attuale interpretazione emozionale di affrontare la crisi. Come promuoverlo?

Seguendo Andriola e colleghi (2019), è utile distinguere tra due complementari linee di azione. Primo, la promozione del capitale semiotico richiede politiche sistemiche strutturali volte alla riduzione globale dell’incertezza. Il basso livello di capitale semiotico, infatti, è strettamente connesso allo stato di radicale incertezza esistenziale che costituisce la partecipazione alla vita sociale in un vasto segmento della popolazione – i cosiddetti “perdenti” della globalizzazione (Teney, Lacewell & De Wilde, 2014; Williamson, 2005) ma non solo. Questo perché la salienza di modi fortemente emozionati di interpretare la realtà – che nell’attuale milieu culturale si esprimono nei termini dello schema amico-nemico – è il modo con cui le persone danno senso al loro mondo quando esso si presenta troppo complesso, incerto, opaco, al di fuori non solo del proprio governo, ma anche della possibilità di rappresentarlo (Salvatore, Mannarini et al., 2019; Salvatore, Palmieri et al., 2019). La rappresentazione emozionale dell’Altro come nemico, pericolo, untore, restituisce senso, sia pure fittizio all’esperienza; al contempo, è evidentemente incompatibile il compito di assumere il bene comune, e quindi il “Noi”, come regolatore delle proprie valutazioni e dei propri comportamenti (Di Maria, 2005; Montesarchio & Venuleo, 2008).

Gli interventi strutturali richiesti per ridurre l’incertezza implicano nuove politiche economiche volte ad esempio a ridurre l’inuguaglianza e l’insicurezza economica, a limitare l’opacità e l’auto-referenzialità del sistema finanziario, e la sua separazione rispetto ai sistemi produttivi, a potenziare una cornice regolativa nazionale e sovra-nazionale e, in questo modo, creare una barriera protettiva dall’aggressione delle dinamiche di globalizzazione. Inoltre, la riduzione dell’incertezza passa attraverso un nuovo patto istituzionale che inverte l’attuale trend che caratterizza molte società, dove le istituzioni sono percepite dai cittadini come parte dei problemi piuttosto che come una risorsa. Devono essere fatti sforzi per potenziare le istituzioni, e questo non solo nella loro efficacia tecnica e amministrativa, ma anche e soprattutto nella visione e mission: nella loro capacità di entrare in sintonia e di promuovere il modo delle persone di sentire e di pensare. Ancora, è necessario un ripristino della vision delle pratiche del sistema welfare system, con una radicale inversione delle politiche neoliberali di smantellamento. Il sistema di welfare è infatti sia il buffer diretto dell’incertezza che il setting entro il quale gli individui possono avere esperienza concreta – in domini chiave della vita come la salute e l’educazione – della valenza significativa e promozionale del legame con la società e le istituzioni.

Secondo, la promozione del capitale semiotico è una questione di promozione di risorse culturali innovative, come anche di processi psicosociali tramite i quali tali risorse sono interiorizzate. Questo livello di intervento richiede investimento nelle infrastrutture sociali e di comunità che promuovono tali processi di innovazione civica e socio-culturale. Se si vogliono promuovere nuovi significati per le relazioni, e quindi nuovi modelli di relazioni occorre infatti promuovere pratiche sociali fondate da tale significato. In altre parole, per promuovere il valore della cooperazione (così come della non violenza, della solidarietà, ecc.), non è sufficiente invocarlo; occorre, piuttosto, implementare pratiche sociali fondate sulla rappresentazione dell’altro come risorsa. Prima viene l’azione, poi il significato. Il capitale semiotico emerge quindi dalla generalizzazione delle strutture di setting di azione: veicolato attraverso la progettazione e l’attivazione di setting di pratiche sociali che incapsulano le visioni del mondo, le credenze e la visione dell’alterità che costituisce il capitale semiotico.

In questa prospettiva, un ruolo strategico possono giocare i corpi sociali intermedi (ad es. ONG, gruppi ad hoc, associazioni, forme organizzate di partecipazione civica alle istituzioni locali). Questo perché i corpi intermedi rappresentano il luogo dove i mondi vitali delle persone e la loro soggettività incontrano la dimensione astratta e universalistica della cornice istituzionale e possono fondersi con essa. In questo senso, i corpi sociali intermedi sono il laboratorio naturale del capitale semiotico. D’altro canto, i corpi intermedi hanno progressivamente perduto la loro rilevanza, almeno nelle società occidentali, e questo può essere interpretato come la causa maggiore della mancanza di capitale semiotico e un chiaro indicatore dell’attuale crisi socio-politica (Russo, Mannarini & Salvatore, 2020).

Covid-19 come vaccino semiotico?

Il mantra del “niente sarà come prima” accompagna questi giorni di pandemia, sia come modo di rimarcare l’impatto distruttivo della crisi, che come modo di esprimere la speranza che la crisi solleciterà un ripensamento radicale dei principi e dei criteri che hanno orientato decisioni politiche ed investimenti.

Probabilmente, è più realistico pensare che qualcosa cambierà se le istituzioni e la società saranno capaci di apprendere qualcosa dalla crisi. Tuttavia, il mantra escatologico contiene una verità: dopo decadi dominate dalla retorica della fine della storia (Fukuyama, 1992) e a disconoscere la dimensione temporale della vita sociale – come se vivessimo nell’eterno presente regolato da norme sociali ed economiche invarianti, immanenti alla realtà dei fatti – il profondo sconvolgimento della pandemia ha fatto in modo di aprire le nostre routine ad una riappropriazione semiotica del nostro futuro collettivo. Il futuro è ancora un oggetto pensabile, che regola il nostro presente e ci aiuta a renderlo significativo.

La pandemia ci offre la possibilità di ripristinare la rappresentabilità del tempo – la possibilità di sviluppare la vision del mondo sociale – sia a livello locale che sistemico – come una realtà dove le persone e le istituzioni possono apprendere e cambiare, e perciò dove è significativo investire sforzi e competenze per rendere migliore il luogo in cui viviamo.

Naturalmente questo passaggio è complesso e assolutamente non scontato. Tuttavia, tale consapevolezza non deve impedirci di riconoscere la potenziale innovazione che la “pandemia” ha rispetto ad altri fenomeni che sono stati usati e che vengono usati per motivare lo sviluppo sociale (ad es., i rischi associati al cambiamento climatico, l’inuguaglianza economica, il riferimento a valori e cornici etiche). Infatti, rispetto ad altri, sia pure rilevanti problemi, la pandemia ha quattro caratteristiche che la rendono una risorsa semiotica potenzialmente molto importante per motivare lo sviluppo psicosociale:

  • è globale: sia pure con un’estensione variabile tra i paesi, la pandemia – e lo sconvolgimento delle routine connesse allo sforzo di contenerla – coinvolge tutti i domini della vita sociale e rende ciascuno simile agli altri – star del cinema, giocatori, ministri di Gabinetto, condividono tutti le stesse procedure e condizioni della gente comune;
  • è trasversale: comprende domini individuali concreti dell’esperienza (ad es. la restrizione del movimento, l’esperienza di vedere l’ambiente urbano deserto), livelli più astratti e mediati della vita sociale (ad es. le nuove forme di smart working, l’interruzione degli eventi sportivi, i discorsi mediatici), così come il livello più astratto e globale della salute e del governo istituzionale della crisi (ad es. i modelli matematici dei trend epidemici, il processo decisionale istituzionale);
  • è costitutiva dell’identità: è vissuta come qualcosa concernente, nel qui ed ora, il cuore dell’esistenza individuale, la salute propria e degli altri significativi, così come i modi di esercizio dei legami interpersonali;
  • è transizionale: implica setting, esperienze, discorsi e pratiche dove istituzioni e individui sono chiaramente reciprocamente identificabili come risorse e condizioni di possibilità – ad es., gli individui hanno la possibilità di esperire il processo decisionale istituzionale nei termini del suo effetto diretto e quasi immediato sulla loro vita, così come le istituzioni dipendono nelle loro iniziative da come le persone sentono e si comportano.

In ragione di queste caratteristiche, la pandemia potrà lavorare come il catalizzatore di setting sociali e di pratiche tramite le quali le persone potrebbero agire e, quindi interiorizzare la reciproca immanenza della dimensione individuale e sistemica dell’esperienza. É in questo senso che abbiamo proposto di pensare al COVID-19 come un vaccino semiotico (Venuleo, Gelo & Salvatore, 2020): un destabilizzatore del mondo sociale, potente e sufficientemente esteso e tuttavia non pienamente distruttivo, che catalizza la risposta del milieu culturale, alimentando la produzione degli antibiotici semiotici richiesti per potenziare gli sforzi individuali e istituzionali per governare la crisi odierna e apprendere da essa come costruire un domani migliore.

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