Certe forme di epilessia sono accompagnate dall’infiammazione di importati regioni cerebrali, una ricerca condotta dall’università di Bonn, pubblicata su Annals of Neurology, ha identificato un meccanismo che spiegherebbe questo collegamento, aprendo la strada a nuovi approcci terapeutici (Crespel et al., 2002).
L’epilessia può essere ereditaria. In altri casi, i pazienti sviluppano la malattia solo più tardi nella vita: a seguito di una lesione cerebrale, dopo un ictus o un tumore. Anche l’infiammazione delle meningi o del cervello stesso può provocare epilessia (Crespel et al., 2002).
Particolarmente pericolose sono le reazioni infiammatorie che colpiscono l’ippocampo, che è una struttura cerebrale che svolge un ruolo importante nei processi di memoria e nello sviluppo delle emozioni. I medici chiamano questa condizione encefalite limbica, tuttavia, in molti casi non è ancora chiaro che cosa causi tale infiammazione (Crespel et al., 2002).
I ricercatori hanno ora identificato un autoanticorpo che si ritiene sia il responsabile dell’encefalite in alcuni pazienti. A differenza dei normali anticorpi, non è diretto contro le molecole che sono entrate nell’organismo dall’esterno, ma contro le strutture del corpo. L’anticorpo è stato trovato nel liquido spinale dei pazienti con epilessia che soffrono di infiammazione acuta dell’ippocampo. I ricercatori hanno riscontrato un problema in questo anticorpo: questo è diretto contro la proteina Drebrin, che assicura che i punti di contatto tra le cellule nervose (sinapsi) funzionino correttamente (Pitsch et al., 2020).
Quando l’autoanticorpo incontra una molecola di Drebrin, la mette fuori uso e interrompe quindi la trasmissione di informazioni tra le cellule nervose. Allo stesso tempo avvisa il sistema immunitario, che viene quindi attivato e passa a una modalità infiammatoria, producendo ancora più autoanticorpi. Tuttavia, la proteina Drebrin si trova all’interno delle sinapsi, mentre l’anticorpo si trova nel fluido tissutale, quindi normalmente non dovrebbero mai entrare in contatto tra loro. Sembrerebbe che l’anticorpo riesca ad entrare come neurotrasmettitore all’interno della cellula nervosa (Pitsch et al., 2020).
Negli esperimenti di coltura cellulare i ricercatori sono stati in grado di mostrare cosa succede dopo il contatto tra le due molecole: poco dopo l’aggiunta dell’anticorpo, i neuroni nella capsula di Petri iniziano a sparare esplosioni rapide simili a mitragliatrici di impulsi elettrici. Questa forma di eccitazione elettrica è contagiosa, le cellule nervose, che sono interconnesse per formare una rete, iniziano improvvisamente a scaricare elettricità contemporaneamente, il tutto traducibile in due parole: attacco epilettico (Pitsch et al., 2020).
I risultati, come accennato in precedenza, danno speranza a nuovi approcci terapeutici. Ad esempio, sostanze attive come il cortisone possono sopprimere il sistema immunitario e quindi prevenire anche la produzione massiccia di anticorpi. In futuro, potrebbe anche essere possibile intercettarli e inibirli specificamente con determinati farmaci. Tuttavia c’è ancora molta strada da fare prima che le cure diventino disponibili; è importante specificare che questo approccio alla malattia gioverebbe principalmente ai pazienti con epilessia infiammatoria. Quindi, a differenza delle epilessie congenite, quelle basate sull’infiammazione potrebbero essere vicine ad una svolta terapeutica (Pitsch et al., 2020).