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“Trincee domestiche” – Esiti sistemici dell’isolamento domiciliare nel periodo di Covid-19

Rimanere nelle proprie case in isolamento, è una scelta strategica per combattere il Covid-19, tuttavia le “trincee domestiche” non sono esenti da pericoli.

Di Claudio Lombardo

Pubblicato il 14 Apr. 2020

Durante il periodo di Covid-19 l’isolamento domiciliare può aiutare a contenere e controllare la diffusione delle infezioni e dalla malattia, tuttavia non è privo di conseguenze psicologiche negative a medio-lungo termine.

 

Il fiume modella le sponde e le sponde guidano il fiume (Gregory Bateson)

È ben radicato nella psicologia e nella letteratura sulla salute pubblica che l’isolamento sociale ha conseguenze dannose per il benessere, con effetti paragonabili ad altri rischi ben noti, come il fumo di sigaretta.

L’angoscia e l’irritabilità per mancanza di contatto sociale, perdita di libertà e noia durante la quarantena sono legati secondi alcuni studi (si consulti la bibliografia) a conseguenze come sintomi depressivi e dipendenza da sostanze che si può estendere fino a tre anni dopo la fine della quarantena.

Riconfigurare la società

Le cause di questa catastrofe, sia per la salute dei cittadini che per l’intera economia del paese, sono essenzialmente da intercettare in un ritardo temporale della presa di coscienza collettiva della minaccia; purtroppo, non è stato ascoltato chi gridava “al lupo”, con il lupo alle spalle, così il pericolo si è talmente diffuso da far pensare ad una riconfigurazione dell’intera società verso nuovi standard di comportamento (e.g. handwashing, don’t touch etc.) ma soprattutto, indispensabile, è la disponibilità di un modello da seguire in caso di pandemie, come adottato dalla città di Taiwan.

Altresì, si dovrà filtrare qualsiasi informazione senza lasciarla al mero criterio per lo più giornalistico, così spesso superficiale sotto l’ammanto del bello scrivere, o ai dibatti per lo piu sbrigativi, narcisisticamente tendenziosi e pressappochisti, dove ne consegue un altrettanto criterio personale del cittadino nei social network, guidato da fugaci impressioni o da idee surrettizie di chi ha fornito versioni contrastanti e poco chiare della minaccia virale. Un effetto dell’isolamento?

Un virus per le relazioni

Miracolo è ciò che un materialista pensa debba accadere per liberarsi dal proprio materialismo (Gregory Bateson)

Quando si parla di isolamento l’attenzione è volta alle relazioni sociali; tuttavia, a questa questione se ne interpone un’altra: come interrompere le relazioni che l’economia ha creato, le stesse relazioni di cui il virus si nutre?

Nell’immaginario collettivo gli ospedali sono considerati punti cruciali di “recupero delle vite”, sono relazioni con la sopravvivenza; allo stesso modo si può parlare di una “sopravvivenza dell’economia” di una nazione laddove le precitate relazioni vengano “infettate”.

Attaccarle per primi vuol dire essere uno stratega di guerra pericoloso!

Come un cecchino in guerra che mira all’ufficiale medico affinché non recuperi vite che vanno incontro a morte quasi certa. La perdita, in questo caso, è inevitabile.

Posizionarsi in una “base sicura” rimanendo nelle proprie case, rappresenta una scelta strategica a propria volta utile a combattere la minaccia. L’isolamento (per i soggetti infetti) o il semi-isolamento (anche per i soggetti sani) è una tattica difensiva attuata nel nostro modello contro l’attacco biologico del virus. Tuttavia, le “trincee domestiche” non sono esenti da altrettanti pericoli.

Insidie dell’isolamento

Se la parte iniziale dell’isolamento può essere fronteggiata in maniera efficiente, quasi come fosse una vacanza, in un secondo periodo la sensazione è di un vissuto in bianco-e-nero, l’esistenza “svuotata” dell’anima; accidia, aggressività, perdita di abitudini, manie di persecuzione e auto-dialogo negativo possono insorgere in molte persone. I social network sono uno specchio, una denuncia palese di questi disagi.

Certamente fa impallidire il paragone con il film la Trincea infinita, storia ispirata a fatti realmente accaduti in cui un uomo è costretto a nascondersi per oltre trent’anni dalla dittatura fascista. I militari, setacciando casa dopo casa, lo spinsero a calarsi in un mini bunker costruito sotto il pavimento divenuto la sua nuova “base sicura”.

Facciamo un passo indietro

Nella normale quotidianità, quella fatta di lavoro, famiglia, svago etc. il nostro corpo recita un modello psico-genetico “alterato” su base individuale, ambientale e di processi cumulativi (stile di vita, abitudini apprese etc.) abbinato ad un ingrediente che genera un’apparente libertà, sedazione  e sicurezza: il consumismo di massa, che si traduce nella possibilità di poter usufruire “illimitatamente” di ogni bene, anche a discapito della vita (es. allevamento intensivo degli animali).

Nel capitalismo avanzato in cui risiede, per dirla con J.K. Galbraith, la “società dell’opulenza” che l’uomo somigli al sapiens o ad una confezione di burro di arachidi, poco importa. Le necessità primarie vengono costruite, alla stregua dei prodotti commerciali da consumare indiscriminatamente. Anche l’uomo si configura come tale: un bene da consumare, parafrasando Matteo 5-26, “finchè non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!”

Tutto è connesso

L’economia cambia la nostra psicologia. Si veicola un messaggio trascendente al nostro inconscio: eccesso di  sicurezza e di felicità, l’omnis per eccellenza: la tecnologia come strumento che sistema tutto col minimo sforzo; viaggi interstellari come simbolo di dominio su altri pianeti; spese folli per beni superflui; si inventano i bisogni, ma anche la vita (clonazione); ci si culla, come nello spot della famigerata Coca-Cola, in un “mondo senza confini” che ci sostituisce a Dio, come se avessimo un controllo su ogni molecola del cosmo o la storia la scrivessimo senza la partecipazione di meteoriti, terremoti o virus.

Ma il precitato sistema capitalista è apparentemente perfetto, è auto-alimentante: gestire una gran mole di persone con la creazione di nuovi bisogni di massa che generino, a propria volta, acquisti che alimentano il sistema stesso tramite una costante “spesa” di energia: il consumismo, appunto.

Livellare ogni individuo indebolendo, per poi asportare, il guscio dell’individualità. Una logica pericolosa in un’epoca in cui abbiano in casa un ospite indesiderato: un virus altrettanto pericoloso.

Questo è uno dei motivi che spiega l’approccio sistemico: il collegamento tra il nostro sistema immunitario e l’economia dove ne scaturisce la nostra salute mentale. Tutto è connesso.

Conclusioni

Comprendo che vi sareste aspettati che scrivessi di complessi psicologici in stato di isolamento e come affrontarli, ma sono dell’opinione che è bene parlare del contesto e delle relazioni di cui giornalmente viviamo, dato che il disagio, la felicità, la sicurezza e così via emergono naturalmente dal nostro ambiente. Sposo con questo articolo (ma non è detto che lo faccia con altri, dato che certe questioni richiedono “punti di vista molteplici”) la prospettiva di Hillman quando parla della pscioterapia: “[…] raramente i sintomi sono guariti, difficilmente i matrimoni salvati, gli impieghi trovati; dipendenze, depressioni, suicidi, non sono evitati”.

Pur non partendo dal presupposto dell’inutilità della psicoterapia, vedo questo intervento come un cambio di traiettoria dal focus moderno proiettato a creare tecniche o rimedi indirizzati ad “aggiustare” questioni psicologiche che sono il risultato, direi fisiologico, di un ambiente, di un “eco-sistema” poco flessibile: tutto va bene fin quando non ci sono ostacoli.

Al di là di ogni considerazione sull’efficacia di alcuni approcci, c’è da prendere seriamente in carico una riconfigurazione totale della nostra società in un periodo che spinge a dare il massimo, sia al terapeuta che al singolo individuo costretto nella propria trincea domiciliare.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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