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Psicoterapia: per una prospettiva psicodinamica dell’intervento

Si è osservato lo sviluppo di diversi orientamenti di psicoterapia favorendo l'accesso a quadri teorici differenti utili in base ai casi specifici specifici

Di Silvia Maggi

Pubblicato il 07 Mag. 2020

La psicoterapia viene considerata, all’unanimità, come una modalità di intervento effettuato con mezzi prettamente psicologici che, pur attuati mediante procedure che differiscono tra loro per il diverso orientamento teorico a cui si rifanno, sono finalizzati ad aiutare le persone nella soluzione dei propri problemi affettivi, emotivi, comportamentali, interpersonali di vario genere e a incrementare la qualità della vita

L’attività psicoterapeutica: verso il processo di cambiamento

La legge del 18 febbraio 1989, n. 56, in Italia, decreta che l’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia (D.M. 11 dicembre 1998, n.509).

Tale attività si rende utile in relazione alla “domanda” di cui il paziente si fa portatore e saranno il problema e gli obiettivi che il soggetto pone in essere ad orientare quest’ultimo verso un intervento psicologico-clinico o più propriamente psicoterapeutico (Cionini, 2001).

Per inciso, risulta utile distinguere tra domanda e committenza. Con il termine committenza s’intende l’interpretazione della situazione (il che cosa, il come e il perché); la domanda consiste, invece, nei significati generalizzati che fondano e rendono sensate tali teorie (Salvatore, 2015).

Per ciò che concerne lo sviluppo della psicoterapia, è interessante sottolineare che negli ultimi anni si sono sviluppati diversi orientamenti e la diversificazione di tali approcci ha favorito la possibilità di accedere a quadri teorici differenti, che si rendono utili ognuno in base ad ogni caso e richiesta specifici che il terapeuta dovrà accogliere.

Altresì, oltre alle differenze tra le varie scuole, la psicoterapia si è sviluppata diversamente nelle varie parti del mondo anche in relazione alle tradizioni politiche e culturali esistenti nei diversi paesi (Cionini, 2013).

Per fare soltanto alcuni esempi, la psicoanalisi ha avuto origine nella cultura mittel-europea e solo successivamente si è diffusa anche nei paesi di cultura anglosassone, mentre, al contrario, l’ottica comportamentista (e più recentemente quella cognitivo-razionalista) si è sviluppata in coerenza con lo spirito scientifico della cultura anglosassone, e solo in un secondo momento si è diffusa nel resto d’Europa (Cionini, 2013).

A tal proposito, in virtù della presenza fortemente eterogenea di modelli psicoterapeutici, ad oggi non è stato possibile ricondurre a una definizione univoca il concetto di psicoterapia (Cionini, 2013). Tuttavia, si colgono in modo evidente degli aspetti comuni ai diversi approcci, senza i quali l’intervento psicoterapeutico non si renderebbe possibile. Primo fra tutti, assume un ruolo fondamentale il concetto di relazione terapeutica, vale a dire una relazione interpersonale fra il terapeuta e il paziente che consenta l’instaurarsi di un’esperienza affettivamente ed emotivamente significativa e che comporti un’alleanza terapeutica benefica per il paziente e volta al raggiungimento di un cambiamento attraverso obiettivi sempre condivisi in uno spazio altamente collaborativo tra i due soggetti.

Tale relazione si svolgerà all’interno di uno spazio di cura definito setting, che dovrà essere riservato e adeguato alle esigenze terapeutiche.

Altresì, il processo di cambiamento viene coadiuvato dall’azione del terapeuta atta a garantire al paziente la conoscenza e l’acquisizione di nuovi punti di vista e prospettive con i quali, quest’ultimo, potrà ampliare il proprio range di azione con procedure che possano orientarlo verso un comportamento sempre maggiormente adattivo. Il paziente dovrà, dunque, essere supportato dal terapeuta, il quale, con un atteggiamento di contenimento, sostegno emotivo, comprensione, accettazione ed empatia, favorirà il cammino verso il cambiamento (Cionini, 2001).

Il cambiamento in psicoterapia deriva, quindi, dalle caratteristiche succitate che vengono orientate dalle procedure e dalle tecniche che caratterizzano la modalità di intervento del terapeuta.

Parallelamente alle comunanze testè esposte, le teorie epistemologiche di riferimento a cui ogni scuola di psicoterapia fa capo, oltre alle diverse modalità di pensare la definizione degli obiettivi, l’articolazione del setting, l’impostazione del contratto terapeutico, la modalità di valutazione clinica, il ruolo più o meno centrale attribuito alla relazione terapeutica e le tecniche e le procedure specifiche, rappresentano, all’opposto, gli aspetti difformi di ogni approccio.

In definitiva, la psicoterapia viene considerata, all’unanimità, come una modalità di intervento effettuato con mezzi prettamente psicologici che, pur attuati mediante procedure che differiscono tra loro per il diverso orientamento teorico a cui si rifanno, sono finalizzati ad aiutare le persone nella soluzione dei propri problemi affettivi, emotivi, comportamentali, interpersonali di vario genere e a incrementare la qualità della vita; quindi che la psicoterapia porti a cambiamenti personali che implicano uno sviluppo del modo di vedere, pensare, sentire, agire (Cionini, 2013). Tali cambiamenti permetteranno a chi ne usufruisce, di sperimentare nuove modalità con cui vivere la propria relazione col mondo.

Psicodinamica nella psicoterapia

Parlare di psicoterapie ad orientamento psicodinamico significa riferirsi a quelle tecniche derivanti dalla psicoanalisi, nata ad opera di Sigmund Freud (1856-1939) all’alba del Novecento. All’interno di questo paradigma si inseriscono diversi contributi quali quello della “Psicologia analitica” di C.G. Jung (1875-1961), della “Psicologia individuale” di Alfred Adler (1870-1937), degli “Psicologi dell’Io”, della “Scuola inglese” con Melanie Klein (1882-1960), della “Psicoanalisi interpersonale e relazionale”, della “Psicologia del sé” di Kohut (1913-1981), della “Teoria dell’attaccamento” di Bowlby (1907-1990) e la continuazione della sua opera a cura di Mary Ainsworth (1913-1999), di Jacques Lacan (1901-1981) e della “Scuola francese”  (Cionini, 2013). Tuttavia, il movimento psicoanalitico non esaurisce la sua portata alle scuole predette; queste ultime, infatti, rappresentano solo alcuni degli sviluppi e degli scenari teorici che hanno ospitato una vastissima varietà di altri autori.

L’approccio psicodinamico è dunque basato sui fondamenti della psicoanalisi ma si differenzia da quest’ultima per il numero di sedute e per il mancato utilizzo del lettino. Nella terapia psicoanalitica, infatti, il paziente è disteso e il numero di sedute è maggiore rispetto a quello della terapia psicodinamica, dove il paziente sarà, inoltre, seduto.

Altresì, all’interno della psicoterapia psicodinamica si distinguono un tipo di psicoterapia psicodinamica a lungo termine (più di ventiquattro sedute o della durata di oltre sei mesi) e una psicoterapia psicodinamica a breve termine (meno di ventiquattro sedute o sei mesi) (Gabbard, 2010).

Le terapie psicodinamiche, pur basandosi su differenti modelli teorici, presentano degli aspetti comuni che travalicano le specifiche cornici di riferimento e che riguardano i concetti di alleanza terapeutica, transfert, controtransfert, resistenza ed elaborazione e le modalità conclusive della terapia (Gabbard, 2010).

È interessante notare come un aspetto fondante la particolarità di questo approccio sia rappresentato dalla curiosità che il paziente mostra riguardo la conoscenza verso se stesso.

Il paziente che può beneficiare di un tale intervento è un soggetto interessato a conoscere e a comprendere quei modelli pregressi e inconsci che hanno tracciato, nella sua esperienza soggettiva di vita, un percorso più o meno consolidato che lo rende oggi intrappolato in schemi disfunzionali che gli causano sofferenza. Sono dunque il desiderio di comprendere se stessi, la volontà che si realizzi una certa consapevolezza del funzionamento del proprio sé e una significativa motivazione, a indicare al paziente la propria adeguatezza a un simil trattamento (Gabbard, 2010).

In questo senso, diventa importante durante l’intervento, che il terapeuta sappia cogliere la capacità di mentalizzazione del proprio paziente, ovvero la capacità di quest’ultimo di percepire i propri e gli altrui stati mentali come spiegazioni del comportamento e, pertanto, di comprendere che il proprio comportamento è guidato da punti di vista e credenze non sempre condivisi dall’altro da sé.

Tutto ciò richiede e implica la comprensione dei propri stati interni (Gabbard,  2010).

Altresì, l’intervento psicodinamico oscilla tra un atteggiamento più prettamente espressivo a uno maggiormente supportivo, che il terapeuta deve flessibilmente adottare in base ai bisogni del paziente (Gabbard, 2010).

Lo psicoterapeuta psicodinamico osserva, inoltre, le modalità con le quali il paziente è solito relazionarsi al mondo e all’altro da sé e, in questo caso, al terapeuta, manifestandole nella relazione con quest’ultimo.

Oltre all’osservazione delle caratteristiche succitate, il terapeuta dovrà saper cogliere se il paziente è in grado di gestire gli impulsi e di tollerare le frustrazioni mostrandosi resiliente davanti alle avversità; in questo caso ci si troverà davanti a un Io forte caratterizzato da buone risorse. Contrariamente, un soggetto che controlla con difficoltà gli impulsi e mostra problematiche relative all’esame di realtà o alla tolleranza di taluni stati affettivi, mostra un Io debole (Gabbard, 2010).

Fondamentale per risolvere il disagio psichico della persona è, altresì, saper comprendere il conflitto inconscio che anima e muove la sofferenza manifesta del paziente, ovvero quella difesa che si contrappone a un desiderio o a un impulso, creando disagio e dolore (Gabbard, 2010).

Tutti gli elementi sin qui presentati vengono colti ed elaborati in un’ottica di collaborazione costante tra il terapeuta ed il paziente, i quali, sin dai primi momenti della loro relazione comunicheranno l’un l’altro e stabiliranno sempre apertamente gli obiettivi da raggiungere e i momenti di esplorazione di alcune questioni.

In questo senso, anche la parte conclusiva della terapia può assumere diverse forme e verificarsi secondo diverse modalità in base al caso specifico e deve essere un momento altamente partecipato e condiviso tra paziente e terapeuta.

Conclusioni

In definitiva, la psicoterapia psicodinamica si pone l’obiettivo di comprendere un’altra persona in modo empatico e non giudicante, all’interno di una relazione significativa stabilita con quest’ultima. In questo modo è possibile favorire un processo di comprensione di sé stessi e delle proprie modalità di relazionarsi al mondo, facilitando il processo di apertura e di fiducia con e nell’altro da sé.

Il terapeuta che si mostra sensibilmente interessato ad accogliere e a comprendere la storia dell’altro, può sostenere la persona e aiutarla a liberare la propria esistenza dalla coltre di nebbia che ha oscurato, per forse gran parte del suo tempo, quelle risorse che spesso non si conoscono ma che si possiedono e che, dunque, devono essere individuate e riconosciute.

In questo modo, dopo essere stata accompagnata ed emotivamente sorretta, ogni persona può finalmente imparare a librarsi verso un volo autonomo e più consapevole della propria esistenza, libera di lasciare entrare dentro di sé nuovi mondi, nuovi spazi, per più ampi racconti di sé.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cionini, L. (2013). Modelli di psicoterapia. Roma: Carocci Editore.
  • Cionini, L. (2001). Psicoterapie. Modelli a  confronto. Roma: Carocci Editore.
  • Gabbard, G.O. (2010). Le psicoterapie.Teorie e modelli d’intervento.Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Salvatore, S. (2015) L’interventopsicologico. Roma: Giorgio Firera Editore.
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