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“Ah, ma è Lercio!” – Un esempio di news organization

Ci sono tante agenzie che producono fake news. Queste “industrie” di bufale, di solito, hanno nomi che richiamano le reali agenzie di diffusione di notizie

Di Concetta Papapicco

Pubblicato il 11 Mar. 2020

A sentire le parole di giornalisti, massmediologi, esperti a vario titolo e accademici non sembra esserci alcun dubbio: viviamo nell’epoca della “post-verità”, caratterizzata cioè da “verità alternative”, fake news, che scheggiano le identità sociali in frammenti.

 

Nel tentativo degli esseri umani di adattare in maniera camaleontica (Mantovani, 1995) le schegge identitarie alle diverse verità, si nota come i Mass Media diventino opportuità per gli internauti per evolversi da semplici fruitori di contenuti multimediali ad attivi creatori. Non esenti, da queste creazioni, le notizie (news).

Che ci si ponga tra gli Apocalittici o gli Integrati (Eco, 1984), non si può evitare il fenomeno virale della creazione di “bufale”, o meglio conosciute come “fake news”. Le fake news sono notizie intenzionalmente false che servono per disorientare i lettori. E quindi, chi crea queste false notizie? Perché lo fa? Qual è il target di popolazione o di internauti più colpiti da questo fenomeno?

Rispondendo alla prima domanda “chi crea le fake news?”, bisogna sapere che ci sono tante e reali agenzie che producono notizie false. Queste “industrie” di bufale, solitamente, hanno nomi che richiamano le reali agenzie di diffusione di notizie, al fine di confondere maggiormente i fruitori di informazioni.

La società dell’informazione ha prodotto interi segmenti industriali dediti alla rappresentazione del mondo, tali da trasformare questa normale costruzione della realtà in fabbrica automatizzata, da deformazione inconsapevole alla sua riproduzione automatizzata, dando origine all’Iperrealtà, appunto. (Binotto, 2017, 14)

Ma è anche vero che dietro le fake news possono celarsi persone normali, in quanto, con la diffusione dei social network, la creazione di contenuti non richiede più specifiche competenze, bensì qualsiasi utente può generare contenuti multimediali relativamente controllati.

Questi strumenti di creazione di contenuti multimediali, in cui rientrano le fake news, sono definiti User Generated Content (UGC). Grazie a questi strumenti, ad esempio, sono emerse nuove figure che diffondono notizie, come i giornalisti amatoriali, i quali nel riportare una notizia, non sono sottoposti al controllo della veridicità di ciò che divulgano. Per questo motivo è facile cadere nelle trappole delle fake news (Rubin, Conroy, & Chen, 2015).

Ma chi sono le persone più colpite? Bisogna considerare che ogni utente è persuaso in maniera diversa in base a variabili individuali, primo fra tutti il livello educativo, poi l’età, il genere, ma anche la fiducia. Il legame di fiducia nell’era della post-verità è molto complesso da instaurare perché è presente un generale clima di diffidenza, che presenta una risonanza nelle comunicazioni mediate. A questo legame, però, si oppongono fenomeni individuali, come la disinformazione, perché le persone che si informano meno tenderanno a credere vere le notizie potenzialmente false. Un altro fenomeno fondamentale che spinge a cadere nelle trappole delle fake news è quello delle camere dell’eco (eco-chamber), dei veri e propri spazi virtuali che raccolgono persone che hanno le stesse opinioni. Avere conferme da altre persone circa il proprio pensiero aumenta la convinzione che quelle credenze siano vere.

La difficoltà nel riconoscimento di false notizie dipende dal fatto che, soprattutto nelle news in forma scritta, mancano indici di comunicazione non verbale, per questo le persone si focalizzano non sul contenuto, ma su come la notizia è presentata (Allcott & Gentzkow, 2017). Non si tratta di un fenomeno recente, anzi hanno una storia molto lunga: infatti è possibile trovare delle prime forme di fake news negli errori non intenzionali, ovvero delle notizie riportate in maniera non corretta; nei pettegolezzi, che però non hanno origine da una notizia di giornale; nelle teorie complottiste, che, per definizione, sono difficili da distinguere come vere o false e sono sostenute da chi crede realmente in esse, ad esempio, nell’affermare l’esistenza di altre forme di vita sui pianeti; nelle false dichiarazioni dei politici; nella satira non riconosciuta come tale (Hyman & Sheatsley, 1947).

Un esempio è LERCIO: in molti tenderebbero a prendere per veritiere le loro notizie, non conoscendo l’obiettivo. Lercio è un sito satirico italiano di fake news con taglio volutamente ironico, creato su modello di articoli tipici della stampa sensazionalistica. La stampa sensazionalistica, infatti, mira a creare l’evento di cui tratta il testo di notizia dividendo i fruitori in due gruppi: chi giustifica quel testo oppure chi lo rifiuta e contesta (Mininni, 2004). In più, LERCIO, praticando la parodia del giornalismo tradizionale, si inserisce nel filone internazionale della cosiddetta News satire (Incollu, 2014). Il sito, ideato da Michele Incollu come parodia della free press Leggo, dal quale riprende il font del logo, pubblica la sua prima notizia il 28 ottobre 2012 (Incollu, 2017; 2018). L’attrattività, però, non dipende solo dalla soggettività dei fruitori della notizia, ma anche dal modo in cui la notizia, seppure falsa, viene presentata. Le fake news di LERCIO si presentano con titoli altisonanti, con URL simili a quelle delle fonti attendibili, l’impaginazione è approssimativa, le immagini ritoccate o replicate, il tono ironico o satirico nel caso in cui l’obiettivo è quello di denunciare.

In questo panorama, perciò, Lercio diventa un esempio tutto italiano di news organization che nella “trasformazione di un fatto in notizia opera riducendone la complessità” (Sorrentino, 1995, p. 5) attraverso l’ironia.

 

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