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The Gambler, il giocatore d’azzardo – Recensione

The Gambler racconta la storia di professore universitario brillante, arrogante, ma scontento del suo lavoro e segretamente schiavo del gioco d'azzardo

Di Antonietta Germanotta

Pubblicato il 18 Mag. 2020

Aggiornato il 27 Mag. 2020 16:01

The Gambler è considerato un remake di un film degli anni Settanta dallo stesso titolo originale, conosciuto in Italia come “40.000 dollari per non morire”.

 

La prima versione del film, famoso successo americano di Karel Reisz del 1974, è apprezzata per l’ottima performance del protagonista, James Caan, massicciamente lodata e candidata per un Golden Globe. Entrambe fotografano un dramma di stampo esistenzialista sotto forma di un avvincente noir d’azione.

The Gambler del 2014 è un film di genere drammatico, un thriller, scritto da Willian Monahan, diretto da Rupert Wyatt, con Mark Wahlberg, il protagonista, e Jessica Lange, sua madre. Malgrado per alcuni rappresenti un surrogato, affievolito e appassito a tal punto da diventare una pallida ombra dell’originale, a mio avviso racconta bene la storia di un professore universitario brillante, arrogante, spocchioso che vive in realtà un fortissimo senso di disagio e frustrazione poiché scontento del suo lavoro e segretamente schiavo del gioco d’azzardo. Jim Bennett, infatti, protagonista dal carattere talvolta intollerabile, molto stimato dai suoi studenti, ha una doppia vita; rampollo di una nota e ricca famiglia di banchieri, alla morte del nonno si ritrova a doversi barcamenare tra il complicato rapporto con la madre e le spinte autodistruttive di una smodata dipendenza dal gioco d’azzardo, senza alcun freno inibitorio, che lo condurranno alla rovina…

Viene travolto e coinvolto in un vortice compulsivo e, apparentemente senza via di scampo, e al contempo anche in una tanto salvifica quanto appassionata storia d’amore con una sua studentessa. Così come in “Il Giocatore” di Dostoevskij, prisma attraverso cui attualizzare le dimensioni del Gioco d’Azzardo Patologico (GAP), possono essere utilizzate diverse chiavi di lettura: individuale, della sua famiglia d’origine e della rete di relazioni (Cancrini, 2017).

Non sono esplicitate le motivazioni che inducono il protagonista a decidere di giocare; non sappiamo quale sia il click che sancisce l’avvio a quella che diventerà la sua rovina. Di sicuro le motivazioni per intraprendere, così come quelle per continuare, tali attività sono molteplici.

Nel protagonista sono ben visibili alcuni dei sintomi presenti in un giocatore.

  • Ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata. Ne è esempio lampante il fatto che vada con la madre a prelevare una somma di danaro talmente tanto elevata da indurre la bancaria a chiedere alla madre più, e più volte, se fosse sicura di voler prelevare una somma così copiosa.
  • E’ eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo. Persino il primo appuntamento con la sua amata Amy, si svolge in una sala da gioco; lei trascorre il suo tempo da sola mentre lui è totalmente rapito, ipnotizzato ed assorto dal gioco.
  • Spesso gioca d’azzardo quando si sente a disagio. Nel film si evince che è come se andare a giocare rappresentasse un rifugio all’interno del quale non pensare.
  • Dopo aver perso al gioco vuole rifarsi. Va alla ricerca della vincita, accumulando debiti su debiti.
  • Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa. Sembrerebbe preferire perdere la donna amata piuttosto che provare a smettere di giocare.
  • Fa affidamento su altri per reperire il denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo. Si appoggia alla madre ed agli strozzini, dando per scontato che la prima comunque lo finanzierà e che i secondi accoglieranno sempre le sue richieste.

Cosa rappresenta per il nostro protagonista il gioco d’azzardo? Potrebbe rappresentare un modo per non pensare all’inutilità del suo lavoro o un luogo magico in cui poter fantasticare sui conseguenti cambiamenti della propria vita, oppure un’attività grazie alla quale poter riempire o cancellare momentaneamente momenti di noia, mancanza di senso, insoddisfazione, depressione e solitudine o, ancora, un’attività per provare eccitazione e piacere (Croce, 2001; Pani & Biolcati, 2006).

I necessari approfondimenti legati alle motivazioni profonde di un personaggio giocatore su cui incombe l’assenza ingombrante di una figura paterna, nel film, sono solo parzialmente abbozzate.

Il gioco d’azzardo è una sfida titanica: nel breve arco temporale che intercorre tra l’attesa ed il risultato il giocatore avverte un’eccitazione straordinaria; il piacere di sognare la vincita, pertanto, ripaga il giocatore dalla delusione. Anche in questo caso la pulsione erotica s’incardina con quella thanatica. L’anorgasmia, spesso, è retta dal piacere prolungato che vuole essere mantenuto e nel contempo non si risolve mai: all’eccitazione non seguono il plateau e la detumescenza; si mantiene uno stato di continua e perenne eccitazione. Il giocatore non è tale perché è compulsivo, il suo essere anancastico è la difesa al non provare un piacere risolutivo. Freud scriveva: omne animal post coitum triste est; l’appagamento del desiderio annulla il desiderio ed apre ad una serena tristezza o appagamento, data cioè dalla perdita di eccitazione (come si fosse stanchi dopo una bella giornata al mare…). Il giocatore non tollera tutto ciò.

Il gioco d’azzardo può assumere la connotazione di un disturbo psichiatrico, così come ufficialmente riconosciuto dall’American Psychiatric Association (APA) nel 1980; nel 1994, il gioco d’azzardo patologico (GAP), definito anche disturbo da gioco d’azzardo, azzardopatia o genericamente ed impropriamente ludopatia, è stato classificato nel DSM-IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) come “disturbo del controllo degli impulsi”. Il DSM-IV t.r. ha definito il GAP come un “comportamento persistente, ricorrente e maladattativo di gioco che compromette le attività personali, familiari o lavorative”; nel 2013 l’APA ne ha elaborato una definizione più aggiornata e scientificamente corretta: “Disturbo da Gioco d’Azzardo” (APA – DSM V 2013). L’ICD-10 (International Classification Disease) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo ha inserito tra i “disturbi delle abitudini e degli impulsi”.

Nella nuova edizione del Manuale Diagnostico e Statistico sui Disturbi Mentali, DSM 5, non si parla più di Gioco d’Azzardo Patologico ma di “Disturbo da Gioco d’Azzardo” (DGA) collocandolo all’interno della categoria delle Dipendenze in un’apposita sottocategoria, “Disturbo non correlato all’uso di sostanze”. Esso è considerato un disturbo appartenente alle addiction, comportamenti istintivi tesi a soddisfare un bisogno fisico e/o psicologico che possono comportare conseguenze avverse in svariati contesti di vita di un individuo.

Il termine inglese addiction, in italiano dipendenza patologica, deriva dal latino addictus, termine utilizzato nell’Antica Roma per indicare lo schiavo che diventava tale per non poter pagare i debiti, e tale condizione perdurava fino all’estinzione del debito. Jim è schiavo di se stesso e del gioco; gli individui che vivono tale disagio, infatti, rinunciano alla capacità di riflettere abbandonandosi ad uno stato di euforia e fugace piacevolezza bramati sempre più spesso e per un tempo sempre più prolungato tramite la ricerca compulsiva del comportamento insano (craving).

Spada e collaboratori (2015) hanno effettuato ricerche per capire quale potesse essere l’influenza della metacognizione sul gioco d’azzardo patologico ed hanno indagato quali potessero essere gli scopi (goals) del gambling e quali i segnali di inizio e di fine del comportamento problematico attuato dal giocatore. I risultati dimostrano che specifiche credenze metacognitive giocano un ruolo fondamentale nell’incipit e nel sostentamento di comportamenti di addiction (Spada, 2013), ma che il GAP potrebbe essere considerato come una modalità per sgrovigliare e/o regolamentare i propri stati interiori (sia affettivi che cognitivi), con la conseguenza di aumentare sia la sofferenza psicologica che i comportamenti insani associati, in un loop che si autosostenta. Il GAP, al pari delle altre forme di dipendenza, viene interpretato come manifestazione di un profondo malessere psichico che necessita di essere ascoltato e decifrato. Nonostante ciascuna forma di dipendenza abbia caratteristiche delineate e peculiari, tutte sono accomunate dal desiderio di scappare dalla realtà, percepita quale inaccettabile, e dall’incapacità di sostenere la sofferenza psicologica che ne consegue. Il Gioco d’Azzardo Patologico, insieme ad altre dipendenze quali la dipendenza dal sesso, dal lavoro eccessivo (workhaolic), da internet, se viene utilizzato a lungo per scopo compensatorio o per fuga, porta chi ne usufruisce a diventare “vittima del gioco”. Le vittime designate sarebbero individui che vengono risucchiati in un vortice di pensieri ossessivi legati al gioco con conseguente messa in atto di comportamenti (compulsione) dai quali non riescono più ad uscire. L’attrazione ed il bisogno di soddisfare l’impulso di giocare sono sempre più intensi, tanto da comportare una totale perdita di controllo; si persegue il comportamento abitudinario e ripetitivo, anche in presenza di ostacoli e pericoli contingenti (Guerreschi, 2003). I giocatori d’azzardo problematici presentano delle frequenti difficoltà connesse alla sfera relazionale e lavorativa (Grant & Kim, 2001; National Opinion Research Center, 1999). Il nostro protagonista aveva deciso di non lasciarsi andare emotivamente.“Devo annientare il passato. Se arrivo al fondo posso ricominciare” frase forte ed emblematica del film che ci dice qualcosa in merito alla sofferenza ancestrale del protagonista, che aveva origini ben profonde. In linea con la sua idea del “tutto o niente”, solo estirpando il suo dolore radicalmente crede possa esserci una possibilità per riprendere in mano la sua vita, della quale probabilmente non era mai stato possessore…

Nel finale del film il protagonista decide di far stabilire ad una puntata magica se debba, o meno, smettere di giocare. In tanti si saranno chiesti cosa sarebbe successo se non avesse vinto la sua ultima partita… Ancora una volta sembra incline ad affidarsi alla fortuna, nella speranza salvifica di ottenere una vittoria ed un guadagno che possano porre fine alle sue difficoltà finanziarie e soprattutto che possa rappresentare un fine pena, capace di tirarlo fuori dal suo circolo vizioso.

E’ evidente che il protagonista non abbia fatto un percorso psicoterapico; alla fine afferma di non essere un giocatore, frase che un vero ex giocatore non direbbe mai…

 

THE GAMBLER – GUARDA IL TRAILER DEL FILM:

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing
  • American Psychiatric Association, Ed. it. Massimo Biondi (a cura di), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014. ISBN 978-88-6030-661-6
  • Andreoli, V., Cassano G.B., Rossi,  R. (a cura di), DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Elsevier, 2ª ed: 2002. ISBN 88-214-2588-6. Anteprima limitata su books.google.it
  • Andreoli, V., Cassano, G.B., Rossi, R. (a cura di) DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Text revision. ICD-10/ICD-9-CM. Classificazione parallela
  • Cancrini, L. (2017) Una tossicomania senza farmaci, Psicobiettivo vol. XXXVII, 95-120
  • Croce, M. (2001). Il caso del gioco d’azzardo: una droga che non esiste, dei danni che esistono. Personalità/Dipendenze, 2, 225-242
  • Grant, J. K., Kim, S. W. (2001). Demographic and clinical features of 131 adult pathological gamblers. Journal of Clinical Psychiatry, 62(12), 957-962. doi:10.4088/JCP.v62n1207
  • Guerreschi, C., (2003) Il gioco d’azzardo patologico, Campomarzo Editrice, Bologna
  • National Opinion Research Center (1999). Gambling Impact and Behavior Study: Report to the National Gambling Impact Study Commission. Chicago: National Opinion Research Center at the University of Chicago
  • Pani, R., Biolcati, R. (2006) Le dipendenze senza droghe. Lo shopping compulsivo, Internet e il gioco d'azzardo
  • Spada, M.M., Caselli, G. e Wells, A. (2013). A triphasic metacognitive formulation of problem drinking. Clinical Psychology and Psychotherapy, 20, 494–500
  • Spada, M.M., Giustina, L., Rolandi S., Fernie, B.A. (2015) Profiling Metacognition in Gambling Disorder. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 2015, 43, 614–622
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